Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32635 del 11/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32635 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
1) Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Palermo;
2) Tantillo Lorena, n. il 2.1.1959, quale persona offesa;
3) Associazione Antiracket e Antiusura “SOS IMPRESA – PALERMO”;
nei confronti di:
1) ABATE Liborio, n. il 4.5.1942;
2) PEDUZZO Alessandro, n.1’8.7.1978;
3) ANASTASIO Filippo, n. il 18.7.1968;
4) CACCAMISI Vincenzo, n. il 2.10.1959;
avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo del 6.5.2013;
Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Antonio
Gialanella, che ha concluso per il rigetto di tutti i ricorsi;
Udito, per le parti civili ricorrenti, l’Avv. Fausto Maria Amato, che ha
concluso per l’accoglimento dei ricorsi;

Data Udienza: 11/06/2014

Uditi, per gli imputati, gli Avv.ti Vincenzo Giambruno, Claudio Gallina
Montana, Fabio Foci e Antonio Turrisi, che ha concluso chiedendo il
rigetto dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 28.4.2011, il Tribunale di Palermo dichiarò Abate
Liborio e Peduzzo Alessandro responsabili ciascuno del delitto di usura

5.000,00 e 3.000,00), commessi in danno di Tantillo Lorena, e li
condannò alle pene di giustizia, oltre che al risarcimento del danno in
favore delle parti civili costituite, disponendo altresì la confisca della
somma di euro 2.000,00 sequestrata al Peduzzo; assolvette Caccamisi
Vincenzo e Anastasio Filippo dai delitti di usura loro ascritti, nonché
l’Anastasio dal delitto di estorsione e l’Abate dalle residue condotte di
usura ascrittegli perché i fatti non sussistono.
2. Avverso tale pronunzia proposero gravame gli imputati Abate
Liborio e Peduzzo Alessandro, il pubblico ministero e, infine, le parti civili
costituite Tantillo Lorena e la Associazione Antiracket e Antiusura “SOS
IMPRESA – PALERMO”. Con sentenza del 6.5.2013, la Corte di Appello di
Palermo, in parziale riforma della sentenza di primo grado, assolvette
Abate Liborio e Peduzzo Alessandro dai delitti di usura perché il fatto non
sussiste, revocando le statuizioni civili e la disposta confisca; confermò
nel resto la decisione di primo grado.
3. Ricorre per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di
Appello di Palermo deducendo la mancanza, contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione della sentenza impugnata con riferimento al
giudizio di non colpevolezza pronunciato nei confronti degli imputati
Abate Liborio e Peduzzo Alessandro. In particolare, in ordine alla
posizione dell’Abate, deduce l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte di
Appello nell’aver ritenuto carente la prova che l’assegno di € 3.300,00
emesso dalla Tantillo nel maggio 2004 fosse stato incassato dall’imputato
a titolo di restituzione delle somme erogate e del pagamento degli
interessi usurai, avendo la Corte omesso di considerare che il detto
assegno era stato negoziato sul conto dei coniugi Pipitone-Monticciolo sul
quale – nello stesso periodo di tempo – sarebbero stati versati altri

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loro rispettivamente ascritto (il primo limitatamente ai prestiti di euro

assegni consegnati dalla Tantillo all’Abate. In ordine alla posizione del
Peduzzo, poi, deduce l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte distrettuale
nel ritenere che l’assegno di euro 3.000,00 emesso in data 21.6.2004 dal
Peduzzo in favore della Tantillo fosse stato emesso a titolo di prestito, e
non a titolo di caparra per l’acquisto di un immobile in quel periodo
vendutogli dalla Tantillo.

sottopone alla Corte profili relativi al merito della valutazione delle prove,
che sono insindacabili in sede di legittimità, quando – come nel caso di
specie – risulta che i giudici di merito hanno esposto in modo ordinato e
coerente le ragioni che giustificano la loro decisione, sicché deve
escludersi tanto la mancanza quanto la manifesta illogicità della
motivazione, che costituiscono i vizi («di macroscopica evidenza»,
«percepibili “ictu ocu/i”»: cfr. Cass., sez. un., n. 24 del 24.11.1999 Rv
214794; Sez. un., n. 47289 del 24/09/2003 Rv. 226074) che
circoscrivono l’ambito in cui è consentito il sindacato di legittimità sulla
motivazione in facto.
Peraltro, sia con riferimento alla posizione di Abate Liborio (avuto
riguardo all’assegno emesso dalla Tantillo e negoziato sul conto dei
coniugi Pipitone Monticciolo), sia con riferimento alla posizione di Peduzzo
Alessandro (avuto riguardo all’assegno consegnato da questi alla
Tantillo), il Procuratore Generale ricorrente ha omesso prendere in
considerazione e criticare le puntuali argomentazioni svolte dalla Corte
territoriale – in relazione ai detti punti – nella motivazione della sentenza
impugnata (p. 10-17) (ciò vale anche per la mancata considerazione della
memoria difensiva depositata dalla Tantillo nella causa civile intrapresa
nei confronti del Peduzzo), cosicché i motivi di ricorso difettano della
necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del
provvedimento impugnato, risultando così, anche sotto questo profilo,
“aspecifici” e inammissibili (Cass., Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013 Rv.
255568; Cass., Sez. 2, n. 36406 del 27/06/2012 Rv. 253893; Cass., Sez.
2, n. 19951 del 15/05/2008 Rv. 240109).
4. Ricorrono per cassazione – con separati ricorsi che presentano
tuttavia motivi pienamente sovrapponibili (che, pertanto, saranno

