Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3250 del 10/10/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3250 Anno 2014
Presidente: CARMENINI SECONDO LIBERO
Relatore: DIOTALLEVI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
– Mirabile Angelo n. a Catania il 2 ottobre 1966
avverso l’ordinanza in data 26 febbraio 2013 del Tribunale della Libertà di Catania
Sentita la relazione fatta dal consigliere dott. Giovanni Diotallevi;
sentite le conclusioni del P.G. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.ssa
Giuseppina Maria Fodaroni , che ha concluso per l’annullamento con rinvio con riferimento
all’adeguatezza della misura rispetto alle esigenze cautelari

RITENUTO IN FATTO
Mirabile Angelo ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza in data 26 febbraio
2013 del Tribunale della Libertà di Catania, con la quale, è stato rigettato il ricorso avverso
l’ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Catania in data 2 febbraio 2013, con cui è stata
applicata nei suoi confronti la misura della custodia cautelare in carcere in ordine al reato di
estorsione aggravata anche ai sensi dell’art. 7 I. n. 203/91.
A sostegno dell’impugnazione lo Scivoli ha dedotto:
a) Violazione ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 192, comma 3
c.p.p.
Il ricorrente censura la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ritenuti sussistenti dal TDL.
Contesta l’attendibilità dei dichiaranti Torrente e Causa, di cui non sarebbe stata vagliata
l’attendibilità intrinseca soggettiva ed oggettiva. In ogni caso il Torrente non avrebbe mai
indicato il Mirabile come responsabile del delitto in contestazione , relativo all’estorsione
perpetrata in danno dei proprietari del Bar Napoleone, come pure lo stesso La Causa.

Data Udienza: 10/10/2013

b) Inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità o di inutilizzabilità e,
segnatamente , inutilizzabilità delle dichiarazioni delle persone offese, Consoli e Patania,
per violazione dell’art. 63, comma 2 cod. proc. peli.
Il ricorrente censura le valutazioni operate in ordine all’attendibilità delle dichiarazioni delle
persone offese, in considerazione della contraddittorietà delle medesime e del fatto che non
furono mai minacciate di ritorsioni o comunque di pressioni per non collaborare con gli
inquirenti. In ogni caso le dichiarazioni rese sarebbero inutilizzabili in quanto acquisite in
violazione dell’art. 64, comma 3,Iett. c) cod. pen., poichè , in base alla falsità del contenuto

favoreggiamento, e quindi, in qualità di potenziali indagati, dovevano essere sentiti con le
forme previste dal codice sin dall’inizio.
c) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale e, segnatamente dell’art. 629
c.p. in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi del reato atti a determinare la
compartecipazione del Mirabile.
Il ricorrente contesta il ruolo a lui attribuito dal TDL nell’estorsione perpetrata ai danni dei
titolari del Bar Napoleoni, in quanto da nessun elemento potrebbe trarsi la prova della sua
partecipazione all’attività estorsiva, e quindi ipotizzare un concorso nella consumazione del
reato medesimo sulla base della mera cooperazione passiva.
d) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale e, segnatamente, d ell’art. 7
della I. n. 203/91 in ordine alla sussistenza degli elementi costitutivi della circostanza
aggravante ad effetto speciale; inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di
nullità e, segnatamente, dell’art. 292 cod. proc. pen., comma 2 lett. c) e c bis), in
relazione all’art. 275, comma 3 cod. proc. pen.
Il ricorrente censura la configurabilità nei suoi confronti dell’aggravante i cui all’art. 7 I. n.
203/91, sia per quanto riguarda l’individuazione del dolo specifico, concernente le modaliotà
utilizzate per arrecare vantaggio all’associazione a delinquere, come sotto il profilo dei metodi
utilizzati, di cui non vi è alcuna descrizione. In ogni caso la misura della custodia cautelare in
carcere sarebbe in contrasto con il principio di adeguatezza come sancito dalla Corte
costituzionale con l’arresto giurisprudenziale del 29 marzo 2013, n. 57.

delle prime dichiarazioni rese alla Polizia giudiziaria, si sarebbero resi responsabili del reato di

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso è infondato.
Il Tribunale ha spiegato con coerenza logico-giuridica le ragioni in base alle quali
devono ritenersi sussistenti le esigenze cautelari in ordine al reato contestato. Infatti la figura
del Mirabile e il suo ruolo nella vicenda sono stati inseriti all’interno di un quadro di elementi
probatori che hanno ricevuto un positivo vaglio procedimentale attraverso i riscontri della
parti offese, deposizioni testimoniali, documentali e sequestri del profitto del reato a seguito di
arresti eseguiti in flagranza dello stesso dalla P.g.. Vi è solo da aggiungere che in ordine
all’utilizzabilità delle dichiarazioni delle parti offese appare assolutamente condivisibile il
canone ermeneutico utilizzato dal TDL, in base al principio giurisprudenziale in base al quale

