Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32463 del 22/03/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32463 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: BEVERE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE BERARDINIS ROBERTO N. IL 02/10/1959
avverso la sentenzan. 1363/2010 CORTE APPELLO di ANCONA, del
28/06/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/03/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANTONIO DE VERE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. -4 &vo isnsi(cAL
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. S 012,6_,V3

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Data Udienza: 22/03/2013

FATTO E DIRITTO
Con sentenza 28.6.2012, la corte di appello di Ancona ,in riforma della sentenza 20.7.09 del
tribunale di Ascoli Piceno, sezione di San Benedetto del Tronto, impugnata dal P.M. , ha
condannato, previa concessione delle attenuanti generiche , De Berardinis Roberto, dirigente del
settore Servizi Sociali del comune di San Benedetto del Tronto, alla pena di 4 mesi di reclusione,
al risarcimento dei danni, liggidati in e 6.000, alla rifusione delle spese in favore della parte civile,
perché ritenuto colpevole del reato di violenza privata, in danno dell’impiegata del medesimo
ufficio Leli Manuelita.
Il difensore ha presentato ricorso per i seguenti motivi , integrati con memoria ,pervenuta il 15
marzo u.s.:
1. vizio di legge, in riferimento agli artt. 6 e 46 della CEDU, 111 e 117 co. 1 Cost.,533,603,
530 cpp : il giudizio di secondo grado si è svolto a seguito dell’impugnazione proposta dal
P.M.,limitatamente alla pronuncia di assoluzione, da parte del tribunale, del De Berardinis
dal reato di violenza privata, mentre non ha esaminato l’impugnazione della parte civile
avverso la pronuncia di assoluzione dai reati di violenza privata, lesioni e ingiuria, per
omessa notifica dell’atto di appello all’imputato. Secondo il ricorrente, la corte territoriale,
conformemente alla Sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 5.7.2011(Dan
contro Moldavia) e ai principi del giusto processo ex art. 6 CEDU, avrebbe dovuto rinnovare
integralmente l’istruttoria dibattimentale, non potendosi risolvere il giudizio di appello in un
mero controllo sul piano documentale . Nel procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria
della Moldavia„ la corte di merito aveva accolto l’appello della procura e ,aveva ribaltato la
sentenza di assoluzione ,senza esaminare i testimoni , ma valutando diversamente le loro
dichiarazioni e ritenendo attendibili quelle accusatorie, senza rilevare importanti
contraddizioni. La corte di appello di Ancona, con motivazione apparente, non solo ha
omesso di riascoltare direttamente i testi ,nell’ambito della corretta dialettica processuale in
cui si sostanzia “il ginsto processo “europeo ex art. 6 della CEDU, ma ha travisato
radicalmente il contenuto delle loro deposizioni, rese nel corso del giudizio di primo grado e
ha anche attribuito all’imputato un’inesistente ammissione degli elementi costitutivi del
reato. In tal modo ha idisatteso il principio ermeneutico fissato dalla Corte Europea ,con la
sentenza che — stante la forza vincolante della norme della Convenzione Europeacostituisce il diritto vivente a cui devono conformarsi il legislatore e la magistratura di ogni
Stato aderente.
Pertanto costituisce un vero e proprio errore procedurale, a norma dell’art. 606 co. I lett. b)
cpp , la prassi ,non sostenuta da alcuna disposizione normativa, di effettuare un riesame
cartolare delle prove testimoniali assunte in primo grado, nel processo di appello celebrato a
seguito di impugnativa del P.M. Ciò si evince dalle statuizioni dell’ordinanza n. 34472 del
19.4.2012 delle S.U. penali, che chiariscono l’efficacia extra processuale delle sentenze della
CEDU . Quindi gli effetti della citata sentenza 5.7.2011 devono trovare ingresso nel presente
procedimento, mediante intervento adeguatore del giudice di legittimità, cassando per evidente
errore in procedendo la sentenza impugnata, a norma dell’art. 606 cpp, violativo dell’art. 6
CEDU.
2. vizio di motivazione ,in relazione alla violazione del diritto di difesa e del contraddittorio,
conseguente all’omessa notifica dell’appello della parte civile : la mancata conoscenza dei
motivi dell’impugnazione ha impedito all’imputato di esercitare il diritto di impugnazione
in via incidentale,per contrastare le pretese avanzate dalla parte civile e per ottenere la sua
condanna alla rifusione delle spese del giudizio di primo grado , sulle quali il primo giudice
non si è pronunciato. Inoltre, la corte, pur affermando di non esaminare le argomentazioni
contenute nell’atto di impugnazione, in realtà ne ha tenuto conto, come risulta dalla
condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile.

