Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32446 del 16/07/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 32446 Anno 2014
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sui ricorsi presentati da
1. Cosenza Fabrizio, nato a Catania il 24/04/1986
2. Zammiti Emanuele, nato a Catania il 28/11/1984

avverso la sentenza del 07/01/2013 della Corte di appello di Catanzaro;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Aldo
Policastro, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, e il rigetto nel resto dei
ricorsi;
udito per gli imputati l’avv. Vincenzo Mellia, che ha concluso chiedendo
l’annullamento della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

Data Udienza: 16/07/2014

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Catanzaro riformava
parzialmente la pronuncia di primo grado del 21/05/2009, riducendo la pena
inflitta, e confermava nel resto la medesima pronuncia con la quale il Giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Lametia Terme, all’esito di giudizio
abbreviato, aveva condannato Fabrizio Cosenza e Emanuele Zammiti in relazione
al reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, per avere, il 21/11/2008,
concorso nella detenzione, a fine di vendita o cessione a terzi, di sostanza
stupefacente del tipo hashish divisa in due involucri rispettivamente del peso di

Rilevava la Corte di appello come gli elementi acquisiti nel corso delle indagini
avessero dimostrato la colpevolezza degli imputati in ordine al reato loro
ascritto; e come i dati informativi a disposizione, in specie il quantitativo globale
di droga rinvenuta, non permettessero di qualificare i fatti accertati come di lieve
entità.

2. Avverso tale sentenza hanno presentato ricorso il Cosenza e lo Zammiti, con
atto sottoscritto dal loro difensore avv. Vincenzo Mellia, i quali hanno dedotto i
seguenti due motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 73, commi 1 e 1 bis, d.P.R. cit.,
192, 533 e 546, lett. e), cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per mancanza,
illogicità e manifesta contraddittorietà, per avere la Corte distrettuale
erroneamente confermato la condanna di primo grado, benchè gli imputati, che
non avevano nascosto con particolari stratagemmi la sostanza e non
disponevano di altri strumenti sintomatici di una propensione allo spaccio,
avessero giustificato il loro viaggio a Milano con la necessità di acquistare quel
quantitativo di hashish facendo una ‘provvista’ da destinare al consumo
esclusivamente personale ovvero, al più, di alcuni loro amici in gruppo.
2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 73, comma 5, d.P.R. cit., 192,
533 e 546, lett. e), cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per mancanza,
illogicità e manifesta contraddittorietà, per avere la Corte territoriale
irragionevolmente disatteso la specifica doglianza difensiva con la quale era stato
sollecitato il riconoscimento dell’attenuante di cui al predetto comma 5.

2.3. Con memoria depositata il 25/06/2014 il difensore dei due imputati ha
sollecitato questa Corte a riesaminare le statuizioni in ordine al trattamento
sanzionatorio riservato ai prevenuti, in conseguenza della sentenza della Corte
Costituzionale n. 32 del 2014 di accoglimento della questione di legittimità delle
norme che hanno modificato la disciplina del menzionato art. 73.

2

527 e 523 grammi.

3.1. Il primo motivo del ricorso è inammissibile perché presentato per fare
valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
I ricorrenti solo formalmente hanno indicato, come motivi della loro
impugnazione, una violazione di legge o un vizio di della motivazione della
decisione gravata, ma non hanno prospettato alcuna reale contraddizione logica,
intesa come implausibilità delle premesse dell’argomentazione, irrazionalità delle
regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse
e le conclusioni; né hanno lamentato, come pure sarebbe stato astrattamente

decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dalle carte
del procedimento.
I ricorrenti, invero, si sono limitati a criticare il significato che la Corte di
appello di Catanzaro aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite durante
la fase delle indagini. E tuttavia, bisogna rilevare come i ricorsi, lungi dal
proporre un ‘travisamento delle prove’, vale a dire una incompatibilità tra
l’apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti
del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell’intera motivazione,
sono stati presentati per sostenere, in pratica, una ipotesi di ‘travisamento dei
fatti’ oggetto di analisi, sollecitando un’inammissibile rivalutazione dell’intero
materiale d’indagine, rispetto al quale è stata proposta dalla difesa una
spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale
nell’ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente.
Questa Corte, pertanto, non ha ragione di discostarsi dal consolidato principio
di diritto secondo il quale, a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett.
e), cod. proc. pen., ad opera dell’art. 8 della legge 20 febbraio 2006, n. 46,
mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di ‘travisamento
della prova’, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il
proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova
obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non è affatto
permesso dedurre il vizio del ‘travisamento del fatto’, stante la preclusione per il
giudice di legittimità a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze
processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che,
in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione
estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli
elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (così, tra le
tante, Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 5, n. 39048
del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215).
La motivazione contenuta nella sentenza impugnata possiede una stringente e
completa capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta

3

possibile, una incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la

illogicità: avendo la Corte calabrese analiticamente spiegato come, a fronte delle
giustificazioni offerte dagli imputati (i quali, peraltro, non avevano negato la
possibilità di destinare parte della sostanza acquistata anche a terzi soggetti),
che avevano sostenuto che la droga era stata acquistata per il consumo
personale, la destinazione alla cessione in favore di terzi di tutto o di parte di
quello stupefacente fosse stata dimostrata, in via logica, tanto dal rilevante
quantitativo dei panetti rinvenuti, del peso totale di oltre un chilo di sostanza,
quanto dal fatto che i due prevenuti avessero affrontato un lunghissimo viaggio

comprare una partita di droga di entità di gran lunga eccedente il loro -presuntofabbisogno personale per un ragionevole periodo di tempo (v. pagg. 1-2 sent.
impugn.).

3.2. Il secondo motivo del ricorso è manifestamente infondato.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio
secondo il quale, ai fini della concedibilità o del diniego della circostanza
attenuante del fatto di lieve entità, di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. n. 309 del
1990 (nel testo previgente rispetto alle recenti modifiche legislative), il giudice è
tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati,
quindi, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della
stessa), che quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e
qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo
conseguentemente escludere il riconoscimento dell’attenuante quando anche uno
solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico
protetto sia di ‘lieve entità’ (così,

ex plurimis,

Sez. 4, n. 6732/12 del

22/12/2011, P.G. in proc. Sabatino, Rv. 251942; Sez. 4, n. 43399 del
12/11/2010, Serrapede, Rv. 248947; Sez. 4, Sentenza n. 38879 del 29/09/2005,
Frank, Rv. 232428).
Di tale regula iuris la Corte di appello di Catanzaro ha fatto corretta
applicazione chiarendo, con motivazione congrua, nella quale non sono
riconoscibili lacune o vizi di manifesta illogicità, dunque con argomenti non
censurabili in questa sede, come la condotta dei due imputati, caratterizzata da
un lungo viaggio effettuato nel Nord Italia per approvvigionarsi di un così elevato
quantitativo di droga, fosse dato sufficiente ad escludere che il reato commesso
dagli imputati potesse essere qualificato in termini di ridotta offensività ovvero di
scarso allarme sociale (v. pag. 2 sent. impugn.).

4

dalla Sicilia fino a Milano, pure facendo fronte a considerevoli spese, per

4. E’, invece,

fondata la questione sul trattamento sanzionatorio, oggi

esaminabile perché strettamente connessa a quella sul riconoscimento della
circostanza attenuante di cui al punto che precede.
La Corte costituzionale ha recentemente dichiarato l’illegittimità costituzionale
degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del decreto legge n. 272 del 2005 (contenente
“Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime
Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno.
Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al

psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre
1990, n. 309”), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n.
49 del 2006 (Corte cost. n. 32 del 2014). L’effetto di tale pronuncia è stato
quello di una reviviscenza della disciplina dettata dall’art. 73 d.P.R. n. 309 del
1990 nella sua versione precedente alle modifiche introdotte con la citata legge
di conversione n. 49 del 2006, che, come noto, aveva – tra l’altro – parificato, ai
fini sanzionatori, le droghe ‘pesanti’ a quelle ‘leggere’, con l’eliminazione delle
quattro distinte tabelle di cui al d.m. previsto dall’art. 14 dello stesso d.P.R.,
pure modificando i limiti edittali.
L’eliminazione,

