Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32447 del 03/06/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 32447 Anno 2014
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: VILLONI ORLANDO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.

PAVIGLIANITI Santo Salvatore, n. San Lorenzo (Rc) 2.1.1953
PAVIGLIANITI Antonino, n. San Lorenzo (Rc) 30.1.1951
PAVIGLIANITI Giuseppe, n. San Lorenzo (Rc) 5.6.1947
PAVIGLIANITI Settimio, n. San Lorenzo (Rc) 4.1.1966
ZUCCARELLO Lidia, n. Campo Calabro (Rc) 28.10.1964
CANNIZZARO Ernesta, n. San Lorenzo (Rc) 29.10.1952
RUGGIERO Angela, n. Campo Calabro (Rc) 30.1.1930

avverso il decreto n. 10/2012 Corte di Appello di Reggio Calabria del 17/05/2013

esaminati gli atti e letti i ricorsi ed il provvedimento decisorio impugnato;
lette le note scritte del pubblico ministero in persona del sostituto PG, dott. A. Gialanella,
il quale ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi;
udita in camera di consiglio la relazione del consigliere dott. Orlando Villoni;

RITENUTO IN FATTO
1. Con il decreto sopra indicato, la Corte d’Appello di Reggio Calabria, Sezione per le Misure di
Prevenzione, a seguito di annullamento con rinvio pronunziato da questa Corte di Cassazione,
2° Sezione con sentenza n. 14258/12 del 23/03/2012 del decreto emesso in data 02/03/2011
della Corte d’Appello di Messina, a sua volta adottato dopo annullamento con rinvio di precedente decreto della Corte d’Appello reggina del 07/12/2003, confermava l’originario decreto n.
53 emesso in data 08/11/1999 con cui il Tribunale di Reggio Calabria, Sezione Misure di Prevenzione aveva disposto la confisca di vari cespiti economici (libretti di conto corrente banca-

Data Udienza: 03/06/2014

rio, immobili, patrimonio aziendale e quote di una società commerciale) in danno dei ricorrenti
Paviglianiti Santo Salvatore, Giuseppe, Settimio e Antonino – sospettati di essere a capo di un
potente gruppo mafioso denominato ‘cosca Paviglianiti’ operante nel territorio del Comune di
San Lorenzo (Rc) dai primi anni ’80 del secolo scorso – nonché dei loro congiunti e terzi interessati Zuccarello Lidia, Ruggiero Angelina, Cannizzaro Ernesta e Scaramozzino Angela.

Ricostruendo analiticamente le vicende dei singoli cespiti in relazione alle posizioni dei vari ricorrenti, la Corte territoriale finiva per respingere tutte le obiezioni difensive riguardanti l’affermata insussistenza di comprovate ragioni per escludere che l’acquisto dei beni fosse frutto

maste in genere e salvo isolate eccezioni, sempre allo stato di mere allegazioni, quasi mai corroborate da elementi di natura documentale, a fronte dell’acclarata presentazione da parte di
tutti i ricorrenti, nel corso di un arco temporale consistente, di redditi personali irrisori e tali da
consentire la mera sopravvivenza dei titolari e dei rispettivi congiunti, a loro volta spesso ufficialmente di qualunque fonte di reddito.

2. Avverso il decreto ricorrono, con distinti atti d’impugnazione, Paviglianiti Santo Salvatore
con le congiunte Zuccarello Lidia e Ruggiero Angela da un lato, nonché Paviglianiti Antonino,
Paviglianiti Settimio e Paviglianiti Giuseppe e la moglie Cannizzaro Ernesta dall’altro.

Il primo gruppo di ricorrenti deduce violazione del disposto dell’art. 627, comma 3 cod. proc.
pen. in relazione all’art. 2 ter I. n. 575 del 1965, contestando la correttezza dei presupposti
giuridici assunti dalla Corte reggina al fine di censurarne le conseguenti determinazioni di merito, tra cui l’affermata irrilevanza dei redditi asseritamente provenienti da evasione fiscale ai
fini della valutazione della legittima provenienza dei beni acquistati mediante il relativo impiego.

Il secondo gruppo deduce, invece, violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento
alla mancata valutazione delle prove offerte a sostegno delle tesi difensive, nonché manifesta e
contraddittoria illogicità della motivazione sempre in riferimento agli artt. 627, comma 3 cod.

delle attività criminali dei partecipi al sodalizio criminale, rilevando che dette obiezioni erano ri-

proc. pen. e 2 ter I. n. 575 del 1965, svolgendo articolate censure in ordine al percorso logico
argomentativo con cui la Corte reggina ha ribadito la presunzione di provenienza illecita dei beni oggetto di confisca.

CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Entrambi i ricorsi risultano manifestamente infondati, dovendo essere dichiarati inammissibili.

4.1 L’esame dell’impugnazione proposta dal primo gruppo di ricorrenti (Paviglianiti Santo Sal2

d

vatore, Zuccarello Lidia e Ruggiero Angela) impone una preliminare valutazione dell’esatta
portata dei relativi motivi.

