Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3245 del 21/11/2012


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 3245 Anno 2013
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Gelsomino Gaetano, nato a Montemaggiore Belsito il 15/02/1948
Pirrone Agata, nata a Cerda il 13/05/1957
avverso il decreto della Corte d’Appello di Palermo del 19/03/2012 R.G. 62/2011

Data Udienza: 21/11/2012

,
visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso e le richieste del Procuratore Generale. ,PNOuti.n.00._
udita in Camera di Consiglio la relazione svolta dal Consigliere Giuseppe De Marzo;

RITENUTO IN FATTO
1. Con decreto del 19/03/2012, la Corte d’appello di Palermo ha rigettato la richiesta,
presentata da Gaetano Gelsomino, in proprio e a favore della moglie Agata Pirrone, al fine di
ottenere la restituzione della metà dell’immobile costituito da un appezzamento di terreno
sito in Cerda, contrada Zingara, sul quale insistono quattro fabbricati rurali.
La Corte territoriale ha precisato che l’istante non aveva preso parte al procedimento
concluso con il decreto del Tribunale di Palermo del 13/01/2010, che aveva disposto la
confisca del bene immobile nei confronti di Angelo Runfola. La richiesta è stata disattesa, in
quanto il decreto del Tribunale di Palermo aveva accertato: a) che il corrispettivo
dell’acquisto del bene era stato versato dal Runfola, attraverso un mutuo concesso dal Banco

di Sicilia; b) che i fabbricati erano stati realizzati dallo stesso, con l’aiuto economico dei
genitori e dei suoceri; c) che sempre il Runfola aveva presentato domande di condono
edilizio, mentre il ricorrente nulla aveva dimostrato in ordine al pagamento del prezzo e alla
concreta realizzazione dei fabbricati.
2. Nell’interesse del Gelsomino e della Pirrone è stato proposto ricorso per cassazione,
affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., si
lamenta violazione degli art. 24 e 111 Cost., nonché dell’art. 178 cod. proc. pen., dal

Palermo il Gelsomino e la Pirrone non erano stati citati. La Corte territoriale, inoltre, nel
decidere sull’istanza, aveva omesso di considerare che il fascicolo relativo al procedimento a
carico del Runfola era nel frattempo stato inviato presso la Corte di Cassazione, chiamata a
decidere il ricorso proposto dal medesimo Runfola e da altri intervenienti.
In tale contesto, la Corte d’appello avrebbe dovuto trasmettere gli atti al giudice di prima
istanza, al fine di non privare i ricorrenti del relativo grado di giudizio.
2.2. Con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano violazione ed errata interpretazione di
legge, in relazione all’art. 1 I. n. 1423 del 1956, nonché carenza, insufficienza ed illogicità
della motivazione. Essi censurano il decreto impugnato, in quanto, da un iato, risultava che
essi avevano acquistato pro quota il bene confiscato, e, dall’altro, che il mutuo utilizzato per
il pagamento del corrispettivo era stato richiesto, sempre pro quota, dai vari acquirenti e non
dal solo Runfola. Quanto alle istanze di condono, esse erano state presentate dal Runfola,
legittimato al pari di ciascuno dei comproprietari. In definitiva, i ricorrenti si dolgono
dell’assenza di una prova rigorosa, con riferimento alla loro posizione, della provenienza
illecita dei mezzi utilizzati per l’acquisto del bene confiscato.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorrenti rivendicano la contitolarità del bene confiscato, chiedendone la restituzione pro

quota attraverso il procedimento di esecuzione, promosso sul presupposto di non avere
partecipato al procedimento applicativo (Sez. 1, n. 6798 del 03/11/2011, Fortunato, Rv.
252410).
2. In via del tutto preliminare, va rilevato che gli incidenti di esecuzione riguardanti la
confisca delle cose sequestrate sono soggetti alla procedura di cui all’art. 667 cod. proc. pen,
in virtù del richiamo fattovi dal successivo art. 676 cod. proc. pen.; conseguentemente la
decisione sull’istanza originaria avrebbe dovuto essere assunta dal giudice dell’esecuzione
con ordinanza senza formalità, soggetta ad opposizione davanti allo stesso giudice, da
trattarsi con procedimento camerale.
Nel caso portato all’esame di questa Corte il giudice dell’esecuzione non si è attenuto alla
scansione procedirnentale descritta, ma ha deciso sull’incidente dopo aver sentito le parti in
camera di consiglio, ossia attuando in via anticipata le forme previste per il giudizio di
opposizione.

2

momento che nel procedimento concluso con il decreto sopra menzionato del Tribunale di

Si pone dunque il problema di stabilire se il provvedimento scaturitone debba intendersi
soggetto, ciò nonostante, ad opposizione, ovvero direttamente ricorribile per cassazione.
Come rilevato in passato da questa sezione (Sez. 5, n. 37134 del 26/05/2009, Banca Nuova
s.p.a., Rv. 245130), è ormai assolutamente prevalente l’orientamento che identifica
nell’opposizione il gravame esperibile contro il provvedimento del giudice dell’esecuzione
emesso nelle forme dell’art. 666 cod. proc. pen., anziché de plano.
Ne consegue che, in attuazione del principio di conservazione di cui all’art. 568, comma 5,
cod. proc. pen., l’impugnazione va qualificata come opposizione e gli atti vanno trasmessi

P. Q. M.
Qualificato il ricorso come opposizione ex art. 667, comma 4 cod. proc. pen., dispone
trasmettersi gli atti alla Corte d’appello di Palermo per l’ulteriore corso.

Così deciso in Roma il 21/11/2012

Il Consigliere estensore

Il Presidente

alla Corte d’Appello di Palermo, quale giudice competente a provvedere in merito.

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