Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3250 del 30/10/2014


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 3250 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
– BOLLI DANIELA, n. 31/08/1963 a MILANO

avverso la sentenza della Corte d’appello di MILANO in data 14/01/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. S. Spinaci, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;

Data Udienza: 30/10/2014

RITENUTO IN FATTO

1.

BOLLI DANIELA ha proposto ricorso a mezzo del difensore fiduciario

cassazionista avverso la sentenza della Corte d’appello di MILANO, emessa in
data 14/01/2014, depositata in data 15/01/2014, con cui è stata confermata la
sentenza emessa dal Tribunale di MILANO dell’8/04/2013, che aveva condannato
la Bolli alla pena di un anno di reclusione, con il concorso di attenuanti

passivi fittizi contabilizzando generiche fatture di acquisto al fine di evadere le
imposte con riferimento all’anno di imposta 2005 (art. 4, d. Igs. n. 74/00).

2. Con il ricorso dalla BOLLI DANIELA proposto, vengono dedotti due motivi, di
seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173
disp. att. cod. proc. pen.

2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. c) del codice di
procedura penale, in relazione agli artt. 603, comma 1, 585 e 591, lett. c), c.p.p.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto, in merito alla
richiesta di rinnovazione del dibattimento, i giudici avrebbero dichiarato la
richiesta inammissibile perché formulata solo in sede di motivi nuovi, non
essendo contemplata in alcun modo nell’originario atto di appello la motivazione
addotta a giustificazione dell’istanza, ossia la pretesa necessità di chiarire
circostanze trattate nell’originario atto di appello; diversamente, si sostiene in
ricorso, poiché nell’atto di appello originario era stato impugnato il punto
riguardante l’elemento soggettivo, non potrebbe sostenersi che i motivi nuovi
non siano stati contemplati in alcun modo nell’originario atto di appello; nei
motivi nuovi, infatti, si introduceva il collegamento funzionale e logico probatorio della richiesta di rinnovazione istruttoria rispetto ai motivi principali,
ossia l’assenza di coscienza e volontà della BOLLI DANIELA in merito al
superamento della soglia di punibilità, essendovi stata la decisione di superare
dette soglie da parte di tale rag. Bianco una volta che il precedente
amministratore unico Colombo avesse ceduto la carica all’imputata; infine, si
osserva, la Corte territoriale avrebbe violato il disposto dell’art. 603, comma 1,
c.p.p., in quanto avrebbe escluso l’indispensabilità ai fini della decisione della
richiesta istruttoria, così esprimendo un giudizio ai sensi del comma 3 e non del
comma 1; vi sarebbe, quindi, nullità della sentenza non avendo fornito congrua
motivazione in merito alla richiesta ex art. 603 c.p.p., comma 1, c.p.p.,
censurabile ai sensi della lett. e) dell’art. 606 c.p.p.
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generiche, per aver – nella qualità descritta nell’imputazione – indicato elementi

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. e) del codice
di procedura penale, in ordine all’esistenza del dolo specifico di aver superato la
soglia di punibilità ex art. 4, d. Igs. n. 74/00.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza in quanto i giudici di appello
non avrebbero argomento rispetto alla specifica doglianza sollevata in grado di
appello quanto alla sussistenza del dolo della ricorrente circa l’avvenuto

sul punto, quanto affermato nella sentenza del primo giudice che, però, nessuna
motivazione conteneva sulla questione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso dev’essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.

4.

