Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32621 del 29/04/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32621 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: CAMMINO MATILDE

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
BUSCEMI Domenico n. Palermo il 18 maggio 1961
avverso la sentenza emessa 1’8 febbraio 2013 dalla Corte di appello di Palermo

Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Matilde Cammino;
udita la requisitoria del pubblico ministero, sost. proc. gen. dott. Luigi Riello, che ha
chiesto la dichiarazione di inammissibilità o, in subordine, il rigetto del ricorso;
osserva:

Data Udienza: 29/04/2014

Considerato in fatto
1. A seguito di annullamento con rinvio disposto, con sentenza della Sesta
sezione penale di questa Corte emessa il 10 novembre 2011, per un motivo
procedurale relativo all’erronea esclusione del legittimo impedimento dell’imputato a
comparire in udienza, la Corte di appello di Palermo con sentenza in data 8 febbraio
2013 ha confermato la sentenza con la quale Buscemi Antonio era stato dichiarato, il

aggravata ai sensi dell’art.629, secondo comma, cod.pen. in relazione agli artt.628,
comma terzo n.3, cod.pen. e 7 di. n.152/91 commesso nel novembre 1999 ai danni
della ATIDIES Costruendi di Seidita Antonino. Il Buscemi, ritenuta la continuazione con
il più grave reato di tentata estorsione aggravata per il quale era stato condannato con
sentenza emessa dal Tribunale di Palermo il 23 febbraio 2002 e divenuta irrevocabile il
27 gennaio 2003, era stato condannato in primo grado alla pena complessiva di anni
sette di reclusione ed euro 300,00 di multa, con la pena accessoria dell’interdizione
dai pubblici uffici per anni cinque.
2. Avverso la predetta sentenza l’imputato ha presentato, tramite il difensore,
ricorso per cassazione. Con il ricorso si deduce:
1) la violazione della legge processuale in relazione all’art.195, comma quarto,
cod.proc.pen. in quanto la Corte di appello, per contestare l’attendibilità delle
dichiarazioni del teste Purpura (il Purpura, capocantiere dell’impresa edile di Seidita
Antonio, in dibattimento aveva negato che l’autore dell’estorsione si identificasse nel
Buscemi), aveva dato conto delle diverse dichiarazioni del verbalizzante Pipitone
Michele il quale, in violazione dell’art.351 cod.proc.pen., avrebbe riferito quanto
appreso dal Purpura nel corso dell’attività di indagine; le dichiarazioni del teste
Pipitone sarebbero, pertanto, inutilizzabili;
2) il vizio della motivazione in relazione all’art.192 cod.proc.pen. e il travisamento
della prova in quanto i collaboratori di giustizia non avevano alcuna conoscenza
dell’episodio delittuoso oggetto del processo; in particolare, vi sarebbe stato
travisamento della prova nella parte della motivazione in cui si afferma che il
collaboratore De Marchi aveva accusato il Buscemi dell’estorsione ai danni di tale
Antonio il quale stava costruendo una palazzina nella piazzetta antistante la chiesa di
Santa Maria la Nuova, erroneamente identificato in Seidita Antonio che stava invece
realizzando una palazzina

in piazza S. Eligio; inoltre l’incontro avvenuto 1’11

novembre 1999 all’interno del cantiere del Seidita tra l’autore del tentativo di

22 maggio 2006 dal Tribunale di Palermo, colpevole del reato di tentata estorsione

g

estorsione e il Purpura non era stato videoregistrato; infine la giustificazione del
Buscemi circa la sua presenza in loco non era stata presa in considerazione, così come
non si era tenuto conto delle dichiarazioni dibattimentali del Purpura che scagionavano
l’imputato.

Ritenuto in diritto

3.1. Il primo motivo è generico e, comunque, manifestamente infondato per le
medesime ragioni esposte nella motivazione della sentenza impugnata, che il
ricorrente non contesta specificamente. Il teste Pipitone, come precisato dai giudici di
appello, aveva infatti riferito che l’11 novembre 1999 era stato il Purpura -mentre era
in corso nel cantiere della ditta della persona offesa da parte della polizia giudiziaria
l’attività di osservazione, con l’effettuazione di videoriprese, volta all’individuazione
dell’autore del denunciato tentativo di estorsione- a segnalare la presenza in loco della
persona che qualche giorno prima aveva formulato le richieste estorsive. Secondo il
consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità cui anche il giudice di merito
ha fatto riferimento (Cass. Sez.Un. 28 maggio 2003 n. 36747, Torcasio; sez.I 11
dicembre 2008 n.5965, Manco; sez.I 4 luglio 2012 n.41090, Morfei e altro), il divieto
di testimonianza indiretta per gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria non opera
relativamente alle dichiarazioni rese da terzi e percepite al di fuori di uno specifico
contesto procedinnentale, in una situazione eccezionale o di straordinaria urgenza
caratterizzata dall’assenza di un dialogo tra teste e ufficiale o agente di polizia
giudiziaria, ciascuno nella propria qualità. Correttamente, pertanto, il giudice di
appello non ha ravvisato la violazione nel caso concreto dell’art.195, comma quarto,
cod.proc.pen., confermando il giudizio di inattendibilità delle dichiarazioni

