Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32455 del 16/07/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 32455 Anno 2014
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Feliciotto Graziella, nata a Roccalumera il 02/07/1959

avverso l’ordinanza del 24/03/2014 del Tribunale di Messina;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Aldo
Policastro, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’imputata l’avv. Alberto Gullino, che ha concluso chiedendo
l’annullamento della ordinanza impugnata.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Messina, in accoglimento
dell’appello

ex art. 310 cod. proc. pen. avanzato dal P .M., annullava il

provvedimento del 22/01/2014 con il quale il Collegio dello stesso Tribunale,
quale giudice del dibattimento, aveva revocato la misura degli arresti domiciliari

Data Udienza: 16/07/2014

alla quale era stata sottoposta Graziella Feliciotto, in relazione ad una serie di
reati di truffa aggravata, e disponeva nei riguardi della prevenuta la meno
gravosa misura del divieto di dimora nel comune di Messina.
Rilevava il Tribunale come gli elementi evidenziati dal Collegio del dibattimento
– il decorso del tempo, l’intervenuta apertura dell’istruttoria dibattimentale e
l’avviso dell’attività di assunzione delle prove – fossero ‘neutri’ e, comunque,
inidonei a far ritenere oramai cessata la già riconosciuta esigenza di evitare che
l’imputata potesse tornare a commettere reati della stessa specie di quelli

contestazione ed il tempo trascorso in stato di arresto in casa potesse giustificare
ad applicare la suddetta meno gravosa misura cautelare, in ogni caso idonea a
fronteggiare i residui bisogni di cautela.

2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso la Feliciotto, con atto
sottoscritto dal suo difensore avv. Alberto Gullino, il quale ha dedotto i seguenti
due motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 416, 314, 640 bis, 316 ter e 323
cod. pen., 310, 597, comma 1, 125, comma 3, 273, 274 e 275 cod. proc. pen., e
vizio di motivazione, per avere il Tribunale dell’appello, in violazione del principio
devolutivo, disposto il ripristino della anzidetta misura cautelare:
a) senza effettuare una nuova ed autonoma verifica della permanenza delle
esigenze cautelari;
b) motivando la propria decisione ‘per relationem’ con una impropria trascrizione
del contenuto delle precedenti ordinanze adottata da quel Tribunale in sede di
riesame, peraltro neppure presenti nel fascicolo del procedimento;
c) disattendendo la disposizione che stabilisce la incompatibilità dei componenti
del collegio rispetto alle precedenti decisioni cautelari;
d) valorizzando, per l’affermazione di persistenza delle esigenze cautelari, dati
non corrispondenti al vero ed elementi puramente congetturali, senza
considerare che l’associazione Aram facente capo alla Feliciotto non è più
operativa, essendo stati sottoposti a sequestro tutti i conti ad essa intestati, e
che alla stessa è stato ritirato, con atti amministrativi oramai definitivi,
l’accredito per assumere iniziative di formazione per la Regione Sicilia.
2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 416, 640 bis, 316 ter, 323 e 479
cod. pen., 273 e 274 cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per avere il
Tribunale di Messina erroneamente ed illogicamente ritenuto la sussistenza dei
gravi indizi di colpevolezza a carico della Feliciotto in ordine ai delitti ascrittile,
laddove nessun artificio o raggiro era stato utilizzato dalla prevenuta; le condotte
tenute erano rispettose delle specifica regolamentazione regionale in materia di
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addebitatile; ma che il ruolo rivestito dalla Feliciotto nelle vicende in

conflitti di interesse, talché l’imputata aveva agito, comunque, senza il
necessario dolo; le iniziative non erano state dirette al conseguimento di alcun
ingiusto profitto; l’asserita incongruità dei costi (e non anche la loro fittizietà,
che era stata esclusa, essendo state le spese effettivamente sostenute) era stata
determinata sulla base di parametri disomogenei ovvero di dati sganciati dai
principi elementari della scienza commercialistica, e, in ogni caso, avrebbero al
più integrato gli estremi di una esposizione menzognera o di un silenzio
antidoveroso, qualificanti il reato di cui all’art. 316 ter cod. pen., meno grave

non era stato dimostrato.

3. Ritiene la Corte che il ricorso vada accolto, sia pure nei limiti di seguito
precisati.

3.1. Il primo motivo del ricorso è, nelle sue varie articolazioni, infondato.
Premesso che pacificamente non sussiste alcuna incompatibilità ex art. 34 cod.
proc. pen. a comporre il collegio, chiamato a pronunciarsi su un appello ai sensi
dell’art. 310 cod. proc. pen., per i magistrati che hanno composto il collegio che
in precedenza aveva deciso sulla richiesta di riesame a mente dell’art. 309 del
codice di rito avverso l’originario provvedimento genetico della misura cautelare,
va rilevato come sia priva di pregio la doglianza concernente la tecnica
argomentativa impiegata nell’ordinanza gravata: la quale presenta sì una
motivazione che fa espressamente rinvio al contenuto della pronuncia del
riesame; tuttavia, si tratta di una tecnica pacificamente ammissibile
ogniqualvolta – come nella fattispecie è accaduto – il giudicante valorizzi la
motivazione