con

effetto

ex

tunc,

della

disciplina

dichiarata

costituzionalmente illegittima e la riacquistata efficacia della disciplina
previgente ha palesi effetti pratici nel caso di specie, atteso che l’imputato è
stato condannato dai Giudici di merito in base all’art. 73 d.P.R. cit., laddove
l’effetto della dichiarazione di illegittimità comporta la reviviscenza della vecchia
disciplina del medesimo art. 73, comma 4, che, in relazione alle droghe ‘leggere’,
di cui alle citate tabelle II e IV (tra cui la marijuana), stabiliva una pena con
limiti edittali sensibilmente inferiori.
Si tratta di una modifica del trattamento sanzionatorio evidentemente in
melius – dovendosi, in ogni caso, escludere nella fattispecie l’operatività della più
rigorosa disciplina introdotta dall’art. 2 del decreto legge n. 146 del 2013
(contenente “Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti
e di riduzione controllata della popolazione carceraria”), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 10 del 2014, ius superveniens
non ‘toccato’ dalla sopra considerata sentenza della Consulta, ma applicabile solo
ai reati commessi dal 24/12/2013 – che non può non avere effetti favorevoli
anche per gli odierni ricorrenti, la cui responsabilità ha comportato l’irrogazione
di una sanzione sulla base di parametri oggi non più “legali”: imputati per i quali
occorre effettuare una nuova globale valutazione del fatto, in maniera tale da
adeguarlo all’entità della pena da infliggere in ragione dei nuovi limiti edittali più

5

testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze

favorevoli (valutazione di merito non consentita in questa sede di legittimità: in
questo senso, tra le altre, Sez. 6, n. 12707 del 24/02/2009, Mazzullo, Rv.
243685; Sez. 6, n. 16176 del 02/04/2008, Mecaj, Rv. 239557; Sez. 6, n. 1024
del 17/10/2006, Durante, Rv. 236061), il che impone l’annullamento della
sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio, per
nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena e
rinvia, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di
Catanzaro.
Rigetta i ricorsi nel resto.
Così deciso il 16/07/2014

6

P.Q.M.

32446/14
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

composta da:

– Antonio S. Agrò

– Presidente –

SESTA SEZIONE PENALE

Sent. n.sez.)SYS

– Giorgio Fidelbo

UP – 16/07/2014

– Angelo Capozzi

R.G.N. 33251/2013

– Ercole Aprile

– Relatore –

– Benedetto Paternò Raddusa
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sui ricorsi presentati da
1. Cosenza Fabrizio, nato a Catania il 24/04/1986
2. Zammiti Emanuele, nato a Catania il 28/11/1984

avverso la sentenza del 07/01/2013 della Corte di appello di Catanzaro;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Aldo
Policastro, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, e il rigetto nel resto dei
ricorsi;
udito per gli imputati l’avv. Vincenzo Mellia, che ha concluso chiedendo
l’annullamento della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Catanzaro riformava
parzialmente la pronuncia di primo grado del 21/05/2009, riducendo la pena
inflitta, e confermava nel resto la medesima pronuncia con la quale il Giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Lametia Terme, all’esito di giudizio
abbreviato, aveva condannato Fabrizio Cosenza e Emanuele Zammiti in relazione
al reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, per avere, il 21/11/2008,
concorso nella detenzione, a fine di vendita o cessione a terzi, di sostanza
stupefacente del tipo hashish divisa in due involucri rispettivamente del peso di

Rilevava la Corte di appello come gli elementi acquisiti nel corso delle indagini
avessero dimostrato la colpevolezza degli imputati in ordine al reato loro
ascritto; e come i dati informativi a disposizione, in specie il quantitativo globale
di droga rinvenuta, non permettessero di qualificare i fatti accertati come di lieve
entità.

