Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32641 del 11/07/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32641 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Tamburrino Raffaele nato a Capua il 1/1/1962
avverso la sentenza del 19/2/2013 della Corte di Appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Roberto Maria Carrelli Palombi di
Montrone;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale, dott.
Fulvio Baldi, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata;
udito per l’imputato l’avv. Maria Luisa Silvestri, in sostituzione dell’avv. Domenico
schiavo, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 19/2/2013, la Corte d’Appello di Napoli, decidendo

quale giudice di rinvio a seguito di annullamento da parte della Corte di
Cassazione della sentenza della Corte d’Appello di Napoli del 12/2/2005, in riforma
della sentenza del giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Napoli del
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Data Udienza: 11/07/2014

3/12/2003, esclusa la fattispecie di cui all’art. 74 comma 1 d.p.r. n. 309 del 1990,
rideterminava la pena irrogata a Tamburrino Raffaele, per i reati allo stesso ascritti
di cui agli artt. 73 e 74 d.p.r. n. 309 del 1990, in anni sette e mesi quattro di
reclusione ed C 18.000,00 di multa.
1.1. La sesta sezione penale di questa Corte con decisione del 30/1/2007, in
accoglimento del ricorso proposto dal coimputato Esposito Enzo, aveva annullato,
anche nei confronti dell’attuale ricorrente in forza dell’effetto estensivo di cui

ad altra sezione della medesima Corte, avendo tenuto conto della rilevata
inutilizzabilità delle intercettazioni per inosservanza delle disposizioni di cui all’art.
267 comma 3 cod. proc. pen.; rinvio disposto affinchè la Corte territoriale
riconsiderasse l’eventuale sussistenza della responsabilità dell’imputato sulla base
del residuo materiale probatorio.

2.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato, sollevando il seguente

motivo di gravame: mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione, ai sensi dell’art. 606 comma 1 lett. e) cod. proc. pen., in ordine alla
condanna per i delitti di cui agli artt. 73 e 74 d.p.r. n. 309 del 1990. Fa al riguardo
rilevare che il giudice di rinvio, stante il dictum della Cassazione, avrebbe dovuto
verificare eventuali altri elementi di riscontro alla chiamata in correità del
coimputato Villone diverse dal contenuto delle conversazioni telefoniche ed
ambientali, che, si assume, non presentano il prescritto carattere individualizzante
e non sono idonee a confermare l’attendibilità del propalante in ordine alla
partecipazione dell’imputato all’associazione. Evidenzia poi la contraddittorietà
della decisione nella parte in cui, sulla base di elementi probatori assolutamente
similari ed in parte identici costituiti dalle chiamate in correità del Villone e dalle
conversazioni telefoniche, si è pervenuti all’assoluzione del coimputato Esposito
dal reato associativo ed alla condanna anche per il suddetto reato dell’attuale
ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per essere manifestamente
infondato il motivo proposto. Segnatamente si denuncia un vizio di motivazione
in relazione ai principi che regolano lo svolgimento del giudizio di rinvio e
stabiliscono i poteri doveri attribuiti al giudice in quella sede, in una fattispecie
concreta di annullamento da parte della Corte di Cassazione della sentenza di

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all’art. 587 cod. proc. pen., la sentenza della Corte d’Appello di Napoli con rinvio

appello per rilevata inutilizzabilità di alcune delle prove poste a base
dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato.
Viceversa la Corte territoriale ha bene evidenziato come la riconosciuta
affermazione di penale responsabilità dell’imputato in ordine ai reati allo stesso
ascritti si fondi su numerosi, precisi e concordanti elementi di prova;
segnatamente le dichiarazioni auto ed etero accusatorie del Villone sono risultate
adeguatamente riscontrate nei colloqui telefonici registrati nel periodo compreso

