Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32480 del 07/05/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 32480 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
IAPICCA CARLO N. IL 25/05/1993
avverso l’ordinanza n. 869/2012 TRIBUNALE di TORRE
ANNUNZIATA, del 03/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 07/05/2014

Motivi della decisione
Iapicca Carlo ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del
Tribunale di Torre Annunziata in data 3.10.2012, con la quale, ai sensi dell’art. 444
cod. proc. pen., è stata applicata la pena concordata dalle parti di anni due di
reclusione ed C 8.000,00 di multa, in ordine al reato di cui all’art. 73, comma V,
d.P.R. n. 309/1990, afferente alla cessione di una dose di sostanza stupefacente di
tipo crack.
La parte si duole del mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.

La doglianza dedotta dall’esponente è inammissibile.
Come noto, questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio
che l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere conformato alla
particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle
linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale
con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti
nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle
ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da una
specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione
consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica
richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di
proscioglimento ex art. 129 (Sez. U. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. U. 27
dicembre 1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla
giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi
della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto,
la continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze, la congruità della
pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco
delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la motivazione può ben
essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che il giudice abbia
compiuto le pertinenti valutazioni. Né l’imputato può avere interesse a lamentare
una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone una più
analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la
volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato. Ed il giudice, nel caso di specie, ha espressamente
considerato che la qualificazione giuridica del fatto, con il riconoscimento della

A

circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990, era corretta
e che la pena concordata dalle parti era congrua.
Si osserva poi, che l’entità della pena risulta congrua, anche in
considerazione delle sopravvenute modifiche normative.
Come noto, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale del 12
febbraio 2014 n. 32, la disciplina in materia di sostanze stupefacenti che viene in
rilievo è quella prevista dal d.P.R. n. 309/1990, nella versione antecedente alle

dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, di talché la pena per le c.d. droghe pesanti, ai
sensi dell’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990, va da uno a sei anni di reclusione,
oltre la multa.
Nel caso di specie è stata infatti applicata l’ipotesi di cui all’art. 73, comma V,
d.P.R. n. 309/1990, in riferimento alla cessione di sostanza stupefacente di tipo
crack. Devono allora richiamarsi pure le modifiche introdotte all’art. 73, comma V,
cit., dall’art. 2, comma 1, d.l. 23 dicembre 2013 n. 146, convertito con
modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2014, n.10. Ai fini di
interesse, si rileva che a seguito delle richiamate modifiche è oggi prevista, per
l’ipotesi di cui all’art. 73, comma V, cit., la pena della reclusione da uno a cinque
anni, oltre la multa. Come si vede, il minimo della pena detentiva risulta
immodificato, anche rispetto alla più favorevole disciplina dettata dall’art. 73,
comma V, d.P.R. n. 309/1990, a seguito della novella del 2013.
L’ordine di considerazioni che precede induce conclusivamente a ritenere che
le sopravvenute modifiche normative non risultano rilevanti, rispetto alla
valutazione sulla congruità della pena applicata nel caso di specie. Ciò in quanto
dalla motivazione della sentenza impugnata emerge che la determinazione della
pena base in misura sostanzialmente mediana, rispetto alla cornice edittale di
riferimento per l’ipotesi attenuata, discende dal contemperamento delle specifiche
modalità del fatto, indicative del carattere non episodico della attività di spaccio,
rispetto allo stato di incensuratezza del prevenuto.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna delle(
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.500,00 in
favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condannallricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 7 maggio 2014.

modifiche introdotte dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni

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