I

poiché l’inutilizzabilità nei confronti dei terzi prevista dall’art. 63 cod. proc. pen. per le
dichiarazioni rilasciate da persona che fin dall’inizio avrebbe dovuto essere sentita in qualità di
indagato o imputato è subordinata, in ogni caso, alla condizione che il dichiarante sia colpito da
indizi in ordine al medesimo reato ovvero al reato connesso o collegato attribuito al terzo,
devono ritenersi utilizzabili le dichiarazioni rese contro l’estorsore dal soggetto passivo del
reato di estorsione che sia indiziato di favoreggiamento nei confronti dell’estorsore medesimo,
perché rispetto al delitto da cui è offeso il dichiarante si trova in una posizione di estraneità ed
assume la specifica veste di testimone. (Sez. 2, n. 2539 del 05/05/2000 – dep. 25/05/2000,

Sez. 2, n. 45566 del 21/10/2009 – dep. 26/11/2009, Bonanata e altro, Rv. 245630; Sez. 3, n.
16856 del 10/03/2010 – dep. 04/05/2010, P.P., Rv. 246985); per quanto riguarda le
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, le stesse sono state vagliate in maniera critica ed
approfondita e la valutazione operata appare esente da censure logico giuridiche.
E il collegio ha indicato a tal fine poi, in ordine alla permanente necessità della misura
custodiale in atto, non solo la circostanza della gravità del fatto e della personalità del
prevenuto, ma anche la probabile (pressochè certa) presenza di contatti con altri soggetti
coinvolti nell’attività criminosa e con altri personaggi della malavita; proprio tale situazione
complessiva ha fatto ritenere al Tribunale ancora concreta ed attuale la pericolosità del
Mirabile, con la necessità della permanenza della misura custodiale della custodia cautelare in
carcere, in considerazione del pericolo di reiterazione del reato, della personalità e del
comportamento del prevenuto, condannato in via definitiva anche in ordine al reato di cui
all’art. 416 bis c.p., e gravato di pesanti e numerosi precedenti penali, anche specifici, e
violazioni che ne confermano l’attualità della pericolosità sociale, essendo riferibili alla misura
di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. Tutte queste circostanze appaiono idonee a
rendere concretamente ipotizzabile una recidivanza dell’attività criminosa. Peraltro il profilo
dedotto attiene in modo univoco al merito della decisione e non è censurabile in questa sede,
avendo comunque il giudice del riesame fornito una adeguata giustificazione della decisione
assunta.
2. Alla Corte di cassazione resta comunque preclusa la rilettura di altri elementi di fatto

Papa, Rv. 216299;Sez. 3, n. 18765 del 26/02/2003 – dep. 18/04/2003, Lenzo, Rv. 224910;

rispetto a quelli posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi
o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti medesimi, ritenuti maggiormente
plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, dovendosi essa limitare a controllare se
la motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e
spiegare l’iter logico seguito (ex plurimis: Cass. 1° ottobre 2008 n. 38803). La Corte non deve
accertare se la decisione di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, né deve
condividerne la giustificazione, ma limitarsi a verificare se questa giustificazione sia
compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento (v.
Cass. 3 ottobre 2006, n. 36546; Cass. 10 luglio 2007, n. 35683; Cass. 11 gennaio 2007, n. i
7380).

3. Nella specie, peraltro il Mirabile si limita a proporre una lettura riduttiva degli
elementi di fatto posti a base del provvedimento di rigetto in modo non esaustivo sotto il
profilo motivazionale. Appare evidente che queste doglianze danno luogo a censure che non
possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità. E in questo senso il ricorso appare
infondato anche per quanto concerne il motivo relativo alla sussistenza delle esigenze cautelari
collegate alla contestazione dell’aggravante di cui all’art. 7 D.L. n. 152 del 1991.
4. Osserva la Corte che, rispetto al principio affermato dalla giurisprudenza, in base al
quale, la presunzione di adeguatezza della custodia in carcere di cui all’art. 275, comma terzo,

misura coercitiva, ma anche nelle successive vicende che attengono alla permanenza delle
esigenze cautelari, la Corte di cassazione ha sollevato la questione di legittimità costituzionale
dell’art. 275, comma terzo, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3, 13, comma primo, e 27,
comma secondo, Cost., nella parte in cui faceva operare la presunzione assoluta di
adeguatezza della custodia cautelare in carcere in riferimento ai delitti commessi avvalendosi
delle condizioni previste all’art. 416-bis cod. pen. ovvero al fine di agevolare le attività delle
associazioni di tipo mafioso. (Cass., Sez. un., 19 luglio 2012 , ordinanze n. 34473 e n. n.
34474 del 2012)
Con la sentenza del 29 marzo 2013, n. 57, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la
previsione della custodia “obbligatoria” in carcere per i reati di contesto mafioso (ma non per le condotte
di partecipazione o concorso nell’associazione di tipo mafioso).

