Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32454 del 21/03/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 32454 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Carta Luigi Augusto, nato a Cagliari il 16/09/1936
avverso la sentenza del 20/04/2011 della Corte d’appello di Cagliari R.G. n.
664/2008
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione svolta dal Consigliere Dott. Giuseppe De
Marzo;
udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. Alfredo Montagna, che ha
concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza impugnata, Luigi Antonio Carta e suo figlio Pietro, soci
illimitatamente responsabili di una s.n.c. dichiarata fallita in data 29/10/1999,
sono stati condannati alla pena ritenuta di giustizia, in relazione a fatti di
bancarotta fraudolenta documentale.
La decisione ha rilevato: che i due imputati erano soci al 50% della s.n.c.,
costituita in data 13/12/1994; che, a seguito della dichiarazione di fallimento,
pronunciata per effetto dell’iniziativa di alcuni creditori e della domanda
presentata dal medesimo Luigi Antonio Carta, il curatore era riuscito ad ottenere
da quest’ultimo parte della documentazione contabile; che il curatore era riuscito
ad accertare l’entità del passivo (euro 252.247,25), ma non anche, per la

Data Udienza: 21/03/2013

mancanza delle scritture contabili successive al 31/05/1996, la destinazione della
somma di lire 155.500.000, che risultava prelevata dai conti sociali a mezzo di
assegni sottoscritti dai due soci; che nessun bene mobile o immobile era stato
acquisito alla procedura, né era stato possibile verificarne l’esistenza alla data
della dichiarazione di fallimento, per la mancanza delle scritture successive al
31/05/1996, per l’omessa registrazione delle fatture di acquisto e di vendita
Inerenti agli atti successivi al 30/09/1998, per la mancata compilazione del libro
dei beni ammortizzabili e l’assenza del libro degli inventari; che era del tutto
condotte poste in essere dal figlio, anche per avere concorso con la sua
sottoscrizione, ai prelievi che avevano determinato un aggravio della situazione
finanziaria di dissesto; che, in ogni caso, in quanto amministratore di diritto, egli
era responsabile per non avere impedito l’evento che aveva l’obbligo di impedire;
che le iniziative assunte da Luigi Antonio Carta risalivano ad epoca ampiamente
successiva al manifestarsi in modo palese della situazione di dissesto; che, in
definitiva, anche Luigi Antonio Carta doveva rispondere della strategia di
distrazione o distruzione di documenti finalizzata ad impedire la ricostruzione del
patrimonio e a pregiudicare gli interessi dei creditori.
2. Nell’interesse di Luis$1 Antonio Carta è stato proposto ricorso per cassazione,
affidato ad un unico articolato motivo, con il quale si lamenta, ai sensi dell’art.
606, comma 1, lett. b), e), cod. proc. pen., inosservanza ed erronea applicazione
dell’ad 43 cod. gen., nonché mancanza ed illogicità manifesta di motivazione.
In particolare, il ricorrente rileva l’assenza di dolo nella sua condotta, alla luce
della posizione formale di socio da lui assunta e del legame parentale con l’altro
socio, il quale aveva mostrato assoluto disinteresse rispetto alle richieste del
curatore ed era il beneficiario esclusivo di una serie di assegni a carico della
società: in tale contesto fattuale, egli non aveva potuto fare altro, una volta
accertato il dissesto che il figlio stava cagionando, che presentare in proprio la
domanda di fallimento e attivarsi, per quanto gli era stato possibile, per
recuperare e consegnare la documentazione contabile della società fallita.
Il ricorrente aggiunge che la materialità del reato a lui ascritto richiede una
condotta attiva e non meramente omissiva.
Infine, si censura il trattamento sanzionatorio, alla luce del comportamento
collaborativo assunto, e il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, in
quanto i precedenti penali valorizzati dalla Corte erano datati e, per lo più,
depenalizzati.
Considerato in diritto

1. Il motivo di ricorso, nelle sue varie articolazioni, è inammissibile.

2

Inverosimile in tale contesto che Luigi Antonio Carta non fosse consapevole delle

La Corte territoriale ha fondato le sue conclusioni, in ordine alla sussistenza
dell’elemento soggettivo del reato contestato, puntualmente rilevando che la
posizione di mero socio formale del ricorrente era smentita, prima ancora che dal
legame parentale e dall’uguaglianza delle quote, dal fatto che anche Luigi
Antonio Carta aveva sottoscritto gli assegni con i quali erano state prelevate
considerevoli somme dal conto corrente della società. Le iniziative assunte dal
ricorrente in vista della dichiarazione di fallimento e, successivamente, per
consentire una parziale ricostruzione del movimento degli affari erano finalizzate,
conseguenze di una gestione della società assolutamente irregolare.
Il disinteresse mostrato dall’altro coimputato non elide la responsabilità del
ricorrente, tenuto, al pari del primo, ad assicurare la regolare tenuta delle
scritture contabili.
Anche la motivazione relativa alla determinazione del trattamento sanzionatorio
non esibisce alcuna manifesta illogicità, avendo valorizzato, per la individuazione
della pena base, l’oggettiva gravità del fatto e, per il diniego delle circostanze
attenuanti generiche, i numerosi precedenti del ricorrente. Siffatto percorso
argomentativo è censurato con critiche assolutamente generiche.
2. Il presente ricorso, in conclusione, va dichiarato inammissibile e tale
situazione, implicando il mancato perfezionamento del rapporto processuale,
cristallizza in via definitiva la sentenza impugnata, precludendo in radice la
possibilità di rilevare l’estinzione del reato per prescrizione intervenuta
successivamente alla pronuncia in grado di appello ed eccepita con il quarto
motivo di ricorso. (Cfr., tra le altre, Sez. U, n. 21 dell’11/11/1994, Cresci, Rv.
199903; Sez. 3, n. 18046 del 09/02/2011, Morra, Rv. 250328, in motivazione).
3. Alla pronuncia di inammissibilità consegue ex art. 616 cod proc. pen, la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al
versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, in ragione
delle questioni dedotte, appare equo determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma il 21/03/2013
Il Componente estensore

Il Presidente

in realtà, una volta emerso lo stato di decozione, a tutelarsi rispetto alle

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