Il ricorso è manifestamente inliondato.
La doglianza sulla violazione del principio ermeneutico fissato dalla Corte Europea nella citata
sentenza del 5.7.2011(Dan contro Moldavia) è formulata sull’errato presupposto che la corte di
appello di Ancona abbia compiuto —attraverso l’omissione del nuovo esame dei testi e attraverso un
esame cartolare delle loro deposizioni — una diversa valutazione delle prove dichiarative,
travisandone il contenuto e attribuendo all’imputato un’inesistente ammissione del fatto
contestatogli. Di qui una dive4a ricostruzione del fatto , in violazione della corretta dialettica
processuale , in cui si sostanzia il “giusto processo” ex art. 6 della CEDU.
Tale assunto critico è del tutto privo di fondamento. Al di là dell’assenza di riferimento a una
richiesta, da parte dell’interessato, di riapertura dell’istruttoria dibattimentale, va rilevato che dagli

3. vizio di motivazione in riferimento all’affermazione di responsabilità per il delitto di
violenza privata : la corte ha fondato la decisione sulle dichiarazioni della donna, sebbene la
giurisprudenza affermi che il convincimento del giudice non si può formare con il narrato
del querelante o del denunciante, tanto più se è parte civile e quindi portatrice di interessi
economici ; inoltre ha richiamato genericamente le dichiarazioni di tre testimoni senza tener
conto delle contrarie deposizioni di oltre dieci testi oculari. , che sono riportate nel ricorso
Quanto alle lesioni , è da escludere che sia derivata una malattia , che abbia negativamente
inciso sull’incolumità fisica della Leli ( come risulta dal contenuto della documentazione
sanitaria, riportato nei motivi dell’impugnazione ) . Sulla scorta delle dichiarazioni
testimoniali e della documentazione, il ricorrente formula una valutazione radicalmente
negativa sulla esistenza e sulla consistenza della motivazione della sentenza impugnata;
4. violazione di legge e vizio di motivazione in riferimento alla negata sussistenza di cause di
giustificazione , quali la legittima difesa, l’esercizio di un diritto, l’adempimento di un
dovere, dello stato di necessità, dell’eccesso colposo : la parte civile ha tenuto
comportamenti penalmente rilevanti, quali l’oltraggio a pubblico ufficiale, la diffamazione,
o quanto meno l’ingiuria, inosservanza di provvedimenti dell’Autorità, resistenza a pubblico
ufficiale , l’interruzione di un pubblico servizio. Sotto quest’ultimo profilo, del tutto
legittimamente il dottOr De Bernardinis si era rappresentato la necessità, impostagli dalla
legge, di far cessare 1* permanenza del reato ex art. 340 cp . La corte di appello avrebbe
dovuto applicare il principio formulato proprio in tema di violenza privata (sez. V, n.
5423/1989; id. 7.6.1988) , secondo cui ,ai fini della sussistenza o meno del reato di violenza
privata, la coazione deve ritenersi giustificata non solo quando ricorra una delle cause di
giustificazione previste dagli artt. 51 e 54, ma anche quando la violenza o la minaccia siano
in concreto adoperate per impedire l’esecuzione o la permanenza del reato. Il delitto viene
meno se risulta che l’agente aveva il diritto di imporre con violenza o minaccia una
determinata condotta positiva o negativa. Vi è rilevare che all’imputato, pubblico ufficiale,
datore di lavoro della Leli, dirigente pubblico di ruolo spettavano i doveri di cui all’art. 107
d,lgs 267/2000, ai fini della cura del corretto funzionamento degli uffici e servizi assegnati
alla propria competenza. Tenuto conto delle risultanze processuali, in definitiva,l’azione di
sospingimento contenitivo , di certo non aggressivo della parte offesa, posta in essere dal
dirigente (le cui modalità assolutamente non aggressive sono state confermate dal passaggio
in giudicato del capo della sentenza che ha riconosciuto come inesistenti le lesioni personali
per 98 giorni di malattia lamentati dalla donna ) era finalizzata, in ragione della funzione
istituzionale di cura e garanzia, conferitagli dal citato art. 107 a far cessare i numerosi reati
che lei stava consumando.
5. violazione di legge in riferimento all’art. 157 c.p. , per mancata declaratoria di estinzione del
reato per prescrizione, e dell’art. 578 cpp ,per il mancato riconoscimento dell’insussistenza
di un danno ricollegabik alla condotta dell’imputato , nonché per ingiusta e immotivata
quantificazione del daini» medesimo.

