Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32459 del 16/07/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 32459 Anno 2014
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: CAPOZZI ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PEZZULLO ANGELO N. IL 01/07/1970
AULETTA ANTONIO N. IL 18/06/1977
CRISPINO DOMENICO N. IL 18/12/1990
avverso l’ordinanza n. 2054/2014 TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI, del
24/04/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELO CAPOZZI;
leAte/sentite le conclusioni del PG Dott. RASI) N&1c4/T R.9 eh,
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Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 16/07/2014

Considerato in fatto e ritenuto in diritto

1.

Con ordinanza del 24.4.2014 il Tribunale del riesame di Napoli,
pronunciandosi quale giudice di rinvio a seguito di sentenza di
annullamento di questa Corte di cassazione, ha confermato l’ordinanza
di custodia cautelare in carcere emessa il 9.5.2013 dal GIP del Tribunale

CRISPINO Domenico, indagati per il reato di cui agli artt.110,81,56,629
co. 2 in riferimento all’art. 628 co. 3 nn. 1) e 3) c.p. e 7 I.n. 203/91.
2.

Avverso la ordinanza propongono ricorso per cassazione il difensore
di PEZZULLO Angelo e, personalmente, AULETTA Antonio e CRISPINO
Domenico deducendo la identica doglianza di violazione degli artt.56
c.p., 273 e 125 c.p.p. in relazione all’art. 606 lett.b) ed e) c.p.p.. In
particolare si denuncia il difetto della motivazione in ordine alla univocità
degli atti minacciosi rispetto al delitto estorsivo, confondendosi – da
parte del provvedimento impugnato – l’idoneità dell’azione, che risiede
nella sua intrinseca e potenziale minacciosità con la univocità della
stessa, che impone di valutare in concreto se gli atti posti in essere, per
il grado di sviluppo raggiunto, lasci prevedere come verosimile la
consumazione del delitto estorsivo, posto che – nella specie – la frase
profferita dagli indagati non reca in sé alcun riferimento univoco e chiaro
al proposito di voler consumare una estorsione; né potendosi la
univocità desumersi, come erroneamente ritenuto dalla ordinanza, dalle
analoghe richieste avanzate nei confronti degli altri imprenditori, rispetto
alle quali alcuna ipotesi di reato è stata elevata; né, ancora, detta
univocità potendosi desumere dai commenti tra AULETTA e PEZZULLO
che non fanno riferimento alla vicenda in esame o ad altre analoghe
rispetto a soggetti identificati.

3.

I ricorsi sono inammissibili perché generici ed in fatto.

4.

La sentenza di annullamento ha posto il principio di diritto secondo il
quale l’accertamento dell’idoneità e della direzione non equivoca degli
atti del tentativo deve essere svolto sulla base di un giudizio “ex ante”
che tenga conto delle intrinseche connotazioni dell’atto stesso, e, quindi,
della concreta situazione ambientale in cui l’atto è stato posto in essere,
nonché della connotazione storica del fatto, delle sue effettive
implicazioni con riferimento alla posizione dell’agente e del destinatario
della condotta e del suo significato alla luce delle consuetudini locali.

/1

di Napoli nei confronti di PEZZULLO Angelo, AULETTA Antonio e

(Fattispecie in tema di tentata estorsione aggravata “ex” art. 7 L. 10
luglio 1991 n. 252)(Cass. Sez. 5, n. 34242 del 01/07/2009 Rv. 244915
Palmiero e altri).
5.

La ordinanza impugnata, in applicazione del principio di diritto posto,
ha ricostruito la univocità degli atti posti in essere dagli indagati
considerando l’espressione utilizzata dagli indagati («dici al titolare di
non scordarsi degli amici di Frattamaggiore»), il contesto in cui fu

riflesso intimidatorio patito dalla stessa persona offesa (rivelato dalla
sua parziale reticenza); oltre tali connotazioni dello specifico episodio è
valorizzato il più ampio contesto in cui questo avvenne , costituito dalle
analoghe richieste avanzate nei confronti degli altri imprenditori che
avevano la loro fabbrica contigua a quella della persona offesa in uno
alla emergenza costituita dal colloquio tra l’AULETTA ed il PEZZULLO
sulla gestione delle attività illecite nel territorio da essi controllato.
6.

Cosicchè le doglianze mosse dai ricorrenti si palesano una parziale
riproposizione di questione di fatto che – appuntandosi sulla espressione
verbale e senza considerare il contesto in cui fu pronunciata e gli effetti
che ebbe a produrre – tende a proporre una diversa valutazione
probatoria, improponibile in questa sede di legittimità, senza
confrontarsi con la più completa motivazione resa dalla ordinanza.

7.

Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di euro
1.000,00 in favore della cassa delle ammende.

8.

Devono disporsi gli adempimenti di cancelleria di cui all’art. 94 co. 1
ter disp. att. c.p.p..

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno della somma di euro 1.000,00 in favore
della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti
di cui all’art. 94 co. 1 ter disp. Att. C.p.p..
Così deciso in Roma, 16.7.2014.

espressa ( una «visita» nella sede della ditta della persona offesa), il

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