Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32531 del 07/05/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 32531 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
STROE ALKIS CRISTIAN N. IL 04/08/1988
avverso la sentenza n. 1893/2012 CORTE APPELLO di BOLOGNA,
del 22/03/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 07/05/2014

Motivi della decisione
Stroe Alkis Cristian ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza
della Corte di Appello di Bologna in data 22.03.2013, con la quale, in parziale
riforma della sentenza di condanna resa dal Tribunale di Rimini il 2.11.2011,
qualificato il fatto sub A) come furto aggravato dalla destrezza, è stata ridotta la
pena originariamente inflitta.
La parte con il primo motivo censura la sentenza impugnata, laddove è stata
ritenuta sussistente la circostanza aggravante della destrezza. Al riguardo,

rese nellgtdenuncia querela.
Con il secondo motivo l’esponente si duole del mancato riconoscimento delle
circostanze attenuanti della minima rilevanza economica e di cui all’art. 62 n. 6
cod. pen., in riferimento al fatto di cui al capo A).
Con il terzo motivo la parte deduce violazione di legge e vizio
motivazionale, in riferimento alla affermazione di penale responsabilità rispetto al
reato di ricettazione di cui al capo b). L’esponente richiama le modalità del
rinvenimento della borsa e degli altri oggetti e sottolinea di versare in stato di
tossicodipendenza.
Con il quarto motivo il ricorrente censura le sentenza impugnata in
riferimento al bilanciamento delle circostanze ed alla entità della pena.
Il ricorso è inammissibile.
Con riguardo ai primi tre motivi di ricorso, che si esaminano
congiuntamente, si osserva che il ricorrente propone censure non consentite nel
giudizio di legittimità, in quanto concernenti la ricostruzione e la valutazione del
fatto, come pure l’apprezzamento del materiale probatorio, profili del giudizio
rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito, che ha fornito una congrua
e adeguata motivazione, immune da incongruenze di ordine logico. Come è noto la
giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto, pressocchè
costantemente, che “l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606,
comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è quella evidente, cioè di spessore tale da
risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso
giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato
demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di
verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali” (Cass.
24.9.2003 n. 18; conformi, sempre a sezioni unite Cass. n. 12/2000; n. 24/1999;
n. 6402/1997). Più specificamente si è chiarito che “esula dai poteri della Corte di
Cassazione quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza

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l’esponente si sofferma diffusamente sulla dinamica del fatto e sulle dichiarazioni

che possa integrare il vizio di legittimità, la mera prospettazione di una diversa, e
per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali” (Cass.
sezioni unite 30.4.1997, Dessimone). Ed invero, in sede di legittimità non sono
consentite le censure, che pur investendo formalmente la motivazione, si risolvono
nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal
giudice di merito (ex multis Cass. 23.03.1995, n. 1769, Rv. 201177; Cass. Sez. VI
sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181). Del resto, nel

era impossessato del telefono cellulare che era appoggiato su un mobile
nell’ingresso del ristorante, approfittando del momento in cui la parte offesa si era
allontanata, proprio su sollecitazione dello Stroe, che aveva chiesto qualcosa da
mangiare. Con riferimento al delitto di ricettazione, la Corte di Appello ha poi del
tutto legittimamente osservato che lo stato di tossicodipendenza dell’imputato, che
è soggetto pienamente imputabile, non consentiva di ritenere insussistente
l’elemento conoscitivo del dolo. Infine, la Corte territoriale ha considerato, con
apprezzamento immune da aporie di ordine logico, che la rilevanza economica dei
beni di cui si tratta non consentiva di ritenere sussistente il danno patrimoniale di
particolare tenuità; e che la restituzione dei beni era avvenuta solo una volta che il
prevenuto era stato sorpreso in flagranza di reato, di talché neppure poteva
riconoscersi l’attenuante ex art. 62, n. 6, cod. pen.
Si osserva poi, procedendo all’esame del quarto motivo di ricorso, che la
decisione impugnata risulta sorretta da conferente apparato argomentativo, che
soddisfa appieno l’obbligo motivazionale, anche per quanto concerne la
determinazione del trattamento sanzionatorio. E’ appena il caso di considerare che
in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti
generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto riguarda la
dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la
giurisprudenza di questa Suprema Corte non solo ammette la c.d. motivazione
implicita (Cass. sez. VI 22 settembre 2003 n. 36382 n. 227142) o con formule
sintetiche (tipo “si ritiene congrua” vedi Cass. sez. VI 4 agosto 1998 n. 9120 Rv.
211583), ma afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione
tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui
all’art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di
mero arbitrio o ragionamento illogico (Cass. sez. III 16 giugno 2004 n. 26908, Rv.
229298). Si tratta di evenienza che certamente non sussiste nel caso di specie. La
Corte di Appello, infatti, ha considerato che risultava alquanto benevolo il giudizio
di equivalenza – e la stessa concessione delle circostanze attenuanti generiche effettuato dal primo giudice, tenuto conto della negativa personalità del prevenuto,
desumibile sia dalle condotte per cui si procede, sia dai gravi precedenti penali a

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caso di specie, la Corte di Appello ha espressamente considerato che il prevenuto si

carico. In ragione di ciò, nella determinazione del trattamento sanzionatorio da
infliggersi per il reato di cui al capo A), la Corte territoriale ha legittimamente
ritenuto di discostarsi dal minimo edittale, fissando la pena base in mesi nove di
reclusione oltre la multa; ed il Collegio ha quindi stabilito l’aumento per la
continuazione nella misura di mesi tre di reclusione, in conformità alla valutazione
operata sul punto dal primo giudice.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente

favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 7 maggio 2014.

al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.000,00 a

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