Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32468 del 16/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32468 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: BRUNO PAOLO ANTONIO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da

MACINAI Maurizio, nato a Gaiole in Chianti il 19/11/1951

avverso la sentenza della Corte d’appello di Firenze del 02/02/2012

Visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
sentita la relazione del consigliere Paolo Antonio BRUNO.
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Vito D’Ambrosío, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO

1. Maurizio Macinai era chiamato a rispondere, innanzi al Tribunale di Firenze,
dei reati di cui agli artt. 216 e 217 legge fall. in relazione al fallimento della s.r.l.

Alterala (dichiarato dallo stesso Tribunale con sentenza del 21/09/2005), di cui lo
stesso era amministratore. In particolare, era accusato di avere distratto o dissipato
le giacenze di magazzino; di avere distratto attività aziendali cedendo gratuitamente
alla s.r.l. Maro (da lui stesso gestita) beni strumentali; di avere dissipato attività

Data Udienza: 16/04/2013

aziendali, addossando alla società fallita costi (pari ad C 1033 mensili) per la
retribuzione della dipendente Guerci Giuseppina, che in realtà impiegava
prevalentemente in altre attività commerciale da lui gestite (srl Mero); di tenere
irregolarmente il libro degli inventari, non annotando il dettaglio di magazzino; con
l’aggravante della recidiva reiterata, specifica ed infraquinquennale.

2. Con sentenza del 30/06/2008 il Tribunale dichiarava l’imputato colpevole

recidiva e sull’aggravante contestata di cui all’art. 219, comma 2, legge fall., lo
condannava alla pena di anni due

e mesi sei di reclusione, oltre consequenziali

statuizioni.

3.

Pronunciando sul gravame proposto dal difensore la Corte d’appello di

Firenze, con la sentenZa indicata in epigrafe, riformava in parte la pronuncia
impugnata, assolvendo il Macinai dall’imputazione di cui all’art. 217 , comma 2,
legge fati. con formula

perché il fatto non sussiste e, per l’effetto riduceva la pena

nella misura di anni due di reclusione, confermando nel resto.

4.

Avverso la prOnuncia anzidetta l’imputato, personalmente, ha proposto

ricorso per cessazione, affidato ai motivi di censura indicate in parte motiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di impugnazione parte ricorrente deduce mancanza,
contraddittorietà è marifesta illogicità della motivazione in rapporto alle risultanze
processuali, erroneamente valutate. In particolare, non era stato tenuto conto delle
dichiarazioni del curatore fallimentare, che aveva riferito trattarsi di un’impresa
molto piccola, che non iaveva obbligo della contabilità analitica del magazzino, con
riferimento al contestato mancato reperimento delle giacenze per un valore di C
73.000,00 risultante dal bilancio 2003 e non più riportate in quello del 2004. Non
erano state, altresì, adeguatamente valutate le dichiarazioni testimoniali,
segnatamente quelle del teste Tendini, che aveva riferito di aver aiutato il Macinai
a svuotare il magazzino perché doveva lasciare l’ufficio e di aver visto degli
scatoloni di cui uno non chiuso bene, contenente degli accessori. Inoltre, non si era
tenuto conto che esso istante aveva fornito prova della destinazione dei beni non
reperiti, mentre era del tutto infondato l’assunto secondo cui egli avrebbe ceduto
gratuitamente beni strumentali alla s.r.l. Maro, senza considerare che il pagamento
era avvenuto in contanti per cassa, come da regolare fattura prodotta. Era, altresì,
illogica la condanna in riferimento al pagamento per cassa pur in presenza di
regolare fattura ed all’assoluzione dal reato di bancarotta semplice per ritenuta

2

dei reati a lui ascritti e, concesse le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle

insussistenza di un obbligo di dettaglio. Infondatamente, infine, era stata ritenuta
l’ipotesi delittuosa con riferimento alle prestazioni lavorative di Guerci Giuseppina,
nonostante le dichiarazioni della stessa fossero assolutamente generiche, non
essendo stata in grado di indicare le precise mansioni e le attività che avrebbe
svolto presso la società Maro.
Il secondo motivo lamenta violazione dell’art. 192 cod. proc. pen., sul rilievo
che l’affermazione di colpevolezza era stata ribadita in mancanza di idonei elementi

2. Le censure anzidette

esaminabili congiuntamente per l’identità di ratio

contestativa che le accomuna – sono inammissibili in quanto afferenti a questioni
prettamente di meritof che nel tessuto giustificativo dalla sentenza impugnata
hanno trovato ampia e pertinente risposta. Ed invero, non merita censura di sorta il
compendio motivazionale in virtù del quale la Corte territoriale, sulla base della
compiuta rivisitazione delle risultanze processuali, ha espresso argomentato
convincimento di penale responsabilità dell’imputato in ordine alla residua
contestazione.
In particolare, è giuridicamente ineccepibile l’insieme argomentativo che ha
confermato il giudizio di colpevolezza a carico del Macinai, in ordine al reato di
bancarotta fraudolenta patrimoniale, in applicazione di consolidata regola di giudizio
in subiecta materia, seicondo cui, in presenza di accertata mancanza di beni che

avrebbero dovuto far parte del patrimonio sociale, grava sull’imputato l’onere della
prova della destinazione degli stessi beni e della relativa destinazione al
soddisfacimento delle flOalità imprenditoriali, ben potendo, in mancanza di idonea è
plausibile giustificazione, presumersi l’avvenuta distrazione, senza che un siffatto
regime probatorio possa integrare indebita inversione dell’ordinario onus probandi
(cfr., tra le altre, Cass. Sez. 5, 15.12.2004, n. 3400, rv 231411).
Ogni altra doglianza di parte deve essere disattesa a fronte di contesto
argomentativo, che, per quanto si è detto, è da ritenere congruo ed immune da vizi
di sorta.
3. Per quanto precede, ricorso è inammissibile e tale va, dunque, dichiarato
con le consequenziali statuizioni dettate in dispositivo.

P.Q.M.

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probatori e sulla base di mere congetture ed ipotesi di verosimiglianza.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al iversamento della somma di C 1000,00 in favore della Cassa
delle Ammende.

Così deciso il 18/04/2013

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