Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3254 del 18/12/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3254 Anno 2015
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
– PATI FABRIZIO, n. 23/02/1971 a CARMIANO

avverso l’ordinanza del tribunale della libertà di LECCE in data 22/08/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. E. Delehaye, che ha chiesto dichiarasi inammissibile il ricorso;

Data Udienza: 18/12/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 22/08/2014, depositata in data 28/08/2014, il tribunale
della libertà di LECCE rigettava l’appello proposto dall’indagato PATI FABRIZIO
avverso l’ordinanza emessa dal giudice monocratico del medesimo tribunale in
data 5/08/2014 con cui veniva rigettata l’istanza di revoca – sostituzione della

2. Ha proposto ricorso il PATI a mezzo del difensore fiduciario – procuratore
speciale cassazionista, impugnando la predetta ordinanza e deducendo due
motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione
ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e) c.p.p. in
relazione all’art. 274, comma 1, lett. c), c.p.p., per mancanza e manifesta
illogicità della motivazione.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza per avere i giudici del
riesame omesso di motivare in ordine alla sussistenza dell’esigenza cautelare di
cui alla lett. c) dell’art. 274 cod. proc. pen.; gli stessi si sarebbero limitati ad una
mera elencazione descrittiva di elementi fattuali senza alcun vaglio critico,
incorrendo in un errore prospettico, ritenendo erroneamente che l’istanza ex art.
299 cod. proc. pen. fosse fondata solo sul decorso del tempo laddove, viceversa,
il ricorrente aveva fatto riferimento a fatti nuovi costituiti dalla definizione del
processo mediante rito abbreviato e l’offerta di risarcimento del danno;
l’imputato si sarebbe, arrestato per tentato furto aggravato e violazione di
domicilio, si sarebbe consegnato ai militari, donde l’insussistenza dell’esigenza
cautelare posta a fondamento della misura, non potendo in senso contrario
ritenersi sufficiente il richiamo ai precedenti specifici in quanto risalente nel
tempo; difetterebbe, quindi, qualsiasi valutazione in ordine alla pericolosità
sociale del ricorrente, in quanto il pericolo di recidiva dev’essere desunto da
comportamenti e atti concreti ma non solo dalle specifiche circostanze del fatto.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) c.p.p. in
relazione all’art. 284, c.p.p., per mancanza di motivazione avuto riguardo alla
chiesta misura dell’obbligo di dimora.
In sintesi, la censura investe l’impugnata ordinanza per aver omesso qualsiasi
motivazione in ordine alla richiesta misura dell’obbligo di dimora, nonostante
fosse stata rappresentata l’attenuazione delle esigenze cautelari; in presenza di

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misura degli arresti domiciliari.

un quadro attenuato, eventuali bisogni cautelari ben avrebbero potuto essere
soddisfatti con la più tenue misura di cui all’art. 283 cod. proc. pen., anche con
l’imposizione di prescrizioni, atteso che l’obbligo di dimora incide sulla libertà di
movimento pur conciliandola con le esigenze lavorative dell’istante.

3. Il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile per le ragioni di seguito esposte.

4. Va premesso che, trattandosi di appello cautelare avverso provvedimento di
rigetto di istanza ex art. 299 cod. proc. pen., vige il principio, oggetto di reiterate
decisioni di questa Corte, secondo cui la cognizione del giudice d’appello
cautelare, a differenza di quanto previsto per il riesame, quale mezzo totalmente
devolutivo, è limitata ai punti cui si riferiscono i motivi di gravame e a quelli ad
essi strettamente connessi, pur non essendo condizionata dalle deduzioni in fatto
e dalle argomentazioni in diritto poste a base della decisione impugnata (Sez. 3,
n. 28253 del 09/06/2010 – dep. 20/07/2010, B., Rv. 248135).

5. Tanto premesso, può procedersi all’esame del primo motivo di ricorso che il
Collegio ritiene manifestamente infondato.
Ed invero, il giudice del riesame motiva puntualmente in ordine alle ragioni
costituenti – a giudizio del ricorrente – “fatti nuovi” confutandone la rilevanza
agli effetti dell’attenuazione della misura applicata; sul punto, i giudici della
cautela evidenziano come l’istanza di fondasse sostanzialmente sul mero decorso
del tempo, attesa la sostanziale “ininfluenza” agli effetti caducatori o attenuativi
della misura applicata degli altri elementi addotti a sostegno della medesima
(definizione del processo mediante rito abbreviato; atteggiamento collaborativo;
offerta risarcitoria), ininfluenza argomentata dal tribunale salentino osservando,
quanto all’atteggiamento collaborativo, evidenziando come non sia chiaro in cosa
potesse essere consistito, atteso che il Pati, dopo aver tentato di nascondersi,
vistosi scoperto, altro non aveva potuto fare che consegnarsi agli operanti;
inoltre, quanto all’offerta di risarcire il danno, i giudici del riesame osservano
come, oltre a non esserne chiara l’entità al fine di valutarne la congruità, la
stessa rientra nella strategia processuale volta a limitare gli effetti sanzionatori e
non appariva espressione univoca di resipiscenza. Diversamente, concludono i
giudici salentini, l’estrema gravità del fatto (desunta dalla circostanza di aver
tentato di porre in essere la condotta furtiva demolendo un muro) palesa
elevata determinazione, cui si aggiungono i precedenti specifici.
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CONSIDERATO IN DIRITTO