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1T,

atti emerge che la corte di appello di Ancona, lasciando sostanzialmente invariata la valutazione
delle dichiarazioni testimoniaIi e prendendo atto delle innegabili ammissioni del De Bernardinis ,
ha conseguentemente lasciate inalterata la ricostruzione dei fatti compiuta dal primo giudice.
E’ risultato quindi confermato che
a) la condotta incriminata “è stata riconosciuta dallo stesso imputato, che sin dalla prima
udienza, in sede di dichiarazioni spontanee, ha ammesso che, dopo aver discusso all’interno
del suo ufficio, la Leli sarebbe uscita sbattendo la porta e nonostante lui la seguisse in
corridoio invitandola a rientrare per concludere il discorso iniziato, la donna continuava a
camminare lungo il corridoio e cominciava a chiamare provocatoriamente aiuto, urlando di
non menarla nonostante tra i due vi fossero diversi metri di distanza”(sent. Trib. pag .10) ;
b) che la Leli, giunta dinanzi alla propria stanza veniva raggiunta dall’imputato che, “preso
atto che la stessa non desisteva dal suo comportamento, la spingeva sino alla sua scrivania
imponendole di sedersi… .la invitava verbalmente ad entrare nella propria stanza e ,visto il
suo rifiuto, la sospingeva sino alla sua scrivania facendola sedere sulla sua sedia” (seni, trib.
pagine 10 e 11).
Questa identica premessa storica è stata però diversamente valutata dai giudici di merito :
secondo il tribunale “il rifiuto della Leli di rientrare nella propria stanza e sedersi alla sua scrivania
per riprendere il lavoro assume il carattere dell’illegittimità per cui l’azione posta in essere
successivamente dall’imputato deve considerarsi scriminata ai sensi dell’art. 51, integrando
l’esercizio di un diritto o l’adempimento di un dovere. Né può sostenersi che il Dirigente di fronte
alle offese rivoltegli dalla dipendente e alla sua plateale insubordinazione agli ordini impartiti
avrebbe dovuto limitarsi a promuovere nei suoi confronti un procedimento disciplinare. Infatti il
mero ricorso ad una segnalazione scritta non era in alcun modo in grado di porre fine al
comportamento della Leli che, nell’immediato, con il suo perdurare, creava una situazione di
profondo disagio sia al Dirigente che vedeva gravemente delegittimata la propria funzione, sia gli
altri dipendenti che, accorsi in corridoio, assistevano alla scena, sia infine agli utenti presenti
essendosi i fatti svolti in orario di apertura al pubblico dell’Ufficio”(pag.12.).
La corte di merito , prende atto che il giudice di primo grado aveva ricostruito un indubbio atto di
costrizione fisica del De Bernardinis nei confronti della donna e che ne aveva” escluso
l’antigiuridicità penale ricollegando la violenza adoperata all’attuazione di una pretesa legittima,
quella dell’amministrazione al corretto adempimento della prestazione lavorativa di Leli
Manuelita, e di un comportamento doveroso da parte della dipendente”.
Questa pretesa al corretto adempimento della prestazione lavorativa,esercitabile con la coercizione
fisica nei confronti di un lavoratore subordinato , è stata ritenuta dalla corte di appello estranea al
nostro ordinamento giuridico. “I diritti del datore di lavoro alle prestazioni consistenti in un
facere non sono coercibili sotto alcun profilo: né sul piano naturalistico, trattandosi di
comportamenti personali volontari, né sul piano del diritto positivo, che prevede l’esecuzione
coattiva degli obblighi di fare solo per comportamenti surrogabili , che non discendano da intuitus
personae, mentre la tutela verso gli inadempimenti di obblighi incoercibili resta essenzialmente
risarcitoria”. Secondo il giudifpe di appello ,al di là dei danni fisici, la condotta di violenta
imposizione di un fàcere al lavoratore subordinato , risulta gravemente lesiva della dignità
personale e della libertà di autOdeterminazione . Il nostro ordinamento prevede come unici rimedi “i
normali e leciti strumenti amministrativi disciplinari di cui può e deve disporre il dirigente”.
Correttamente, in conformità ai criteri interpretativi dell’esimente ex art. 51 c.p. , la corte ha negato,
sia pure per implicito , alla condotta dell’imputato il requisito della proporzionalità, immanente a
tutte le cause di giustificazione. Secondo un condivisibile orientamento giurisprudenziale, la
coazione, anche quando sia usata per impedire la commissione di un reato (ipotesi non configurata
a carico della Leli) non può prescindere da un criterio di proporzionalità tra il mezzo adoperato e il
fatto trasgressivo che si intendeva evitare, “proporzionalità certamente necessaria, se si vuole che
l’asserito esercizio di un diritto non si tramuti nell’ingiustificata lesione del bene altrui”(sez. 5, n.
5423 del 7.6.1988, Bajona) .

