Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32613 del 24/04/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32613 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
QUARTA SALVATORE N. IL 06/03/1968
avverso la sentenza n. 489/2012 CORTE APPELLO di LECCE, del
02/07/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 24/04/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. T —7 )–ei» . G.
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che ha concluso per i I v),

Udito, per la parte civile, l’Avv
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Udit i difensor Avv. An2 a-ea
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Data Udienza: 24/04/2014

MOTIVI DELLA DECISIONE

Ricorre per cassazione Quarta Salvatore avverso la sentenza della Corte d’appello di Lecce che,
in data 2 luglio 2012 in parziale riforma della sentenza del locale tribunale che in data 16
dicembre 2010 lo aveva condannato per appropriazione indebita aggravata, ordinava che della
condanna inflitta non fosse fatta menzione nel certificato del casellario giudiziale nei limiti di
cui all’articolo 175 codice penale ed eliminava le disposizioni in favore della parte civile

Deduce il ricorrente che la sentenza impugnata è incorsa in:
1. violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla clausola numero 4 del
contratto in atti. Sostiene di avere opposto in compensazione un credito realmente
esistente oltre che determinato nell’ammontare, con conseguente insussistenza
dell’elemento soggettivo del reato e del requisito dell’ingiusto profitto. Contraddittoria è
la motivazione della corte territoriale nella parte in cui, pur riconoscendo essere stata
espletata da parte degli architetti in favore della Antonacci l’attività di progettazione,
così come documentata, rimasta priva di compenso , abbia tuttavia ritenuto sussistere il
dolo del reato contestato
2. nullità ex articolo 522 codice di procedura penale per omessa contestazione in relazione
ad elemento fondamentale del giudizio. Evidenzia il ricorrente che nell’atto di appello
era puntualmente evidenziato come il numero di assegno indicato in denuncia nonché
nel capo di imputazione e nelle note a firma di parte avversa non corrispondeva al
numero di assegno acquisito al giudizio. L’ impugnata sentenza nulla ha detto in merito
alla diversa indicazione di tale fondamentale elemento di fatto e di diritto;
3. sopravvenuta prescrizione.
Il primo motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile, giacché la doglianza in esso
dedotta è manifestamente infondata e ripropone le stesse ragioni già discusse e ritenute
infondate dal giudice del gravame, dovendosi la stessa considerare, per di più, non specifica.
La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua
genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa
non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di
aspecificità, conducente a mente dell’art. 591 cod. proc. pen., comma primo, lett. c),
all’inammissibilità. Sulla manifesta infondatezza, in particolare, deve rilevarsi che nel reato di
appropriazione indebita non opera il principio della compensazione con credito preesistente,
allorché si tratti di crediti non certi, nè liquidi ed esigibili. L’esercizio del diritto di ritenzione
non vale di per sé a scrinninare l’agente in ordine al reato di appropriazione indebita. Infatti,
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confermando nel resto la sentenza impugnata.

;

quando il credito che si vuole tutelare attraverso l’esercizio dello ius retinendi non è ne’ liquido
ne’ esigibile, l’appropriazione della cosa altrui integra il reato di cui all’art. 646 c.p. dovendosi
ritenere ingiusto il profitto che l’agente intende realizzare in virtù di una pretesa che avrebbe
dovuto far valere, in quanto non compiutamente definita nelle specifiche necessarie
connotazioni di determinatezza, liquidità ed esigibilità, soltanto con i mezzi leciti e legali
postigli a disposizione dall’ordinamento giuridico. Ne consegue che l’odierno ricorrente, al fine
di correttamente eccepire il diritto di ritenzione, avrebbe dovuto fornire la prova dell’esistenza
del credito, ma anche della sua esigibilità e del suo preciso ammontare. In assenza di tali

1989 Rv. 181740; n. 45992 del 2007; n. 293 del 2014 Rv. 257317
Il secondo motivo presentato deve essere dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 606 c. 3
C.P.P. posto che la violazione denunziata in questa sede di legittimità non è stata dedotta
innanzi alla Corte di Appello avverso la cui sentenza è ricorso ed è quindi questione nuova.
Questa Corte ha più volte affermato che sussiste violazione del divieto di “novum” nel giudizio
di legittimità quando siano per la prima volta prospettate in detta sede questioni, come quella
in esame, coinvolgenti valutazioni in fatto, mai prima sollevate
Il ricorso è pertanto inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1000,00 da versare alla Cassa delle Ammende.
L’inammissibilità del ricorso preclude l’accesso al rapporto di impugnazione ed impedisce la
declaratoria di prescrizione maturata, come indicato dallo stesso ricorrente, dopo la pronuncia
impugnata (Sez. un., 27 giugno 2001, Cavalera, Cass. Sez. un. 23428/05 Bracale).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deliberato in Roma il 24.4.2014

elementi correttamente è stata ritenuta l’illegittimità dello ius retinendi. ( cfr. Cass N. 9225 del

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