Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32521 del 07/05/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 32521 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

Data Udienza: 07/05/2014

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
FRASCA ALEANDRO N. IL 27/03/1977
avverso la sentenza n. 3266/2012 TRIBUNALE di ROMA, del
29/11/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;

ov\p

Osserva
Ricorre per cassazione il difensore di fiducia di Frasca Aleandro avverso la sentenza
emessa ai sensi dell’art. 444 c.p.p. in data 29.11.2012 dal Giudice monocratico del
Tribunale di Roma che applicava al predetto la pena concordata di mesi 2 e giorni 20
di arresto ed € 1.600,00 di ammenda per il reato di cui all’art. 186 comma 2 lett. c)
e 186 bis C.d.S. (fatto del 26.2.2010).
Deduce la violazione di legge ed il vizio motivazionale in ordine alla mancata
valutazione delle condizioni per unkpronuncia di proscioglimento ai sensi dell’art. 129

Il ricorso è inammissibile essendo le censure mosse manifestamente infondate,
aspecifiche e non consentite in questa sede.
A parte l’estrema genericità delle doglianze che non esprimono in modo adeguato le
concrete ragioni poste a loro fondamento, si rileva che il giudizio negativo in ordine
alla ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’articolo 129 c.p.p. deve essere
accompagnato da una specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle
deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di
cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una
motivazione consistente nell’enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la
verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per una pronuncia di
proscioglimento ai sensi della disposizione citata. Come questa Corte ha
ripetutamente affermato (cfr. ex plurimis, Cass. pen. Sez. Un., n. 10372 del
27.9.1995, Rv. 202270, Serafino), l’obbligo della motivazione della sentenza di
applicazione concordata della pena va conformato alla particolare natura della
medesima e deve ritenersi adempiuto qualora il giudice dia atto, ancorché
succintamente, come nel caso di specie, di aver proceduto alla delibazione degli
elementi positivi richiesti.
E’, inoltre, opportuno ricordare che nel “patteggiamento”, una volta che il giudice
abbia ratificato l’accordo, non è più consentito alle parti prospettare, in sede di
legittimità, questioni con riferimento -non solo alla sussistenza ed alla
qualificazione giuridica del fatto, alla sua attribuzione soggettiva, alla applicazione e
comparazione delle circostanze, ma anche- alla entità e modalità di applicazione
della pena (salvo che non si versi in ipotesi di pena illegale) (ex pluribus, Sezione
VII, 21 dicembre 2009, El Hanana). Ciò che qui deve escludersi.
Consegue l’inammissibilità del ricorso e, con essa, la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di
una somma che, alla luce dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella
sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si ritiene equo determinare in
euro 1.500,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
2

c.p.p..

DICHIARA INAMMISSIBILE IL RICORSO E CONDANNA IL RICORRENTE AL PAGAMENTO DELLE SPESE
PROCESSUALI E AL VERSAMENTO DELLA SOMMA DI MILLECINQUECENTO EURO ALLA CASSA DELLE
AMMENDE.

deciso in Roma, il 7.5.2014

Così

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