Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32479 del 07/05/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 32479 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
GUGLIELMI ROBERTO N. IL 12/03/1977
avverso la sentenza n. 1764/2012 TRIBUNALE di BARI, del
16/05/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;

Data Udienza: 07/05/2014

Ritenuto in fatto
Ricorre per cassazione, personalmente, Guglielmi Roberto avverso la sentenza emessa ai sensi
dell’art. 444 c.p.p. in data 16.5.2012 dal Giudice monocratico del Tribunale di Bari con cui
veniva applicata al predetto la pena concordata di anni due e mesi otto di reclusione ed €
14.000,00 di multa per il reato di cui all’art. 73 co. 1 bis dPR 309/1990 (detenzione illecita di
gr. 30 circa di eroina; fatto del 15.5.2012).
Deduce il vizio motivazionale in relazione alla insussistenza di cause di non punibilità ex art.
129 c.p.p. e all’asserita congruità della pena, nonché la violazione di legge in ordine alla

cautelare.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile essendo le censure mosse manifestamente infondate ed aspecifiche.
A parte l’estrema genericità delle doglianze che non esprimono in alcun modo le concrete
ragioni poste a loro fondamento, si rileva che il giudizio negativo in ordine alla ricorrenza di
una delle ipotesi di cui all’articolo 129 c.p.p. deve essere accompagnato da una specifica
motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti
elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi
sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nell’enunciazione, anche implicita,
che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per una
pronuncia di proscioglimento ai sensi della disposizione citata. Come questa Corte ha
ripetutamente affermato (cfr. ex plurimis, Cass. pen. Sez. Un., n. 10372 del 27.9.1995, Rv.
202270, Serafino), l’obbligo della motivazione della sentenza di applicazione concordata della
pena va conformato alla particolare natura della medesima e deve ritenersi adempiuto qualora
il giudice dia atto, ancorché succintamente, come nel caso di specie, di aver proceduto alla
delibazione degli elementi positivi richiesti.
E’, inoltre, opportuno ricordare che nel “patteggiamento”, una volta che il giudice abbia
ratificato l’accordo, non è più consentito alle parti prospettare, in sede di legittimità, questioni
con riferimento – non solo alla sussistenza ed alla qualificazione giuridica del fatto, alla sua
attribuzione soggettiva, alla applicazione e comparazione delle circostanze, ma anche- alla

condanna al pagamento delle spese di mantenimento in carcere durante il periodo di custodia

entità e modalità di applicazione della pena (salvo che non si versi in ipotesi di pena illegale)
(ex pluribus, Sezione VII, 21 dicembre 2009, El Hanana). Ciò che qui deve escludersi.
Inoltre quanto alle spese di mantenimento in carcere, la sentenza di questa S.C. citata dal
ricorrente deve ritenersi superata dal diverso e condivisibile orientamento di cui a successive
pronunce (Sez. II, n. 43915 del 10.10.2003, Rv. 227328; Sez. I, n. 27700 del 26.6.2007,
Rv. 237119).
Consegue l’inammissibilità del ricorso e, con essa, la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, alla luce
dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistend917

profili di colpa, si ritiene equo determinare in euro 1.500,00 in favore della cassa delle
ammende.
P.Q.M.

DICHIARA INAMMISSIBILE IL RICORSO E CONDANNA IL RICORRENTE AL PAGAMENTO DELLE SPESE PROCESSUALI E
AL VERSAMENTO DELLA SOMMA DI MILLECINQUECENTO EURO ALLA CASSA DELLE AMMENDE.
Così deciso in Roma, il 7.5.2014

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