Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32477 del 07/05/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 32477 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CRISTIANO GIUSEPPE N. IL 18/10/1961
avverso la sentenza n. 2966/2012 GIP TRIBUNALE di BERGAMO, del
13/12/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 07/05/2014

Motivi della decisione
Cristiano Giuseppe ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza
del G.i.p. presso il Tribunale di Bergamo in data 13.12.2012, con la quale, ai sensi
dell’art. 444 cod. proc. pen., è stata applicata la pena concordata dalle parti. Al
prevenuto si contesta il reato di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, afferente alla
detenzione di gr. 98 di sostanza stupefacente di tipo cocaina (capo B), oltre alla
violazione della disciplina in materia di armi (capo A) ed altro.
La parte denuncia la violazione di legge osservando che il giudicante ha

continuazione, essendosi limitato ad indicare l’aumento totale di pena.
La doglianza dedotta dall’esponente è inammissibile.
Come noto, questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio
che l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere conformato alla
particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle
linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale
con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti
nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle
ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da una
specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione
consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica
richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di
proscioglimento ex art. 129 (Sez. U. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. U. 27
dicembre 1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla
giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi
della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto,
la continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze, la congruità della
pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco
delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la motivazione può ben
essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che il giudice abbia
compiuto le pertinenti valutazioni. Né l’imputato può avere interesse a lamentare
una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone una più
analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la
volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può

omesso di stabilire l’entità della pena per ciascun reato satellite avvinto in

prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato.
E’ poi appena il caso di rilevare che la giurisprudenza di legittimità ha
chiarito che non dà luogo a nullità, per assenza di previsione di legge, l’omessa
specificazione, nell’applicazione della pena per reato continuato, degli aumenti
correlati ad ogni singolo reato, una volta che sia stato individuato – come nel caso
di specie – il reato più grave (Cass. Sezione 2, Sentenza n. 32586 del 3.06.2010,

il G.i.p., dopo aver chiarito che il reato più grave andava individuato nel fatto di cui
al capo B) della rubrica, per il quale la pena base era pari ad anni sei di reclusione
oltre la multa, ha quindi precisato che il complessivo aumento di pena, per i diversi
reati satellite, risultava pari ad un anno di reclusione ed C 3.000,00 di multa.
Si osserva poi, che l’entità della pena risulta congrua, anche in
considerazione delle sopravvenute modifiche normative.
Come noto, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale del 12
febbraio 2014 n. 32, la disciplina in materia di sostanze stupefacenti oggi vigente è
quella prevista dal d.P.R. n. 309/1990, nella versione antecedente alle modifiche
introdotte dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni dalla
legge 21 febbraio 2006, n. 49, di talché la pena per le c.d. droghe pesanti, ai sensi
dell’art. 73, comma I, d.P.R. n. 309/1990, va da otto a venti anni di reclusione,
oltre la multa. Non di meno, atteso che il fatto si è verificato nella vigenza della
legge dichiarata incostituzionale, deve comunque nel caso trovare applicazione il
più favorevole trattamento sanzionatorio, previsto dalla disciplina dichiarata
costituzionalmente illegittima.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.500,00 in
favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna tlit ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 7 maggio 2014.

dep. 01.09.2010, Rv. 247978). Deve allora osservarsi che del tutto legittimamente

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