Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32657 del 15/07/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32657 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Condorache Catalin Laurentin, nato in Romania il 01/03/1973.
avverso la sentenza del 16/01/2012 della Corte d’appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Piercamillo Davigo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Gianluigi Pratola, che ha concluso chiedendo che il ricorso sia rigettato;
udito per l’imputato l’avv. Roberto Afeltra in sostituzione dell’Avv. Antonio
Ranieli, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 10.12.2003 il Tribunale di Alessandria, fra l’altro,
dichiarò Condorache Catalin responsabile dei reati di cui ai capi E (estorsione), F
(falso nummario), G (violenza per costringere a commettere reato), I
(estorsione), N (ricettazione), O (uso di atto falso), P (falso nummario), Q
(violenza per costringere a commettere reato), U (estorsione), V (estorsione),
unificati sotto il vincolo della continuazione e – concesse le circostanze attenuanti
generiche- lo condannò alla pena di anni 4 di reclusione ed C 500,00 di multa.

Data Udienza: 15/07/2014

2. L’imputato, con altri, propose gravame e la Corte d’appello di Torino, con
sentenza 16.1.2012, in parziale riforma della pronunzia di primo grado,
qualificati i fatti di cui ai capi F e P ai sensi dell’art. 455 cod. pen. rideterminò la
pena in anni 3 mesi 10 di reclusione ed € 480,00 di multa.

3. Con ordinanza del 17.12.2013 la Corte d’appello di Torino restituì
Condorache Laurentin nel termine per impugnare la predetta sentenza ed
annullò l’ordine di esecuzione relativo alla pena sopra indicata.

1. violazione della legge processuale in relazione alla nullità del decreto di
latitanza e degli atti successivi, in quanto non vi è traccia del verbale di
vane ricerche, sicché non si sa quali ricerche siano state effettuate;
2. violazione di legge e vizio di motivazione in quanto l’affermazione di
responsabilità è stata basata esclusivamente sulle dichiarazioni della
persona offesa Pia Silvana e di testimoni de relato della persona offesa;
trattandosi di racconto complesso sarebbero stati necessari riscontri e la
Corte territoriale non ha valutato la possibilità che le dichiarazioni siano
false.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
È stato acquisito, a cura della Cancelleria di questa Corte, il verbale di vane
ricerche redatto il 22.10.2001 e gli atti presupposti.
Da tale verbale risulta che le ricerche furono effettuate presso vari esercizi
pubblici frequentati dal catturando in passato (essendo lo stesso senza fissa
dimora) e da suoi connazionali, con esito negativo.
Peraltro Condorache era già latitante in relazione ad altri provvedimenti a
suo carico.
Legittimamente quindi è stato emesso il decreto di latitanza.

2. Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato e svolge censure
di merito.
Va ricordato che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte,
condiviso dal Collegio, in tema di valutazione della prova testimoniale, a base del
libero convincimento del giudice possono essere poste le dichiarazioni della parte
offesa e quelle di un testimone legato da stretti vincoli di parentela con la
medesima. Ne consegue che la deposizione della persona offesa dal reato, pur se
non può essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere

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4. Ricorre per cassazione l’imputato, tramite il difensore, deducendo:

assunta anche da sola come fonte di prova, ove sia sottoposta a un attento
controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, non richiedendo necessariamente
neppure riscontri esterni, quando non sussistano situazioni che inducano a
dubitare della sua attendibilità. (Cass. Sez. 3 sent. n. 22848 del 27.3.2003 dep.
23.5.2003 rv 225232).
La Corte territoriale ha peraltro motivato in modo non manifestamente
illogico (e quindi non sindacabile in questa sede) sulla attendibilità della persona
offesa e sulla coerenza delle stesse con le altre risultanze processuali (p. 16 e 17

3. Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della
Cassa delle ammende della somma di mille euro, così equitativamente fissata in
ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.

Così deciso il 15/07/2014.

sentenza impugnata).

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