Orbene, a parte il profilo inerente la rilevanza dei redditi da evasione fiscale nell’ambito delle
procedure di prevenzione (v. oltre) e a dispetto delle dichiarazioni d’intento ivi contenute (‘diciamo subito, a scanso di equivoci, che oggetto del presente gravame non è l’impianto motivazionale del provvedimento gravato, ma il postulato giuridico di base, il ricorso tende in

realtà a provocare un nuovo apprezzamento di merito da parte di questa Corte di legittimità,
nonostante il chiaro disposto normativo (cbn. disp. artt. 4 comma 11 legge n. 1423 del 1956, 3

norma transitoria di cui all’art. 117, comma 1 d. Igs. n. 159 del 2011 cd. codice antimafia) che
limita l’impugnazione in sede di legittimità (che per tale motivo non può definirsi gravame) ai
soli motivi di violazione di legge.

Non è, infatti, deducibile il vizio di motivazione, a meno che questa non sia del tutto carente o
presenti lacune tali da renderla meramente apparente e in realtà inesistente (ex plurimis v.
Cass. sez. 5 n. 19598 dell’08/04/2010, Rv. 247514, Palermo), finendo per risolversi dette carenze in una violazione di legge ai sensi dello art. 125, comma 3, cod. proc. pen. e dell’art. 4 I.
n. 1423 del 1956, evenienza che nella specie non ricorre affatto.

Si rivelano, dunque, sostanzialmente inammissibili quei motivi che, anche se prospettati in termini diversi (es. travisamento dei fatti, pag. 3 ricorso), finiscono per censurare, nella specie in
maniera oltre tutto totalmente discorsiva, la struttura della motivazione del provvedimento
impugnato.

Con riferimento all’unico profilo di diritto, anch’esso prospettato in verità in forma discorsiva e
sempre in assenza di allegazioni specifiche, vale solo ricordare che, risolvendo il conflitto interpretativo insorto sul punto nella giurisprudenza di legittimità, le Sezioni Unite penali di
questa Corte di Cassazione con sentenza del 29/05/2014, ric. Repaci ed altri hanno affermato
il principio che ai fini della confisca di cui all’art. 2 ter I. n. 575 del 1965 (attualmente art. 24 d.
Igs. n. 159 del 2011), i proventi dell’evasione fiscale non rilevano per individuare il presupposto della sproporzione tra i beni posseduti e le attività economiche del soggetto titolare, diretto
o indiretto, dei beni medesimi.

4.1 L’impugnazione proposta dal secondo gruppo di ricorrenti (Paviglianiti Antonino, Paviglia-

niti Settimio, Paviglianiti Giuseppe, Cannizzaro Ernesta) si presenta a sua volta programmaticamente in contrasto con le previsioni normative che limitano i profili di censura in sede di
legittimità, poiché deduce la mancata valutazione delle prove offerte a sostegno della difesa,
nonché manifesta e contraddittoria illogicità della motivazione, oltre a violazione di legge riferita all’art. 2 ter I. n. 575 del 1965.
3

ter I. n. 575 del 1965, normativa applicabile alla fattispecie ratione temporis in forza della

E che sia soprattutto la motivazione del provvedimento impugnato a costituire oggetto di censura è ribadito alla pag. 3 del ricorso, là dove i ricorrenti sostengono che la Corte territoriale
non ha osservato i principi di diritto enunciati da questa Corte di legittimità, allorquando ha annullato appunto per difetto di motivazione il decreto emesso dalla Corte d’Appello di Messina.

Nell’esposizione vera e propria delle doglianze, i ricorrenti ripropongono, infatti, il tema della
adeguatezza dei redditi prodotti legittimamente e denunziati in sede dichiarazione IRPEF e
della relativa sufficienza a comprovare gli acquisiti dei beni confiscati, dolendosi dell’iter logico

ricorso), lamentandosi del ragionamento seguito dalla Corte territoriale per applicare la stessa
misura alla SFC di Paviglianiti Giuseppe e Antonino e C. (ancora pagg. 7 e 9), censurando la
motivazione riferita al sequestro dei beni dello stesso Paviglianiti Antonino (pag. 8)

A prescindere da tali inammissibili profili si osserva inoltre che l’impugnazione non si confronta
nemmeno con alcuni profili decisivi, esposti analiticamente in motivazione dalla Corte territoriale, quali l’assenza di alcuna documentazione a sostegno delle tesi prospettate (in particolare in riferimento alla proprietà da parte dei sei fratelli Paviglianiti del fabbricato ubicato in
località San Fantino del Comune di San Lorenzo / Rc formalmente intestato a Cannizzaro
Ernesta) o l’evidente sproporzione tra capitali impiegati per l’acquisto di vari immobili (i due
bar in località Cermenate, il capannone in località Vermineto, le unità immobiliari in località
Lomazzo, oltre ad altri terreni in varie località) e la modestia dei redditi dichiarati dai ricorrenti
nelle rispettive denunzie IRPEF, limitandosi a ribadire la tesi della sufficienza dei cespiti a loro
disposizione o a richiamare le vicende negoziali inerenti gli stessi beni (successive cessioni) al
fine di giustificare l’esistenza di plusvalenze utilizzate nell’acquisto degli ulteriori beni immobili.

5. Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi segue, come per legge, la condanna di ciascuno dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa
delle Ammende che si stima equo determinare in C 1.000,00 (mille).

P. Q. M.

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e
ciascuno a quella della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa per le Ammende.

Roma, 03/06/201
Il co

è e nsore

seguito dalla decisione per affermare la confiscabilità dei beni di Paviglianiti Settimio (pag. 7

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