r1•1. .11`.11, II,

Quanto alla doglianza relativa alla violazione del diritto di difesa e del contraddittorio sul piano
delle statuizioni civili e del pagamento delle spese processuali , va rilevato che nessuna censura è
formulabile nei confronti della presa d’atto del giudice di appello, del mancato instaurarsi del
rapporto processuale tra le parti, nell’ambito del giudizio civile, a seguito della omessa notifica
all’imputato dell’appello della parte civile.
Nessuna censura è ugualmente formulabile in ordine alle statuizioni civili relative alla condanna
del De Beriardinis al risarcimento dei danni e al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile
Secondo un consolidato e condivisibile orientamento interpretativo , il giudice di appello, che su
gravame del solo pubblico ministero, condanni l’imputato assolto nel giudizio di primo grado, deve
provvedere anche sulla domanda della parte civile che non abbia impugnato la decisione
assolutoria( S. U. n.30327 del 10.7.02, rv 222001, conf. sez. 5 ,n. 16961 del 12.2.2010,rv
246876).
La determinazione della somma ,liquidata dalla corte di merito, a titolo di risarcimento del danno
morale e biologico, è insuscettibile di censura , in virtù della sua razionale adeguatezza all’entità
della sofferenza causata alla Lelli dalla violenta aggressione. Va anche rilevata la sua piena
conformità alla forma equitatiVa: secondo un consolidato e condivisibile orientamento
giurisprudenziale, unica forma possibile di liquidazione di danni privi di caratteristiche
patrimoniali è quella equitativa , in cui la dazione di somma di denaro non è reintegratrice di una
diminuzione patrimoniale, ma compensativa di un pregiudizio non economico. E’ quindi
logicamente escluso che il giuglice abbia l’obbligo — in assenza di parametri normativi di
commutazione — di scandire gli specifici elementi valutativi da lui considerati nella quantificazione
della entità del danno e della correlata dimensione del ristoro pecuniario, a fronte di accertati
comportamenti ,che inequivocabilmente sono da ritenere, secondo la comune esperienza e secondo
consolidati criteri della civile convivenza- fonte di sofferenza per chi ne sia stato investito.
Quanto alla richiesta di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, il preciso calcolo del
tempo trascorso dalla data della sua consumazione conduce a ritenere che il termine di 7 anni e 6
mesi non è ancora maturato.
Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al pagamento della somma di E 1.000 in favore della Cassa della Ammende, nonché
alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile, che liquida in complessivi e 2.000,00, oltre
accessori secondo legge.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di E 1.000,00 in gavore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese
sostenute dalla parte civile, che liquida in complessivi E 2.000,00, oltre accessori secondo legge
Roma,

La conclusione a cui è giunta la corte di merito è quindi non solo improntata a una fedele
conformità alle risultanze proeessuali e a una razionale esposizione delle ragioni che la giustificano,
ma è anche in perfetta armonia con intangibili principi costituzionali in tema di diritti fondamentali
della persona e del principio di uguaglianza : la diversità di funzioni tra imputato e persona offesa,
scandita nella sentenza di primo grado(“deve ricordarsi che il De Berardinis non era collega della
persona offesa bensì il suo Digigente”) non può tradursi in una diversità di posizione sul piano della
dignità personale all’interno dei rapporti umani e professionali.

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