La Corte ha evidenziato la differenza

tra la previsione sottoposta al suo giudizio e le precedenti, che riguardavano singoli reati o
gruppi di reati. Nella fattispecie concreta, in particolare, il meccanismo faceva riferimento a
qualsiasi delitto, a prescindere dai suoi elementi costitutivi, oggettivi e soggettivi, con l’unico
limite della pena edittale pari o superiore a quattro anni di reclusione, in ossequio alla regola
generale prevista dall’art. 280, comma 2 c.p.p. Nella valutazione operata dalla Corte è stata
tenuta presente la circostanza relativa al fatto che un reato commesso in un contesto
caratterizzato dalla mafiosità del crimine è più grave di un fatto analogo, sganciato da tale
condizione, ed in tal senso è stato giustificato l’aumento di pena previsto. Tuttavia nella sua
analisi la Corte ha ribadito il concetto, già espresso in precedenza prendendo in esame la
costituzionalità della norma con riferimento, ad esempio, ai reati di omicidio volontario, come
dalla gravità del fatto non possa essere fatta discendere in via automatica una presunzione
insuperabile di pericolosità estrema. D’altra parte la realtà storica coperta dall’aggravante in
esame appare talmente multiforme da giustificare un giudizio di irragionevolezza rispetto
all’automaticità della ritenuta regola d’esperienza. Sotto questo aspetto la Corte ha dunque
sottolineato che: «anche sotto questo profilo […] la posizione dell’autore dei delitti commessi
avvalendosi del cosiddetto “metodo mafioso” o al fine di agevolare le attività delle associazioni
di tipo mafioso, delle quali egli non faccia parte, si rivela non equiparabile a quella
dell’associato o del concorrente nella fattispecie associativa, per la quale la presunzione

cod. proc. pen. opera non solo nel momento di adozione del provvedimento genetico della

delineata dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. risponde, come si è detto, a dati di
esperienza generalizzati».
In base al principio affermato dalla Corte costituzionale dunque la carcerazione non può
essere irrimediabilmente imposta sulla sola base della pertinenza del fatto al «contesto
mafioso», mentre tale presunzione rimane legittima quanto alla condotta associativa di tipo
mafioso.
In base a questi arresti della Corte costituzionale deve dunque ritenersi, tra l’altro, che,
nell’ipotesi in cui l’appartenente ad una organizzazione criminale debba rispondere anche di

chiarito, che la presunzione assoluta comunque venga meno anche in questi casi, anche se il
giudizio in concreto dovrà necessariamente parametrarsi con la legittimità della presunzione
nell’ipotesi di condotta associativa.
Con l’avvenuta trasformazione della presunzione da assoluta a relativa il giudice, pertanto,
nell’applicare nel caso concreto una misura diversa dalla custodia in carcere, dovrà individuare
analiticamente elementi di positiva e concreta attenuazione del valore sintomatico del fatto,
ovvero, nel caso di mantenimento della misura, gli elementi negativi di concreta permanenza
del valore sintomatico del fatto medesimo. E questa attività ermeneutica dovrà trovare i suoi
paletti di riferimento specifici, in base all’affermazione della Corte costituzionale, a seconda che
emerga «l’appartenenza dell’agente ad associazioni di tipo mafioso ovvero la sua estraneità ad
esse».
5.Ciò premesso, nel caso in esame, la valutazione in ordine alla possibile sostituzione
della misura cautelare nel corso di esecuzione della cautela, è stata esaminata sulla base dei
nuovi parametri fissati dalla Corte costituzionale, in base ai quali non è stato possibile adottare
la revoca della originaria misura proprio perché le esigenze originariamente ritenute non solo
non sono venute meno, ma si sono ulteriormente rafforzate con l’intervenuta condanna
definitiva per partecipazione ad associazione di tipo mafioso.
6. Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso deve essere rigettato.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., l’imputato deve essere condannato al
pagamento delle spese del procedimento.
La Cancelleria deve provvedere ai sensi dell’art. 94 disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali .
Si provveda ai sensi dell’art. 94 disp.att. cod. proc. pen.

Rom l

ottobre 2013

reati diversi da quello associativo, e riconducibili al «contesto» nel senso che si è sopra

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