l’annullamento da parte della Corte di Cassazione concerne esclusivamente
l’utilizzabilità dell’intercettazione ambientale del 25/1/2003 e non anche tutte le
altre intercettazioni telefoniche, che sono state, legittimamente, valorizzate dalla
Corte territoriale, ravvisandosi in esse elementi di prova idonei a fornire i
necessari riscontri esterni individualizzanti, sulla base del disposto contenuto
nell’art. 192 comma 3 cod. proc. pen., alla chiamata in correità effettuata dal
coimputato Villone Federico. Ulteriore elemento di riscontro viene poi,
ragionevolmente, ravvisato nel controllo effettuato dalla polizia giudiziaria in data
4/2/2003 presso l’abitazione del Villone stesso, ove era presente anche l’attuale
ricorrente ed erano in corso trattative per la consegna di una partita di sostanze
stupefacenti in favore di un agente sotto copertura nonché nell’operazione
condotta il giorno successivo con la partecipazione del suddetto agente sotto
copertura, così come analiticamente ricostruito nella sentenza impugnata.
In sostanza la Corte territoriale ha fatto buon uso dei principi di diritto
costantemente affermati da questa Corte di legittimità in tema di riscontri
esterni individualizzanti necessari a corroborare la chiamata in correità di un
coimputato; specificamente, in ordine alla natura ed alle caratteristiche degli
“altri elementi di prova” di cui all’art. 192 comma 3 cod. proc. pen., che il giudice
deve valutare unitariamente alle dichiarazioni del coimputato, si è precisato che
questi non debbono necessariamente insistere sul tema di prova (sez. 2 n. 3902

tra il 13 gennaio ed il 6 febbraio 2003; deve al riguardo precisarsi che

del 7.2.1991, Rv. 187187) e non è necessario che provino il fatto reato e la
responsabilità dell’imputato altrimenti il valore della dichiarazione risulterebbe
svuotato: «in tema di chiamata in correità gli “altri elementi di prova” che, a
norma dell’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen., confermano l’attendibilità
della dichiarazione non devono valere a provare il fatto-reato e la responsabilità
dell’imputato, perché, in tal caso, la suddetta disposizione sarebbe del tutto
pleonastica. La funzione processuale degli “altri elementi di prova” è invece
semplicemente quella di confermare l’attendibilità delle dichiarazioni accusatorie,
il che significa che tali elementi sono in posizione subordinata e accessoria

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rispetto alla prova derivante dalla chiamata in correità, avendo essi idoneità
probatoria rispetto al “thema decidendum” non da soli, ma in riferimento alla
chiamata. Altrimenti, in presenza di elementi dimostrativi della responsabilità
dell’imputato, non entra in gioco la regola dell’art. 192, comma terzo, cod. proc.
pen., ma quella generale in tema di pluralità di prove e di libera valutazione di
esse da parte del giudice» (sez. 6 n. 5649 del 22.1.1997, Rv. 208898). Ed
ancora si è affermato che, stante il principio del libero convincimento del giudice,

possono consistere in prove o indizi, purché tali da resistere agli elementi di
segno opposto eventualmente dedotti dall’imputato (sez. 6 n. 4108 del
17.2.1996, Rv. 204439).
In senso positivo poi i riscontri devono caratterizzarsi per la loro
convergenza rispetto al fatto materiale oggetto della narrazione, per la loro
indipendenza, intesa come mancanza di pregresse intese fraudolente fra diversi
propalanti, suggestioni o condizionamenti che potrebbero inficiare la
concordanza, per la loro specificità, nel senso che la convergenza del molteplice
deve essere individualizzante sia soggettivamente rispetto ai chiamati in correità
o in reità che oggettivamente in relazione alle imputazioni (sez. 2 n. 12838 del
16.12.2002, Rv. 224879).
Ed a tali canoni interpretativi la Corte territoriale si è uniformata nella
direzione indicata dalla Corte di Cassazione nella sentenza di annullamento con
rinvio sulla base dell’accertata inutilizzabilità dell’intercettazione ambientale del
25/1/2003, ritenendo acquisiti nel corso delle indagini preliminari elementi di
prova più che sufficienti per riscontrare le dichiarazioni accusatorie del
collaboratore Villone.

4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’articolo
616 cod. proc. pen., la condanna dell’imputato che lo ha proposto al pagamento
delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della
Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte
costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si
stima equo determinare in C 1.000,00 .

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

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i riscontri possono essere di qualsiasi natura, sia rappresentativa che logica,

spese processuali e della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Così deciso, 11 luglio 2014

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