Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32475 del 07/05/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 32475 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CHESSA NICOLA N. IL 18/05/1973
r) ,
avverso la sentenza n. 533/2011 CORTE APPELLergEZ.DIST. di
SASSARI, del 13/12/2012

dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 07/05/2014

Ritenuto in fatto
Chessa Nicola ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della
Corte di Appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, in data 13.12.2012, con
la quale è stata confermata la sentenza di condanna alla pena di mesi otto di
reclusione oltre la multa, resa dal Tribunale di Sassari il 19.01.2011, all’esito di
giudizio abbreviato, in riferimento all’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990. Al
prevenuto si contesta la cessione di sostanza stupefacente del tipo metadone.
L’esponente si duole del mancato riconoscimento delle circostanze

attenuanti generiche.
Il ricorso è inammissibile.
Si osserva che la decisione impugnata risulta sorretta da conferente
apparato argomentativo, che soddisfa appieno l’obbligo motivazionale, anche per
quanto concerne la determinazione del trattamento sanzionatorio. E’ appena il caso
di considerare che in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle
attenuanti generiche, ovvero in ordine al giudizio di comparazione e per quanto
riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti
punti, la giurisprudenza di questa Suprema Corte non solo ammette la c.d.
motivazione implicita (Cass. sez. VI 22 settembre 2003 n. 36382 n. 227142) o con
formule sintetiche (tipo “si ritiene congrua” vedi Cass. sez. VI 4 agosto 1998 n.
9120 Rv. 211583), ma afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di
comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in riferimento ai
criteri di cui all’art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo quando siano
frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Cass. sez. III 16 giugno 2004 n.
26908, Rv. 229298). Si tratta di evenienza che certamente non sussiste nel caso di
specie. La Corte di Appello, infatti, ha considerato che il trattamento sanzionatorio
applicato dal primo giudice non era ulteriormente mitigabile e che non emergevano
elementi idonei a giustificare il riconoscimento delle attenuanti generiche.
Tanto chiarito, si osserva che l’entità della pena inflitta risulta congrua, anche
in considerazione delle sopravvenute modifiche normative.
Come noto, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale del 12
febbraio 2014 n. 32, la disciplina in materia di sostanze stupefacenti che viene in
rilievo è quella prevista dal d.P.R. n. 309/1990, nella versione antecedente alle
modifiche introdotte dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni
dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, di talché la pena per le c.d. droghe pesanti, ai
sensi dell’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990, va da uno a sei anni di reclusione,
oltre la multa.
Nel caso di specie è stata applicata l’ipotesi di cui all’art. 73, comma V,
d.P.R. n. 309/1990, in riferimento alla detenzione a fine di spaccio di sostanza
stupefacente di tipo metadone. Devono allora richiamarsi pure le modifiche

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introdotte all’art. 73, comma V, cit., dall’art. 2, comma 1, d.l. 23 dicembre 2013 n.
146, convertito con modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio
2014, n.10, in applicazione del principio di retroattività della legge più favorevole.
Ai fini di interesse, si rileva che a seguito delle richiamate modifiche è oggi
prevista, per l’ipotesi di cui all’art. 73, comma V, cit., la pena della reclusione da
uno a cinque anni, oltre la multa.
L’ordine di considerazioni che precede induce conclusivamente a rilevare che
le sopravvenute modifiche normative non risultano rilevanti, rispetto alla

invero, il calcolo relativo al trattamento sanzionatorio applicato dai giudici di merito
muove dalla pena base di un anno di reclusione, misura di pena corrispondente al
minimo di legge, anche rispetto alla più favorevole cornice edittale di riferimento,
come chiarito.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.000,00 in
favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 7 maggio 2014.

valutazione relativa alla congruità della pena applicata nel caso di specie; ed

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