Seguendo la struttura dell’impugnazione proposta in sede di legittimità

dev’essere esaminato, il primo motivo, con cui la ricorrente deduce la violazione
dell’art. 603 cod. proc. pen., per non aver la Corte d’appello disposto la
rinnovazione istruttoria.
Osserva il Collegio, sul punto, che se, in astratto, è possibile convenire con la
ricorrente sulla doglianza circa la decisione della Corte di non ammettere la
rinnovazione perché contenuta nei motivi nuovi non collegati a quelli originari,
deve tuttavia rilevarsi che la Corte d’appello ha però motivato ritenendo che la
richiesta istruttoria non rivestisse il carattere di indispensabilità ai fini del
decidere, in quanto riguardante aspetti del tutto secondari di testimonianze che
non avrebbero apportato maggiori elementi di conoscenza. Si è, quindi, trattato
di motivazione sviluppata ai sensi dell’art. 603, comma primo, cod. proc. pen., in
quanto, con le espressioni utilizzate, la Corte territoriale in effetti ha ritenuto di
essere in grado di decidere allo stato degli atti, motivando implicitamente in
presenza di un quadro probatorio definito, certo e non abbisognevole di
approfondimenti indispensabili quanto al dolo relativo al superamento delle
soglie previste dalla legge (Sez. 4, n. 47095 del 02/12/2009 – dep. 11/12/2009,
Sergio e altri, Rv. 245996; v. anche Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013 – dep.
09/05/2013, Ferrara, Rv. 256228; Sez. 6, n. 11907 del 13/12/2013 – dep.
12/03/2014, Coppola, Rv. 259893).
Alla luce di tali rilievi, dunque, il motivo dev’essere dichiarato inammissibile,
atteso che il rigetto dell’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale da
parte della Corte d’appello, nel caso in esame, si sottrae al sindacato di
legittimità, in quanto la struttura argomentativa della motivazione della decisione
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superamento della soglia di punibilità; la Corte territoriale avrebbe richiamato,

di secondo grado si fonda su elementi sufficienti per una compiuta valutazione in
ordine alla responsabilità (Sez. 6, n. 30774 del 16/07/2013 – dep. 17/07/2013,
Trecca, Rv. 257741).

5. Quanto, poi, al secondo motivo di ricorso con cui si censura l’impugnata
sentenza per aver confermato quella di prime cure nonostante l’assenza del dolo

insussistente, atteso che il primo giudice (la cui motivazione viene richiamata sul
punto nell’impugnata sentenza) ha chiarito la esistenza dell’elemento soggettivo,
riferendosi proprio all’anomalia dei dati esposti nella dichiarazione fiscal, cui si
aggiungeva la presentazione di dichiarazioni trimestrali sempre a credito. E’
evidente, sotto tale profilo, come da tali elementi fosse chiaramente evincibile il
dolo normativamente richiesto, posto che la sottoscrizione di tali documenti da
cui emergeva una sproporzione tra ricavi e costi esposti in dichiarazione per cifre
assolutamente consistenti costituiva prova certa del dolo, in quanto – a fronte di
ricavi per 315.000 euro pel’anno 2005 .- l’aver presentato una dichiarazione
fiscale che attestava costi per un importo pari a più del doppio (650.000 euro),
non poteva certamente portare ad escludere la consapevolezza
dell’amministratore in ordine al superamento della soglia indicata dall’art. 4, d.
Igs. n. 74 del 2000. Per l’integrazione del reato di dichiarazione infedele, è
infatti sufficiente l’infedeltà dichiarativa, ossia la consapevole violazione
dell’obbligo di una prospettazione veritiera della situazione reddituale e delle basi
imponibili; tale circostanza, si noti, non poteva certo sfuggire alla ricorrente, la
quale, come amministratore della società, aveva l’onere di conoscere la
situazione economica e patrimoniale della stessa.

6.

Il ricorso dev’essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Segue, a norma

dell’articolo 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della
Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima
equo fissare, in euro 1.000,00 (mille/00).

7. Solo per completezza, va qui puntualizzato che il termine di prescrizione
massima è interamente decorso alla data dell’8 maggio 2014, dunque in data
successiva alla pronuncia della sentenza d’appello.
L’inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza
dei motivi non consente tuttavia il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause
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relativo al superamento della soglia di punibilità, il dedotto vizio deve ritenersi

di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen., nella specie la
prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza impugnata con il
ricorso (Sez. U, n. 32 del 22/11/2000 – dep. 21/12/2000, De Luca, Rv.
217266).

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2014

Il Presidente

P.Q.M.

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