2. Avverso tale sentenza hanno presentato ricorso il Cosenza e lo Zammiti, con
atto sottoscritto dal loro difensore avv. Vincenzo Mellia, i quali hanno dedotto i
seguenti due motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 73, commi 1 e 1 bis, d.P.R. cit.,
192, 533 e 546, lett. e), cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per mancanza,
illogicità e manifesta contraddittorietà, per avere la Corte distrettuale
erroneamente confermato la condanna di primo grado, benchè gli imputati, che
non avevano nascosto con particolari stratagemmi la sostanza e non
disponevano di altri strumenti sintomatici di una propensione allo spaccio,
avessero giustificato il loro viaggio a Milano con la necessità di acquistare quel
quantitativo di hashish facendo una ‘provvista’ da destinare al consumo
esclusivamente personale ovvero, al più, di alcuni loro amici in gruppo.
2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 73, comma 5, d.P.R. cit., 192,
533 e 546, lett. e), cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per mancanza,
illogicità e manifesta contraddittorietà, per avere la Corte territoriale
irragionevolmente disatteso la specifica doglianza difensiva con la quale era stato
sollecitato il riconoscimento dell’attenuante di cui al predetto comma 5.

2.3. Con memoria depositata il 25/06/2014 il difensore dei due imputati ha
sollecitato questa Corte a riesaminare le statuizioni in ordine al trattamento
sanzionatorio riservato ai prevenuti, in conseguenza della sentenza della Corte
Costituzionale n. 32 del 2014 di accoglimento della questione di legittimità delle
norme che hanno modificato la disciplina del menzionato art. 73.

2

527 e 523 grammi.

3.1. Il primo motivo del ricorso è inammissibile perché presentato per fare
valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
I ricorrenti solo formalmente hanno indicato, come motivi della loro
impugnazione, una violazione di legge o un vizio di della motivazione della
decisione gravata, ma non hanno prospettato alcuna reale contraddizione logica,
intesa come implausibilità delle premesse dell’argomentazione, irrazionalità delle
regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse
e le conclusioni; né hanno lamentato, come pure sarebbe stato astrattamente

decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dalle carte
del procedimento.
I ricorrenti, invero, si sono limitati a criticare il significato che la Corte di
appello di Catanzaro aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite durante
la fase delle indagini. E tuttavia, bisogna rilevare come i ricorsi, lungi dal
proporre un ‘travisamento delle prove’, vale a dire una incompatibilità tra
l’apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti
del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell’intera motivazione,
sono stati presentati per sostenere, in pratica, una ipotesi di ‘travisamento dei
fatti’ oggetto di analisi, sollecitando un’inammissibile rivalutazione dell’intero
materiale d’indagine, rispetto al quale è stata proposta dalla difesa una
spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale
nell’ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente.
Questa Corte, pertanto, non ha ragione di discostarsi dal consolidato principio
di diritto secondo il quale, a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett.
e), cod. proc. pen., ad opera dell’art. 8 della legge 20 febbraio 2006, n. 46,
mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di ‘travisamento
della prova’, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il
proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova
obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non è affatto
permesso dedurre il vizio del ‘travisamento del fatto’, stante la preclusione per il
giudice di legittimità a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze
processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che,
in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione
estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli
elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (così, tra le
tante, Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 5, n. 39048
del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215).
La motivazione contenuta nella sentenza impugnata possiede una stringente e
completa capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta

3

possibile, una incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la

illogicità: avendo la Corte calabrese analiticamente spiegato come, a fronte delle
giustificazioni offerte dagli imputati (i quali, peraltro, non avevano negato la
possibilità di destinare parte della sostanza acquistata anche a terzi soggetti),
che avevano sostenuto che la droga era stata acquistata per il consumo
personale, la destinazione alla cessione in favore di terzi di tutto o di parte di
quello stupefacente fosse stata dimostrata, in via logica, tanto dal rilevante
quantitativo dei panetti rinvenuti, del peso totale di oltre un chilo di sostanza,
quanto dal fatto che i due prevenuti avessero affrontato un lunghissimo viaggio

comprare una partita di droga di entità di gran lunga eccedente il loro -presuntofabbisogno personale per un ragionevole periodo di tempo (v. pagg. 1-2 sent.
impugn.).

