Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32511 del 07/05/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 32511 Anno 2013
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: PRESTIPINO ANTONIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

BIANCHI DAVIDE N. IL 24/09/1966
avverso la sentenza n. 337/2012 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del
19/06/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO
PRESTIPINO;

Data Udienza: 07/05/2013

In fatto e in diritto
Letto il ricorso proposto da Bianchi Davide awerso la sentenza della Corte di Appello di
Bologna del 19.6.2012 che confermò la sentenza di condanna pronunciata nei suoi
confronti dal gup del tribunale di Reggio Emilia il 26.10.2011 per il delitto di rapina;
Ritenuto, quanto alle censure di legittimità sulla qualificazione giuridica del fatto, che in
tema di rapina, la consumazione del delitto si realizza non appena l’agente si sia
impossessato, con violenza o minaccia, della cosa, e cioè allorché la cosa sottratta passi
nella esclusiva detenzione e nella materiale disponibilità del predetto, con conseguente
privazione, per la vittima del relativo potere di dominio o di vigilanza. Ne consegue che
anche un possesso temporaneo della cosa vale ad integrare il momento consumativo, in
quanto anche in tal caso le possibilità di recupero della refurtiva potrebbero awenire solo
con il ricorso da parte del rapinato alla violenza o ad altra decisa pressione sull’agente e,
quindi, mediante una reazione di segno opposto all’azione delittuosa pienamente
realizzatasi (Cass. Sez. 4, Sentenza n.20031 del 06/02/2003, Imputato: Fusi); ritenuto che
tali circostanze emergono dalla coerente e logica ricostruzione dei fatti da parte della Corte
di merito;
ritenuto che le deduzioni difensive sulla “attendibilità” dell’addetta alla vigilanza che
intervenne nell’occasione della rapina, non solo comportano l’illogica e pregiudiziale
svalutazione della testimonianza di qualunque soggetto istituzionalmente preposto a
compiti di polizia privata, nel presupposto di un suo presunto interesse allmenfatizzazione”
del proprio ruolo, ma confliggono in concreto anche con la prova generica delle lesioni
personali riportate dalla vigilante coinvolta;
ritenuto pertanto che il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile per manifesta
infondatezza, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, commisurata all’effettivo grado di colpa
dello stesso ricorrente nella determinazione della causa di inammissibilità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così dec o i loma, nella camera di consiglio, il 7.5.2013.
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