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Il ricorso, con le relative censure, risulta inammissibile, in quanto

esaminati unitariamente) – la persona offesa Tantillo Lorena e la
Associazione Antiracket e Antiusura “SOS IMPRESA – PALERMO”, ai soli
effetti civili.
4.1. Col primo motivo, deducono la mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata con
riferimento ritenuta scarsa attendibilità delle dichiarazioni rese dalla

dagli accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza, dalla risultanze della
perizia esperita in dibattimento e dai documenti acquisiti.
Trattasi di censura in fatto inammissibile in sede di legittimità,
avendo i giudici di merito spiegato le ragioni del loro convincimento con
motivazione (p. 20 s.) completa ed esaustiva esente da vizi logici e
giuridici.
Tra l’altro, la critica circa la valutazione dell’attendibilità delle
dichiarazioni rese dalla Tantillo e al contenuto degli accertamenti compiuti
dalla Guardia di Finanza e dal perito non supera la soglia della assoluta
genericità, limitandosi a proporre una lettura alternativa inammissibile
nel giudizio di cassazione.
4.2. Col secondo motivo, deducono la mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata nonché la
violazione degli artt. 238 e 192 cod. proc. pen. con riferimento alla
assoluzione di Peduzzo Alessandro dal delitto di usura ascrittogli;
deducono che la Corte territoriale avrebbe erroneamente attribuito valore
di prova alla memoria depositata dal difensore della Tantillo nella causa
civile tra la stessa il Peduzzo, nella quale si quantificava la caparra per
l’appartamento compravenduto in C 22.000,00, trattandosi di atto del
difensore privo di valore probatorio; che l’entità della caparra (nella
misura di C 25.000,00) sarebbe attestata dall’atto di compravendita,
dalle ammissioni dell’imputato e riconosciuta dallo stesso perito nominato
dal Tribunale; deducono che l’acquisizione della memoria depositata nella
causa civile violerebbe l’art. 238 cod. proc. pen., che ammette
l’acquisizione di verbali di prove assunte in un giudizio civile solo se
definito con sentenza passata in giudicato, mentre – nel caso di specie –

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persona offesa, che – a dire dei ricorrenti – sarebbero invece convalidate

non solo la memoria difensiva non costituirebbe prova, ma neppure la
causa civile era stata definita con sentenza irrevocabile.
Anche questa censura è inammissibile.
Le parti civili ricorrenti criticano – sotto mentite spoglie – la
valutazione delle prove da parte dei giudici di merito e le conclusioni cui
essi sono pervenuti in ordine alla sussistenza dei reati contestati al

all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito e non è sindacabile
in cassazione; a meno che ricorra una mancanza o una manifesta
illogicità della motivazione, ciò che – nel caso di specie – deve però
escludersi.
Le Sezioni Unite di questa Corte, sul punto, hanno avuto occasione
più volte di precisare che «L’indagine di legittimità sul discorso
giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il
sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per
espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico
apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza
possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice
di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro
rispondenza alle acquisizioni processuali. L’illogicità della motivazione,
come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da
risultare percepibile “ictu ocull”, dovendo il sindacato di legittimità al
riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando
ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni
difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente
incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo
logico e adeguato le ragioni del convincimento» (Cass., sez. un., n. 24
del 24.11.1999 Rv 214794; Sez. un., n. 47289 del 24/09/2003 Rv.
226074).
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno chiarito, con dovizia di
argomenti, le ragioni della loro decisione (richiamando, tra l’altro, oltre al
contenuto della memoria depositata in sede civile, anche il mancato
rilascio di ricevuta da parte della Tantillo – come era avvenuto negli altri
casi – della pretesa rata di caparra: p. 14 sentenza impugnata); non si

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Peduzzo. La valutazione delle prove, tuttavia, è riservata in via esclusiva

ritiene, peraltro – per ovvi motivi – di riportare qui integralmente tutte le
suddette argomentazioni, sembrando sufficiente al Collegio far rilevare
che le stesse non sono manifestamente illogiche; e che, anzi, l’estensore
della sentenza ha esposto in modo ordinato e coerente le ragioni che
giustificano la decisione adottata, la quale perciò resiste alle censure del
ricorrente sul punto.

