Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32473 del 07/05/2014


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Penale Sent. Sez. 7 Num. 32473 Anno 2014
Presidente: FOTI GIACOMO
Relatore: MONTAGNI ANDREA

Data Udienza: 07/05/2014

Se—vith43,43.
ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
COPPOLA RAFFAELE N. IL 23/01/1963
avverso la sentenza n. 785/2003 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del
13/07/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

A

Motivi della decisione
Coppola Raffaele ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza
della Corte di Appello di Bologna del 13.07.2012, con la quale è stata confermata la
sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Ferrara, in data 12.12.2002, in
riferimento al reato ex art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990. Al prevenuto si
contesta la detenzione a fine di spaccio di cocaina ed eroina, fatti commessi in data
8.02.2001.
Con il primo motivo la parte rileva che il reato in addebito risultava

Con il secondo motivo l’esponente si duole della mancata pronuncia di
sentenza liberatoria. Osserva che l’affermazione di penale responsabilità si fonda
sull’ipotesi di reato riportata nell’informativa redatta dagli organi di polizia, ipotesi
non concretizzatasi.
Il ricorso in esame muove alle considerazioni che seguono.
Il primo motivo ricorso è manifestamente infondato.
Il termine di prescrizione, relativo alla fattispecie di cui all’art. 73, comma V,
d.P.R. n. 309/1990, in riferimento alle c.d. droghe pesanti, secondo la disciplina in
materia di prescrizione antecedente alla novella del 2005, risultava pari ad anni
quindici. La disciplina in materia di sostanze stupefacenti, vigente all’epoca del
fatto per cui si procede (commesso nell’anno 2001), è quella prevista dal d.P.R. n.
309/1990, nella versione antecedente alle modifiche introdotte dal d.l. 30 dicembre
2005, n. 272, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, di
talché la pena per le c.d. droghe pesanti, ai sensi dell’art. 73, comma V, d.P.R. n.
309/1990, va da uno a sei anni di reclusione, oltre la multa. Di riflesso, a mente
del previgente art. 157, cod. pen., secondo il quale al fine del computo della
prescrizione veniva in rilievo anche la concessione delle circostanze attenuanti, il
riconoscimento dell’ipotesi attenuata, per le droghe pesanti, comportava
l’applicazione del termine di prescrizione pari ad anni dieci, aumentabile della metà
per gli atti interruttivi. Del pari, anche applicando la disciplina dettata dal novellato
art. 157, cod. pen., il reato non risultava altrimenti prescritto, alla data in cui è
stata resa la sentenza della Corte di Appello, atteso che la norma ora citata
stabilisce che per determinare il tempo necessario a prescrivere il reato non si tiene
conto delle circostanze attenuanti; e, alla data del 13 luglio 2012, l’ipotesi di cui
all’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990 veniva qualificata, secondo diritto vivente,
come circostanza attenuante.
Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
Deve considerarsi che secondo il costante orientamento espresso dalla
giurisprudenza di legittimità, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa
Suprema Corte ed avallato dalle stesse Sezioni Unite, esula dai poteri della Corte di

prescritto già prima della sentenza di secondo grado.

Cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto, posti a sostegno della
decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito,
senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una
diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze processuali
(Cass. Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997, dep. 02/07/1997, Rv. 207945). E
la Corte regolatrice ha rilevato che anche dopo la modifica dell’art. 606, lett. e)
cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la

motivazione, essendo rimasto preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e
semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o
l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei
fatti (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 17905 del 23.03.2006, dep. 23.05.2006, Rv.
234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si
risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze
esaminate dal giudice di merito (ex multis Cass. Sez. 1, Sentenza n. 1769 del
23/03/1995, dep. 28/04/1995, Rv. 201177; Cass. Sez. 6, Sentenza n. 22445 in
data 8.05.2009, dep. 28.05.2009, Rv. 244181). Ed invero, l’esponente si limita a
prospettare una inammissibile riconsiderazione del compendio probatorio, ad opera
del giudice di legittimità, in riferimento alla destinazione allo spaccio dei
quantitativi di droga di cui si tratta, rinvenuti nella disponibilità del Coppola.
Ciò posto, si osserva che l’inammissibilità del ricorso non impedisce a questa
Corte regolatrice di rilevare di ufficio la prescrizione del reato per il quale si
procede, in ragione delle modifiche normative che sono intervenute dopo il
deposito del presente ricorso. Invero, deve in questa sede ribadirsi l’orientamento
ripetutamente espresso dalla giurisprudenza di legittimità, in base al quale, per il
caso di modifiche normative sopravvenute, l’inammissibilità del ricorso non
impedisce l’adozione di una pronuncia di annullamento da parte della Corte
regolatrice (cfr. Cass. Sez. VI, sentenza n. 21982, del 16 maggio 2013, n. 21982,
Rv 255674, ove l’inammissibilità del ricorso non ha impedito l’annullamento della
sentenza impugnata, in conseguenza della declaratoria di illegittimità costituzionale
della norma applicata al caso di giudizio).
Ai fini di interesse, ci si limita a rilevare che la fattispecie di cui all’art. 73,
comma V, d.P.R. n. 309/1990, per effetto delle richiamate modifiche, deve
qualificarsi come autonoma ipotesi di reato. Invero, il testo della norma in esame,
per effetto delle modifiche introdotte dalla novella ora richiamata, stabilisce
espressamente che “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque
commette uno dei fatti previsti dal presene articolo che, per i mezzi, le modalità o
le circostanze dell’azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze è di lieve
entità, è punito con le pene della reclusione da uno a cinque anni e della multa da

natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della

euro 3.000 a euro 26.000”. L’impiego della richiamata clausola di riserva evidenzia
che la disposizione integra una autonoma fattispecie di reato, rispetto alle più gravi
ipotesi previste dal medesimo art. 73, d.P.R. n. 309/1990.
Ebbene, in riferimento ai limiti di pena oggi riferibili al caso di specie – in
applicazione dell’autonomo reato di cui al V comma, dell’art. 73, d.P.R. n.
309/1990, secondo il principio della retroattività della legge più favorevole – si ha
che il termine di prescrizione, pari ad anni sette e mesi sei, risulta ormai

In assenza dei presupposti legittimanti una pronuncia liberatoria ex art.
129, comma 2, cod. proc. pen., alla luce delle conformi valutazioni espresse dai
giudici di merito in ordine all’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, si
impone l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, essendo il reato
estinto per prescrizione.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché il reato è estinto per
prescrizione.
Così deciso in Roma, in data 7 maggio 2014.

inutilmente decorso.

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