Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32506 del 07/05/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 32506 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

Data Udienza: 07/05/2014

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
IAMANIDZE MIKHAYIL N. IL 09/05/1980
TCHELIDZE KAKHABER N. IL 13/03/1978
NTIWANDIS IOANNIS N. IL 14/05/1974
avverso la sentenza n. 683/2013 TRIBUNALE di BARI, del
06/02/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

/i

Motivi della decisione
Iamanidze Mikhayil, Tchelidze Kakhaber e Ntiwandis Ioannis hanno proposto
ricorso per cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Bari in data 6.02.2013,
con la quale, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., è stata applicata la pena
concordata dalle parti in ordine al delitto di furto aggravato in fattispecie tentata ed

Le parti denunciano la carenza di motivazione in riferimento al mancato
apprezzamento dei presupposti legittimanti la pronuncia di sentenza liberatoria ai
sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
Il ricorso è inammissibile.
Come noto, questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio
che l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere conformato alla
particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle
linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale
con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti
nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle
ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da una
specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione
consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica
richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di
proscioglimento ex art. 129 (Sez. U. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. U. 27
dicembre 1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla
giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi
della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto,
la continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze, la congruità della
pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco
delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la motivazione può ben
essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che il giudice abbia
compiuto le pertinenti valutazioni. Né l’imputato può avere interesse a lamentare
una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone una più
analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la
volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può

altro.

prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato. Deve poi osservarsi che il giudice, nel caso di specie, ha
espressamente considerato che non ricorrevano i presupposti per pronunciare
sentenza di proscioglimento, nei riguardi degli odierni ricorrenti, alla luce del
verbale di arresto, di sequestro e della relazione di pronto soccorso.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti
al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.500,00 a

P.Q. M .
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno al versamento della somma di € 1.500,00 alla Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma, in data 7 maggio 2014.

favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.

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