l’acquisizione nel processo penale di memoria difensiva depositata nel
procedimento civile, attesa la sua natura di prova documentale
(quantomeno indiziaria) alla luce della nozione generale di documento
accolta dall’art. 234 cod. proc. pen. (Cass., Sez. 6, n. 5880 del
09/01/2013 Rv. 254244), e ciò ancorché il procedimento civile non sia
stato definito con sentenza passata in giudicato (cfr. Sez. 3, n. 5863 del
23/11/2011 Rv. 252127).
4.3. Col terzo motivo, deducono la mancanza, contraddittorietà e
manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata nonché la
violazione degli artt. 192 e 546 cod. proc. pen. con riferimento alla
assoluzione di Abate Liborio dal delitto di usura ascrittogli; deducono
l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte di Appello nell’aver ritenuto che
l’assegno di C 3.300,00 emesso dalla Tantillo non fosse stato incassato
dall’Abate, come peraltro – contrariamente a quanto affermato dalla
Corte (che avrebbe male interpretato il senso della perizia) – aveva
ritenuto lo stesso perito; deducono ancora come la Corte distrettuale
erroneamente avrebbe disatteso l’appello proposto dalle parti civili – con
il quale si censurava l’assoluzione dell’Abate, pronunciata dal Tribunale,
in relazione ad una terza operazione di prestito – senza prendere in
considerazione nel dettaglio le censure mosse con l’atto di impugnazione.
Anche questa censura è inammissibile proponendo una diversa
valutazione delle prove inammissibile in sede di legittimità in presenza di
una motivazione esaustiva ed esente da manifesta illogicità.
La Corte distrettuale ha spiegato le ragioni che hanno determinato il
suo convincimento, con particolare riferimento al mancato incasso da
parte dell’Abate del detto assegno emesso dalla Tantillo (p.16 s.). Tale
ragionamento non risulta affatto manifestamente illogico; d’altra parte,

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Peraltro, non può farsi a meno di osservare che è legittima

questa Corte non è chiamata a condividere o non condividere la
ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né a
procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a
quella compiuta dai giudici del merito (cfr. Cass, sez. 1, n. 7113 del
06/06/1997 Rv. 208241; Sez. 2, n. 3438 del 11/6/1998 Rv 210938),

delle ragioni della loro decisione e se il ragionamento probatorio, da essi
reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia
mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; ciò che, come
dianzi detto, nel caso di specie è dato riscontrare.
4.4. Col quarto motivo e col quinto motivo di ricorso, poi, le ricorrenti
parti civili deducono la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione della sentenza impugnata nonché la violazione degli
artt. 192 e 546 cod. proc. pen., con riferimento alla assoluzione di
Anastasio Filippo dai delitti di usura ed estorsione ascrittigli e di
Caccamisi Vincenzo dal delitto di usura contestatogli; deducono l’errore in
cui sarebbe incorsa la Corte di Appello nel valutare le prove e nel non
dare adeguata risposta alle censure mosse con l’atto di impugnazione.
Anche queste doglienza incorrono nella medesima causa di
inammissibilità delle precedenti, investendo la ricostruzione del fatto
compiuta dai giudici di merito, che è insindacabile in questa sede,
essendo supportata da motivazione (p. 20 ss.) esaustiva ed immune da
manifesta illogicità.
Le censure, peraltro, ripropongono in cassazione le medesime
doglianza posta a base dei motivi di appello, che sono state ritenute non
meritevoli di accoglimento da parte della Corte territoriale; né i ricorrenti
hanno posto in luce la mancata considerazione di elementi probatori che
assumano il carattere della decisività.
Come già affermato da questa Corte, la denunzia di minime
incongruenze argomentative o l’omessa esposizione di elementi di
valutazione, che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro
carattere di decisività, non possono dar luogo all’annullamento della
sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque

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dovendo invece essa limitarsi a controllare se costoro abbiano dato conto

omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma
è solo l’esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia
contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività
degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della
compattezza logica dell’impianto argomentativo della motivazione (Cass.,
Sez. 2, n. 9242 del 08/02/2013 Rv. 254988).

degli elementi di prova, che non può trovare ingresso nel giudizio di
legittimità.
5. In conclusione, tutti i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve
essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di euro mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.
P. Q. M.

La Corte Suprema di Cassazione
dichiara inammissibile il ricorso del Procuratore della Repubblica
Generale; dichiara inammissibili i ricorsi di Tantillo Lorena e della
Associazione “SOS IMPRESA – PALERMO” e condanna i ricorrenti al
pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di euro mille
alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, nella cagneracli-Gerrstglio della Se .nda Sezione

Le censure, in definitiva, propongono una mera lettura alternativa

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