Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32450 del 16/07/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 32450 Anno 2014
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Alfano Rosario, nato a Bisatiuino il 23/02/1932, in proprio e quale legale
rappresentante della Santa Margherita s.r.l. e della Dalfa s.r.I.,

avverso il decreto del 27/05/2014 della Corte di appello di Palermo;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Antonio Gialanella, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il decreto sopra indicato la Corte di appello di Palermo, in parziale
riforma del provvedimento del Tribunale della stessa città del 21/06/2009,
revocava la misura di prevenzione patrimoniale della confisca di una serie di beni
immobili, conti correnti, quote ed azioni intestati a Rosario Alfano ovvero a suoi
familiari, e confermava nel resto il medesimo provvedimento con il quale quel

Data Udienza: 16/07/2014

Tribunale aveva disposto la confisca di altri beni intestati al prevenuto – già
destinatario dell’applicazione della misura di prevenzione personale della
sorveglianza speciale di pubblica sicurezza antimafia – ed ai suoi congiunti.
Rilevava la Corte di appello come gli elementi di conoscenza acquisiti, in gran
parte coincidenti con le prove assunte nel processo penale svoltosi a carico
dell’Alfano – definito con una sentenza che aveva dichiarato non doversi
procedere nei riguardi del predetto per prescrizione del reato di concorso esterno
in associazione mafiosa commesso dalla fine degli anni ’70 al 1986, e del reato di

assolto dai fatti commessi in epoca successiva – avessero dimostrato a livello
indiziario che il prevenuto aveva, fino a tali anni, consentito il reimpiego
nell’attività edilizia di capitali illeciti provenienti dalle iniziative delittuose degli
affiliati al mandamento palermitano di Brancaccio-Ciaculli, fornendo a tale
associazione mafiosa un apporto di rafforzamento e di consolidamento, talché
doveva essere confermato il provvedimento ablatorio reale con riferimento a tutti
i beni che l’Alfano aveva acquisito in quel periodo, considerati espressione del
reinvestimento di quei denari, ad esclusione, dunque, dei beni acquisiti in
precedenza, negli anni ’60, o successivamente al 1986.

2. Avverso tale decreto ha presentato ricorso l’Alfano, in proprio e quale legale
rappresentante delle sue società riportate in epigrafe, con atto sottoscritto dai
suoi difensori avv. Roberto Tricoli e Loredana Lo Cascio, il quale, con un unico ed
articolato motivo, ha dedotto la violazione di legge, in relazione agli artt. 2 ter,
comma 3, e segg. della legge n. 575 del 1965, come modificati dalla legge n.
125 del 1998, ed agli artt. 125 e 192 cod. proc. pen., 4, comma 9, della legge n.
1423 del 1956.
In particolare, il ricorrente si è doluto del fatto che la Corte distrettuale, quale
giudice delle misure di prevenzione, non aveva tenuto in debito conto del fatto
che con la innanzi menzionata sentenza penale con la quale si erano pronunciati
sui considerati addebiti di concorso esterno in associazione mafiosa e di
ricettazione (così riqualificata l’originaria contestazione di riciclaggio), i Giudici
palermitani avevano disposto il dissequestro e la restituzione all’imputato di tutti
i beni già sottoposti a vincolo giudiziario ai sensi dell’art. 12 sexies d.l. n. 306 del
1992, in quanto beni non legati da alcun vincolo di pertinenzialità con quel reato
associativo, del cui acquisto lecito, anzi, era stata data una credibile
giustificazione dalla difesa; essendo stato comprovato che il suo intero
patrimonio era il frutto di oltre quarant’anni di svolgimento dell’attività lecita di
imprenditore edile; e per avere, dunque, la Corte territoriale disatteso il copioso
compendio di prove positive (tra le quali quelle evincibili da una consulenza
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ricettazione aggravata per le condotte tenute fino al 1982, nonché lo aveva

tecnica di parte) esistenti a favore del proposto in ordine alla liceità delle genesi
dell’acquisto di ciascuno di quei beni, oggetto del provvedimento ablatorio (beni
acquistati con regolare accollo di mutuo, con l’impiego di lecite indennità di
espropriazione o di provviste di provenienza bancaria, e, comunque, con
investimenti congrui rispetto ai dati della contabilità aziendale), dalla Corte,
invece, ritenuti qualificati da una matrice illecita sulla base della valorizzazione di
vaghe dichiarazioni accusatorie provenienti da taluni collaboratori di giustizia.

del ricorso, evidenziando la mancanza di legittimazione dell’Alfano a ricorrere
avverso il provvedimento di conferma della confisca di beni intestati a terzi
soggetti, la infondatezza della tesi difensiva circa il rapporto di sostanziale
‘pregiudizialità’ tra le determinazioni dei giudici penali e quelli della prevenzione,
nonché la inammissibilità di doglianze sostanzialmente afferenti a supposti vizi di
motivazione.