3.2. Il secondo motivo del ricorso è manifestamente infondato.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio
secondo il quale, ai fini della concedibilità o del diniego della circostanza
attenuante del fatto di lieve entità, di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. n. 309 del
1990 (nel testo previgente rispetto alle recenti modifiche legislative), il giudice è
tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati,
quindi, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della
stessa), che quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e
qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo
conseguentemente escludere il riconoscimento dell’attenuante quando anche uno
solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico
protetto sia di ‘lieve entità’ (così,

ex plurimis,

Sez. 4, n. 6732/12 del

22/12/2011, P.G. in proc. Sabatino, Rv. 251942; Sez. 4, n. 43399 del
12/11/2010, Serrapede, Rv. 248947; Sez. 4, Sentenza n. 38879 del 29/09/2005,
Frank, Rv. 232428).
Di tale regula iuris la Corte di appello di Catanzaro ha fatto corretta
applicazione chiarendo, con motivazione congrua, nella quale non sono
riconoscibili lacune o vizi di manifesta illogicità, dunque con argomenti non
censurabili in questa sede, come la condotta dei due imputati, caratterizzata da
un lungo viaggio effettuato nel Nord Italia per approvvigionarsi di un così elevato
quantitativo di droga, fosse dato sufficiente ad escludere che il reato commesso
dagli imputati potesse essere qualificato in termini di ridotta offensività ovvero di
scarso allarme sociale (v. pag. 2 sent. impugn.).

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dalla Sicilia fino a Milano, pure facendo fronte a considerevoli spese, per

4. E’, invece,

fondata la questione sul trattamento sanzionatorio, oggi

esaminabile perché strettamente connessa a quella sul riconoscimento della
circostanza attenuante di cui al punto che precede.
La Corte costituzionale ha recentemente dichiarato l’illegittimità costituzionale
degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del decreto legge n. 272 del 2005 (contenente
“Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime
Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno.
Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al

psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre
1990, n. 309”), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n.
49 del 2006 (Corte cost. n. 32 del 2014). L’effetto di tale pronuncia è stato
quello di una reviviscenza della disciplina dettata dall’art. 73 d.P.R. n. 309 del
1990 nella sua versione precedente alle modifiche introdotte con la citata legge
di conversione n. 49 del 2006, che, come noto, aveva – tra l’altro – parificato, ai
fini sanzionatori, le droghe ‘pesanti’ a quelle ‘leggere’, con l’eliminazione delle
quattro distinte tabelle di cui al d.m. previsto dall’art. 14 dello stesso d.P.R.,
pure modificando i limiti edittali.
L’eliminazione,

con

effetto

ex

tunc,

della

disciplina

dichiarata

costituzionalmente illegittima e la riacquistata efficacia della disciplina
previgente ha palesi effetti pratici nel caso di specie, atteso che l’imputato è
stato condannato dai Giudici di merito in base all’art. 73 d.P.R. cit., laddove
l’effetto della dichiarazione di illegittimità comporta la reviviscenza della vecchia
disciplina del medesimo art. 73, comma 4, che, in relazione alle droghe ‘leggere’,
di cui alle citate tabelle II e IV (tra cui la marijuana), stabiliva una pena con
limiti edittali sensibilmente inferiori.
Si tratta di una modifica del trattamento sanzionatorio evidentemente in
melius – dovendosi, in ogni caso, escludere nella fattispecie l’operatività della più
rigorosa disciplina introdotta dall’art. 2 del decreto legge n. 146 del 2013
(contenente “Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti
e di riduzione controllata della popolazione carceraria”), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 10 del 2014, ius superveniens
non ‘toccato’ dalla sopra considerata sentenza della Consulta, ma applicabile solo
ai reati commessi dal 24/12/2013 – che non può non avere effetti favorevoli
anche per gli odierni ricorrenti, la cui responsabilità ha comportato l’irrogazione
di una sanzione sulla base di parametri oggi non più “legali”: imputati per i quali
occorre effettuare una nuova globale valutazione del fatto, in maniera tale da
adeguarlo all’entità della pena da infliggere in ragione dei nuovi limiti edittali più