Alla stregua degli elementi valorizzati dalla Corte cautelare, perdono dunque di
spessore argomentativo le doglianze mosse dal ricorrente in sede di
impugnazione di legittimità, non essendo certamente ravvisabile il vizio di
mancanza e manifesta illogicità della motivazione oggetto di censura. Va qui
ricordato, infatti, ai sensi dell’art. 606, lett. e) cod. proc. pen., la mancanza e la
manifesta illogicità della motivazione devono risultare dal testo del

significa dimostrare che il testo del provvedimento è manifestamente carente di
motivazione e/o di logica, e non già opporre alla logica valutazione degli atti
effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto
logica (per tutte: Sez. U, n. 16 del 19/06/1996 – dep. 22/10/1996, Di Francesco,
Rv. 205621).
Analogamente, non coglie nel segno la doglianza difensiva secondo cui i giudici
del riesame, riferendosi alla sola “gravità del fatto”, avrebbero sostanzialmente
così omesso qualsivoglia motivazione – e, comunque, avrebbero illogicamente
motivato – circa la sussistenza dell’esigenza cautelare di cui alla lett. c) dell’art.
274 cod. proc. pen., non offrendo alcuna reale indicazione circa comportamenti e
atti concreti che, pur potendo risultare collegati con i fatti perseguiti, devono
essere diversi da questi ultimi. Tale obiezione, si osserva, non tiene conto del
principio, più volte affermato da questa Corte secondo cui in tema di misure
coercitive, ai fini della configurabilità della esigenza cautelare del pericolo di
reiterazione criminosa di cui all’art. 274, lett. c), cod. proc. pen., gli elementi
apprezzabili possono essere tratti anche dalle specifiche modalità e circostanze
del fatto, considerate nella loro obiettività, giacché la valutazione negativa della
personalità dell’indagato può desumersi dai criteri oggettivi e dettagliati stabiliti
dall’art. 133 cod. pen. tra i quali sono comprese le modalità e la gravità del fatto
reato (Sez. 2, n. 51843 del 16/10/2013 – dep. 30/12/2013, Caterino e altri, Rv.
258070).
Sul punto, è, dunque, evidente che il rigetto dell’istanza ex art. 299 cod. proc.
pen. supera agevolmente il vaglio di legittimità sotto il profilo del sindacato
motivazionale, non essendo ravvisabili i dedotti vizi.

6. Quanto, poi, al secondo motivo di ricorso con cui si censura l’omessa
motivazione in ordine alla valutazione dell’adeguatezza della misura attenuata
dell’obbligo di dimora al fine di salvaguardare la dedotta esigenza cautelare, la
stessa si mostra parimenti manifestamente infondata alla luce della chiara,
seppur sintetica, motivazione offerta sul punto dai giudici salentini.

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provvedimento impugnato, sicché dedurre tale vizio in sede di legittimità

In particolare, si legge nell’ordinanza impugnata che, con riferimento alle
esigenze lavorative dedotte, le stesse ben possono essere adeguatamente
soddisfatte mediante l’autorizzazione prevista dall’art. 284, comma terzo, cod.
proc. pen. previa istanza al giudice competente nel ricorso dei presupposti di
legge. E’ noto che in tema di appello contro il provvedimento che ha rigettato
una istanza di revoca o sostituzione di una misura cautelare personale, non

sollevati con l’appello, si limiti alla riaffermazione della motivazione
dell’ordinanza impugnata in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari,
omettendo di considerare i temi posti in evidenza atteso che, a differenza che nel
riesame, nell’appello, stante il principio devolutivo, il giudice deve attenersi ai
rilievi critici dell’appellante e dare ad essi risposte precise e compiute (Sez. 4, n.
3624 del 11/12/1998 – dep. 31/12/1998, Marcolini S, Rv. 212598).
Osserva il Collegio come, nel caso in esame il giudice collegiale della cautela ha
esposto le ragioni per le quali, a fronte delle deduzioni del ricorrente, quella
esigenze riconnesse al riconoscimento di una, seppur limitata, libertà di
movimento del ricorrente, ben avrebbero potuto essere soddisfatte con la misura
cautelare in atto applicata, non potendo, dunque, ritenersi omessa la
motivazione sul punto con riferimento alla misura attenuata, avendo
prioritariamente considerato il giudice del riesame la equipollenza tra la misura
richiesta in sostituzione e quella, previo affievolimento ex art. 284, comma terzo,
cod. proc. pen., in atto applicata.

7. Il ricorso dev’essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla declaratoria
d’inammissibilità segue, per legge, la condanna della ricorrente al pagamento
delle spese processuali nonché (trattandosi di causa di inammissibilità
riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte
Costituzionale sentenza n. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore
della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo
determinare in Euro 1.000,00.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 18 dicembre 2014

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costituisce motivazione adeguata solo quella che, in presenza di temi specifici

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