Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32515 del 07/05/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 32515 Anno 2013
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: PRESTIPINO ANTONIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DI CATALDO GIUSEPPE N. IL 26/05/1958
avverso la sentenza n. 353/2007 CORTE APPELLO di L’AQUILA, del
24/06/2011
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
PRESTIPINO;

Data Udienza: 07/05/2013

inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.
Roma, nella camera di consiglio, il 7.5.2013.
Così decis

In fatto e in diritto
Letto il ricorso proposto nell’interesse di Di Cataldo Giuseppe avverso la sentenza della Corte di
Appello di L’Aquila del 24.6.2011, che in riforma della sentenza di condanna pronunciata nei suoi
confronti dal tribunale di Pescara il 24.3. 2005, per i delitti di cui agli artt. 474 e 648 c.p., dichiarò la
prescrizione del primo reato e rideterminò la pena ;
ritenuto che le censure di legittimità della difesa in ordine al residuo reato di ricettazione si
incentrano sulla dedotta inesistenza del delitto presupposto per la grossolanità della
contraffazione, dovendosi però al riguardo richiamare il dominante e condivisibile orientamento di
questa Corte secondo cui ai fini della integrazione del delitto di cui all’art. 474 c.p. non rileva la
configurabilità della contraffazione grossolana, considerato che l’art. 474 cod. pen. tutela, in via
principale e diretta, non già la libera determinazione dell’acquirente, ma la pubblica fede, intesa
come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e
i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione; si tratta, pertanto, di un reato di pericolo, per
la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno e nemmeno ricorre l’ipotesi del reato
impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da
escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno. considerato che l’art. 474 cod. pen.
tutela, in via principale e diretta, non già la libera determinazione dell’acquirente, ma la pubblica
fede, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi o segni distintivi, che individuano le opere
dell’ingegno e i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione; si tratta, pertanto, di un reato
di pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno e nemmeno ricorre
l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le condizioni di vendita
siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno Sez. 2, Sentenza
n.20944 de I04/05/2012imputato Diasse);
ritenuto peraltro che la Corte di merito sottolinea efficacemente che la falsificazione dei marchi era
di buon livello, e che solo la qualità della merce non corrispondeva all’Immagine” dei marchi
medesimi;
ritenuto che la sussistenza del delitto presupposto implica la responsabilità del ricorrente per il
delitto di ricettazione, non contestata in ricorso sotto profili diversi; ritenuto, quanto al secondo
motivo, che nel caso di omessa pronuncia da parte del giudice d’appello, in ordine all’applicabilità o
meno dell’indulto, l’imputato non ha interesse a ricorrere per Cassazione, potendo ottenere
l’applicazione del beneficio in Sede esecutiva, a meno che il giudice d’appello non ne abbia negato
la concessione (ex plurimis, Cass. Sez. 1, Sentenza n.7890 del 17/02/1988, Imputato: Massimi.
ritenuto pertanto che il ricorso va dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende,
commisurata all’effettivo grado di colpa dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di

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