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testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze

favorevoli (valutazione di merito non consentita in questa sede di legittimità: in
questo senso, tra le altre, Sez. 6, n. 12707 del 24/02/2009, Mazzullo, Rv.
243685; Sez. 6, n. 16176 del 02/04/2008, Mecaj, Rv. 239557; Sez. 6, n. 1024
del 17/10/2006, Durante, Rv. 236061), il che impone l’annullamento della
sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio, per
nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena e
rinvia, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di
Catanzaro.
Rigetta i ricorsi nel resto.
Così deciso il 16/07/2014

6

P.Q.M.

32446/14
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

composta da:

– Antonio S. Agrò

– Presidente –

SESTA SEZIONE PENALE

Sent. n.sez.)SYS

– Giorgio Fidelbo

UP – 16/07/2014

– Angelo Capozzi

R.G.N. 33251/2013

– Ercole Aprile

– Relatore –

– Benedetto Paternò Raddusa
ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sui ricorsi presentati da
1. Cosenza Fabrizio, nato a Catania il 24/04/1986
2. Zammiti Emanuele, nato a Catania il 28/11/1984

avverso la sentenza del 07/01/2013 della Corte di appello di Catanzaro;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Aldo
Policastro, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza
impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, e il rigetto nel resto dei
ricorsi;
udito per gli imputati l’avv. Vincenzo Mellia, che ha concluso chiedendo
l’annullamento della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Catanzaro riformava
parzialmente la pronuncia di primo grado del 21/05/2009, riducendo la pena
inflitta, e confermava nel resto la medesima pronuncia con la quale il Giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Lametia Terme, all’esito di giudizio
abbreviato, aveva condannato Fabrizio Cosenza e Emanuele Zammiti in relazione
al reato di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, per avere, il 21/11/2008,
concorso nella detenzione, a fine di vendita o cessione a terzi, di sostanza
stupefacente del tipo hashish divisa in due involucri rispettivamente del peso di

Rilevava la Corte di appello come gli elementi acquisiti nel corso delle indagini
avessero dimostrato la colpevolezza degli imputati in ordine al reato loro
ascritto; e come i dati informativi a disposizione, in specie il quantitativo globale
di droga rinvenuta, non permettessero di qualificare i fatti accertati come di lieve
entità.

2. Avverso tale sentenza hanno presentato ricorso il Cosenza e lo Zammiti, con
atto sottoscritto dal loro difensore avv. Vincenzo Mellia, i quali hanno dedotto i
seguenti due motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione agli artt. 73, commi 1 e 1 bis, d.P.R. cit.,
192, 533 e 546, lett. e), cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per mancanza,
illogicità e manifesta contraddittorietà, per avere la Corte distrettuale
erroneamente confermato la condanna di primo grado, benchè gli imputati, che
non avevano nascosto con particolari stratagemmi la sostanza e non
disponevano di altri strumenti sintomatici di una propensione allo spaccio,
avessero giustificato il loro viaggio a Milano con la necessità di acquistare quel
quantitativo di hashish facendo una ‘provvista’ da destinare al consumo
esclusivamente personale ovvero, al più, di alcuni loro amici in gruppo.
2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 73, comma 5, d.P.R. cit., 192,
533 e 546, lett. e), cod. proc. pen., e vizio di motivazione, per mancanza,
illogicità e manifesta contraddittorietà, per avere la Corte territoriale
irragionevolmente disatteso la specifica doglianza difensiva con la quale era stato
sollecitato il riconoscimento dell’attenuante di cui al predetto comma 5.