3. Il ricorso è inammissibile.

dibattimentali del Purpura (che aveva negato, nonostante le contestazioni del pubblico
ministero, di aver incontrato nuovamente in cantiere l’autore della originaria richiesta
estorsiva) sulla base delle contrastanti dichiarazioni del sottufficiale di p.g. Pipitone il
quale aveva indotto il giudice di primo grado a disporre con la sentenza, ai sensi
dell’art.207 cod.proc.pen., la trasmissione degli atti al pubblico ministero. La presenza
del Buscemi sul cantiere 1’11 novembre 1999 risultava peraltro accertata anche sulla
base della videoregistrazione, che lo aveva colto mentre era in attesa di parlare con il
Purpura, dell’esame testimoniale dei verbalizzanti che avevano assistito al colloquio
tra il Purpura e il Buscemi, dell’allontanamento del soggetto che era stato visto parlare
con il Purpura a bordo di un ciclomotore Vespa nella disponibilità del Buscemi.

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4

3.2. Il secondo motivo riproduce pedissequamente gli argomenti prospettati
nell’appello, ai quali la Corte territoriale ha dato adeguate e argomentate risposte,
esaustive in fatto e corrette in diritto, che il ricorrente non considera né
specificatamente censura. Il giudice di appello ha infatti evidenziato che, una volta
accertata la responsabilità dell’imputato, le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia
erano state analizzate dal giudice di primo grado solo per avvalorare e completare il

“…soprattutto meglio tratteggiando il profilo delinquenziale

dell’imputato nell’ambito del sodalizio mafioso in cui ha operato…”,

trattandosi di

dichiarazioni che concordavano univocamente “sulla circostanza che il Buscemi fosse

un soggetto a disposizione della famiglia mafiosa di Porta Nuova, capeggiata prima da
Lo Presti Tommaso e poi da Badalamenti Agostino e che si fosse occupato di estorsioni
per conto della predetta consorteria, riscuotendo il pizzo da imprese e commercianti,
direttamente ovvero mediante altri intermediari”.

Quanto alle dichiarazioni del

collaboratore di giustizia De Marchi circa l’estorsione posta in essere dal Buscemi alla
fine del 1999 ai danni di un’impresa facente capo a Seidita Antonino che si occupava
della ristrutturazione di una palazzina in piazza Sant’Eligio, il ricorrente introduce nel
giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento
del materiale probatorio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito che,
peraltro, ha desunto la prova della responsabilità dell’imputato da ulteriori e
concordanti elementi probatori da soli sufficienti a giustificare l’affermazione di
responsabilità. Analoghe considerazioni vanno fatte per quanto riguarda la ritenuta
inattendibilità delle dichiarazioni testimoniali del Seidita, avendo la Corte territoriale
evidenziato la contraddittorietà del teste che in un primo momento aveva ammesso
che la persona da lui presentatasi il 15 novembre 1999, intimandogli di riferire al
titolare di preparare il denaro, fosse la stessa descritta dal Purpura e,
successivamente, aveva descritto un soggetto dalle caratteristiche somatiche differenti

quadro probatorio

da quelle dell’imputato. La giustificazione del Buscemi in ordine alla sua presenza nei
pressi del cantiere, sito nella stessa zona in cui si trovava la scuola frequentata dal
figlio, è stata infine motivatamente ritenuta “assolutamente inverosimile” alla luce
dell’accertata presenza dell’imputato sul cantiere in attesa del Purpura .Le conclusioni
circa la responsabilità del ricorrente risultano quindi adeguatamente giustificate dal
giudice di merito attraverso una puntuale valutazione delle prove, che ha consentito
una ricostruzione del fatto esente da incongruenze logiche e da contraddizioni. Tanto
basta per rendere la sentenza impugnata incensurabile in questa sede non essendo il
controllo di legittimità diretto a sindacare direttamente la valutazione dei fatti

u,

5

compiuta dal giudice di merito, ma solo a verificare se questa sia sorretta da validi
elementi dimostrativi e sia nel complesso esauriente e plausibile.
Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa
delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in
euro 1.000,00.

dichiara inammissibile il ricorso e condann il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,OP alla Cassa delle ammende.
Roma 29 aprile 2014

il cons. est.

P.Q.M.

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