per relationem,

utilizzando un richiamo al tenore di altro

provvedimento conosciuto o conoscibile alle parti, che sia congruo rispetto
all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento che opera il rinvio, e che
il giudice ‘rinviante’ dimostri di aver inteso valorizzare, mediare e fare proprio in
maniera funzionale rispetto alla spiegazione della propria decisione (così a
partire da Sez. U, n. 17 del 21/06/2000, Primavera Rv. 216664; conf., in
seguito, tra le diverse, Sez. 4, Sentenza n. 4181 del 14/11/2007, Benincasa, Rv.
238674; Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, Esposito, Rv. 229246).
Nel merito va evidenziato che la motivazione del provvedimento impugnato si
presenta completo, congruo e privo di manifesti vizi di logicità, avendo il
Tribunale di Messina, per un verso, sottolineato come il Giudice di dibattimento
avesse irragionevolmente giustificato la revoca della misura cautelare in corso
con un’asserita sopravvenuta cessazione delle già riconosciute esigenze cautelari
per circostanze di valore sostanzialmente ‘neutro’ – quali il decorso del tempo,

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rispetto alla truffa; il concorso morale nel supposto falso ideologico del revisore

l’avviato giudizio e l’instaurata istruttoria dibattimentale – per altro verso, posto
in evidenza come l’assoluta gravità di condotte truffaldine, poste dalla Feliciotto
in essere in danno dell’ente regionale con la prolungata appropriazione di milioni
di euro di contributi pubblici, e come la personalità della predetta,
negativamente lumeggiata da una non comune disinvoltura e spregiudicatezza
nel dirigere un sistema complesso ed organizzato di iniziative delittuose,
avessero dimostrato la sussistenza di un concreto rischio che la stessa potesse
tornare a commettere reati della stessa specie di quelli per i quali si procede:

Giudici della cautela, ancora nel dicembre del 2012, Elio Sauta, marito della
Feliciotto e con questa amministratore della Aram, era stato intercettato nel
mentre con altri suoi correi stava programmando ulteriori iniziative per ‘aggirare’
la revoca degli accrediti ed il blocco dei finanziamenti ordinati dagli uffici
regionali, con il ‘dirottamento’ dei denari pubblici verso nuovi enti di formazione.
Argomenti rispetto ai quali la ricorrente si è limitata a proporre una alternativa
ricostruzione dei dati fattuali a disposizione, in pratica sollecitando una differente
lettura di quei dati di conoscenza, non consentita in questa sede di legittimità.

3.2. Il secondo motivo del ricorso è inammissibile per violazione per principio
devolutivo.
Costituisce ius receputm nella giurisprudenza di legittimità il principio per il
quale il tribunale in sede di appello ex art. 310 cod. proc. pen., a differenza di
quello del riesame, per il quale si prescinde dal principio di stretta devoluzione,
ha cognizione circoscritta ai punti della decisione che hanno formato oggetto di
censura, secondo la norma generale di cui all’art. 597, comma 1, cod. proc. pen.
L’appello ex art. 310, infatti, implica il cosiddetto giudicato cautelare, e cioè una
situazione immutabile rebus sic stantibus, sicché le parti hanno un onere di
doglianza specifica cui fa riscontro un obbligo specifico di decisione, con
conseguente impossibilità di andare ultra petita, al di fuori dell’ambito devoluto
(così, tra le tante Sez. 6, n. 6592, del 25/01/2013, Rv. 254578; Sez. 1, n. 43913
del 02/07/2012, Rv. 253786; Sez. 6, n. 19008 del 17/04/2012, Rv. 252874).
In applicazione di tale regula iuris bisogna prendere atto come, mentre era
consentito l’esercizio da parte del Tribunale del più ampio potere di
argomentazione delle ragioni afferenti ai bisogni di cautela, ogni questione
concernente la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e la configurabilità dei
reati contestati all’imputata è estranea all’odierno

thema decidendum,

circoscritto dall’appello presentato dal P.M. alle sole questioni inerenti alla
esistenza delle esigenze di cautela ed al ripristino di una misura nei riguardi della
prevenuta.
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pericolo attuale se è vero che, come convincentemente posto in evidenza dai

4. E’ fondata, invece, la doglianza finale in ordine al vizio di motivazione circa
la scelta della misura di cui è stata disposta l’applicazione, apparendo priva di
adeguata giustificazione la decisione, basata solo su un generico riferimento alla
necessità di tenere l’interessata lontano dal /ocus commissi delicti, di applicare la
lieve misura del divieto di dimora nel comune di residenza di Messina per fare
fronte all’indicato bisogno di tutela della collettività rispetto alla tipologia dei

Tanto impone l’annullamento della ordinanza impugnata con rinvio, per nuova
deliberazione su tale specifico aspetto, al Tribunale di Messina.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia, per nuova deliberazione, al Tribunale di
Messina.
Così deciso il 16/07/2014

reati contestati.

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