2.3. Con memoria depositata il 25/06/2014 il difensore dei due imputati ha
sollecitato questa Corte a riesaminare le statuizioni in ordine al trattamento
sanzionatorio riservato ai prevenuti, in conseguenza della sentenza della Corte
Costituzionale n. 32 del 2014 di accoglimento della questione di legittimità delle
norme che hanno modificato la disciplina del menzionato art. 73.

2

527 e 523 grammi.

3.1. Il primo motivo del ricorso è inammissibile perché presentato per fare
valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge.
I ricorrenti solo formalmente hanno indicato, come motivi della loro
impugnazione, una violazione di legge o un vizio di della motivazione della
decisione gravata, ma non hanno prospettato alcuna reale contraddizione logica,
intesa come implausibilità delle premesse dell’argomentazione, irrazionalità delle
regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse
e le conclusioni; né hanno lamentato, come pure sarebbe stato astrattamente

decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dalle carte
del procedimento.
I ricorrenti, invero, si sono limitati a criticare il significato che la Corte di
appello di Catanzaro aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite durante
la fase delle indagini. E tuttavia, bisogna rilevare come i ricorsi, lungi dal
proporre un ‘travisamento delle prove’, vale a dire una incompatibilità tra
l’apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti
del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell’intera motivazione,
sono stati presentati per sostenere, in pratica, una ipotesi di ‘travisamento dei
fatti’ oggetto di analisi, sollecitando un’inammissibile rivalutazione dell’intero
materiale d’indagine, rispetto al quale è stata proposta dalla difesa una
spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale
nell’ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente.
Questa Corte, pertanto, non ha ragione di discostarsi dal consolidato principio
di diritto secondo il quale, a seguito delle modifiche dell’art. 606, comma 1, lett.
e), cod. proc. pen., ad opera dell’art. 8 della legge 20 febbraio 2006, n. 46,
mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di ‘travisamento
della prova’, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il
proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova
obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non è affatto
permesso dedurre il vizio del ‘travisamento del fatto’, stante la preclusione per il
giudice di legittimità a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze
processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che,
in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione
estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli
elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione (così, tra le
tante, Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623; Sez. 5, n. 39048
del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215).
La motivazione contenuta nella sentenza impugnata possiede una stringente e
completa capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta

3

possibile, una incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la

illogicità: avendo la Corte calabrese analiticamente spiegato come, a fronte delle
giustificazioni offerte dagli imputati (i quali, peraltro, non avevano negato la
possibilità di destinare parte della sostanza acquistata anche a terzi soggetti),
che avevano sostenuto che la droga era stata acquistata per il consumo
personale, la destinazione alla cessione in favore di terzi di tutto o di parte di
quello stupefacente fosse stata dimostrata, in via logica, tanto dal rilevante
quantitativo dei panetti rinvenuti, del peso totale di oltre un chilo di sostanza,
quanto dal fatto che i due prevenuti avessero affrontato un lunghissimo viaggio

comprare una partita di droga di entità di gran lunga eccedente il loro -presuntofabbisogno personale per un ragionevole periodo di tempo (v. pagg. 1-2 sent.
impugn.).

3.2. Il secondo motivo del ricorso è manifestamente infondato.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio
secondo il quale, ai fini della concedibilità o del diniego della circostanza
attenuante del fatto di lieve entità, di cui all’art. 73 comma 5 d.P.R. n. 309 del
1990 (nel testo previgente rispetto alle recenti modifiche legislative), il giudice è
tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati,
quindi, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della
stessa), che quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e
qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo
conseguentemente escludere il riconoscimento dell’attenuante quando anche uno
solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico
protetto sia di ‘lieve entità’ (così,