4. Con memoria depositata il 07/07/2014 i difensori del ricorrente sono tornati
ad insistere per l’annullamento del decreto gravato, sottolineando che l’Alfano
aveva chiesto il dissequestro dei beni appartenenti alle due citate società a
responsabilità limitata, delle quali è legale rappresentante; che il P.G. nella sua
requisitoria aveva travisato i motivi di impugnazione, in quanto, senza mettere in
discussione l’autonomia del giudizio di prevenzione rispetto a quello penale, nel
ricorso era stata lamentata solo la mancata disamina critica degli elementi
indiziari segnalati a carico del loro assistito, dati privi dei requisiti richiesti
dall’art. 192 cod. proc. pen. e, comunque, emersi nel processo definito con
sentenza assolutoria, senza essere stati poi smentiti da dati sopravvenuti nel
procedimento di prevenzione.

5. Ritiene la Corte che il ricorso vada accolto.

5.1. Inammissibili, invero, sono i motivi del ricorso, avanzato dall’Alfano in
proprio e quale legale rappresentante delle due imprese collettive, finalizzati ad
ottenere l’annullamento del provvedimento di confisca delle quote sociali delle
società a responsabilità limitata Dalfa e Santa Margherita, quote intestate ai suoi
familiari Antonietta D’Alessandria (moglie), Aurelio, Alessandro e Arianna Alfano
(figli), in quanto beni appartenenti a soggetti terzi.
Ed infatti, l’odierno ricorrente non ha contestato la titolarità di tali quote in
capo ai suoi congiunti, né ha dedotto una propria titolarità esclusiva ovvero ha
fatto valere un proprio diritto confliggente con quello spettante a quei terzi sugli

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3. Con requisitoria scritta il Sostituto procuratore generale ha chiesto il rigetto

indicati cespiti, talchè egli non era legittimato a proporre impugnazione ovvero
non ha dimostrato di avere un personale ed attuale interesse concreto
all’impugnazione medesima (in questo senso, tra le tante, Sez. 5, n. 6208/11 del
21/10/2010, Bifulco, Rv. 249499).

5.2. Fondata appare, invece, la doglianza formulata dal ricorrente in termini di
violazione di legge con riferimento all’asserita mancata osservanza delle regole di
valutazione degli elementi indiziari a carico del proposto.

secondo il quale sussiste piena autonomia del procedimento di prevenzione
rispetto al giudizio penale, tanto che l’assoluzione, pure se irrevocabile, dal
delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. non comporta l’automatica esclusione delle
pericolosità sociale del preposto qualora la valutazione di tale pericolosità sia
stata effettuata in base ad elementi distinti, anche se desumibili dai medesimi
fatti storici venuti in rilievo nella sentenza di assoluzione (così a partire da Sez.
U, n. 18 del 03/07/1996, P.G. in proc. Simonelli, Rv. 205261).
Tuttavia, se il principio della autonomia è stato riaffermato nella
giurisprudenza di legittimità anche con riferimento al rapporto tra provvedimenti
di confisca adottabili in base a differenti parametri normativi, questa Corte ha
ritenuto ostativo all’adozione di una confisca ai sensi dell’art. 2 ter della legge n.
575 del 1965 l’accertamento della provenienza del bene che sia stato effettuato
in sede penale ai fini della eventuale adozione di una confisca a mente dell’art.
12 sexies d.l. n. 306 del 1992, convertito nella legge n. 356 del 1992 (in questo
senso v. Sez. 1, n. 25846 del 04/05/2012, Franco, Rv. 253080).
Di tale criterio ermeneutico la Corte di appello di Palermo non appare aver
fatto buon governo, in quanto, pur ammettendo che, in sede di cognizione, il
giudice penale aveva disposto il dissequestro di una serie di immobili facenti
capo all’Alfano, e da questi acquisiti in specie nella prima metà degli anni
Ottanta, avendone accertato la provenienza lecita, non ha spiegato, in termini
esaurienti, come tale accertamento non avesse determinato alcuna preclusione ai
fini dell’adozione del provvedimento di confisca in sede di prevenzione: omessa
spiegazione che è tanto più rilevante ove si consideri che nel presente
procedimento, oltre ad una serie di beni certamente affetti da una ineliminabile
‘impronta’ di illiceità – perché acquisiti nel periodo che va dalla fine degli anni
Settanta al 1982, quando era risultato comprovato che l’Alfano aveva ricevuto,
per il tramite del capo mafia Giuseppe Greco, ingenti somme di denaro di
pertinenza del ‘mandamento’ mafioso di Ciaculli – è stato confermato il
provvedimento di confisca di altri beni immobili, acquisiti ovvero completati
dall’odierno ricorrente parrebbe nel periodo successivo al 1985, vale a dire in
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Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio

quell’arco temporale nel quale il giudice penale aveva accertato che il suddetto
Greco aveva deciso di dirottare altrove gli investimenti del denaro del
‘mandamento’ “ed il rapporto tra l’Alfano e ‘Cosa Nostra’ si era sviluppato più in
termini estorsivi di quest’ultima nei confronti del primo, piuttosto che in termini
di persistente compartecipazione dell’uno e dell’altra ad iniziative imprenditoriali
comuni” (v. pagg. 9-10 decreto impugn.).
L’accertata violazione di legge impone l’annullamento del decreto impugnato
con rinvio alla Corte di appello di Palermo che, in diversa composizione, si atterrà

P.Q.M.

Annulla il decreto impugnato e rinvia, per nuova deliberazione, alla Corte di
appello di Palermo in diversa composizione.
Così deciso il 16/07/2014

nella nuova deliberazione al principio di diritto sopra richiamato.

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