ex plurimis,

Sez. 4, n. 6732/12 del

22/12/2011, P.G. in proc. Sabatino, Rv. 251942; Sez. 4, n. 43399 del
12/11/2010, Serrapede, Rv. 248947; Sez. 4, Sentenza n. 38879 del 29/09/2005,
Frank, Rv. 232428).
Di tale regula iuris la Corte di appello di Catanzaro ha fatto corretta
applicazione chiarendo, con motivazione congrua, nella quale non sono
riconoscibili lacune o vizi di manifesta illogicità, dunque con argomenti non
censurabili in questa sede, come la condotta dei due imputati, caratterizzata da
un lungo viaggio effettuato nel Nord Italia per approvvigionarsi di un così elevato
quantitativo di droga, fosse dato sufficiente ad escludere che il reato commesso
dagli imputati potesse essere qualificato in termini di ridotta offensività ovvero di
scarso allarme sociale (v. pag. 2 sent. impugn.).

4

dalla Sicilia fino a Milano, pure facendo fronte a considerevoli spese, per

4. E’, invece,

fondata la questione sul trattamento sanzionatorio, oggi

esaminabile perché strettamente connessa a quella sul riconoscimento della
circostanza attenuante di cui al punto che precede.
La Corte costituzionale ha recentemente dichiarato l’illegittimità costituzionale
degli artt. 4-bis e 4-vicies ter del decreto legge n. 272 del 2005 (contenente
“Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime
Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno.
Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche al

psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre
1990, n. 309”), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n.
49 del 2006 (Corte cost. n. 32 del 2014). L’effetto di tale pronuncia è stato
quello di una reviviscenza della disciplina dettata dall’art. 73 d.P.R. n. 309 del
1990 nella sua versione precedente alle modifiche introdotte con la citata legge
di conversione n. 49 del 2006, che, come noto, aveva – tra l’altro – parificato, ai
fini sanzionatori, le droghe ‘pesanti’ a quelle ‘leggere’, con l’eliminazione delle
quattro distinte tabelle di cui al d.m. previsto dall’art. 14 dello stesso d.P.R.,
pure modificando i limiti edittali.
L’eliminazione,

con

effetto

ex

tunc,

della

disciplina

dichiarata

costituzionalmente illegittima e la riacquistata efficacia della disciplina
previgente ha palesi effetti pratici nel caso di specie, atteso che l’imputato è
stato condannato dai Giudici di merito in base all’art. 73 d.P.R. cit., laddove
l’effetto della dichiarazione di illegittimità comporta la reviviscenza della vecchia
disciplina del medesimo art. 73, comma 4, che, in relazione alle droghe ‘leggere’,
di cui alle citate tabelle II e IV (tra cui la marijuana), stabiliva una pena con
limiti edittali sensibilmente inferiori.
Si tratta di una modifica del trattamento sanzionatorio evidentemente in
melius – dovendosi, in ogni caso, escludere nella fattispecie l’operatività della più
rigorosa disciplina introdotta dall’art. 2 del decreto legge n. 146 del 2013
(contenente “Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti
e di riduzione controllata della popolazione carceraria”), convertito, con
modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge n. 10 del 2014, ius superveniens
non ‘toccato’ dalla sopra considerata sentenza della Consulta, ma applicabile solo
ai reati commessi dal 24/12/2013 – che non può non avere effetti favorevoli
anche per gli odierni ricorrenti, la cui responsabilità ha comportato l’irrogazione
di una sanzione sulla base di parametri oggi non più “legali”: imputati per i quali
occorre effettuare una nuova globale valutazione del fatto, in maniera tale da
adeguarlo all’entità della pena da infliggere in ragione dei nuovi limiti edittali più

5

testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze

favorevoli (valutazione di merito non consentita in questa sede di legittimità: in
questo senso, tra le altre, Sez. 6, n. 12707 del 24/02/2009, Mazzullo, Rv.
243685; Sez. 6, n. 16176 del 02/04/2008, Mecaj, Rv. 239557; Sez. 6, n. 1024
del 17/10/2006, Durante, Rv. 236061), il che impone l’annullamento della
sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio, per
nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena e
rinvia, per nuovo giudizio sul punto, ad altra sezione della Corte di appello di
Catanzaro.
Rigetta i ricorsi nel resto.
Così deciso il 16/07/2014

P.Q.M.

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