Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32441 del 16/07/2014


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 32441 Anno 2014
Presidente: AGRO’ ANTONIO
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
Rivetti Andrea, nato a Brescia il 29/09/1989

avverso la sentenza del 23/10/2012 della Corte di appello di Brescia;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Aldo
Policastro, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza
impugnata e di quella di primo grado, con trasmissione degli atti alla Procura
della Repubblica di Brescia.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Brescia riformava
parzialmente la pronuncia di primo grado del 27/10/2011, riducendo la pena
inflitta, e confermava nel resto la medesima pronuncia con la quale il Giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale della stessa città, all’esito di giudizio

Data Udienza: 16/07/2014

;

abbreviato, aveva condannato Andrea Rivetti in relazione al reato di cui all’art.
73 d.P.R. n. 309 del 1990, con l’attenuante del fatto di lieve entità, per avere, in
Travagliato, il 14/10/2010, detenuto a fine di spaccio gr. 237 di sostanza
stupefacente del tipo marijuana.
Rilevava la Corte di appello come il Giudice di primo grado, nel ritenere
l’imputato colpevole della coltivazione di cinque piante di cannabis indica (dalle
quali era stata tratta, almeno in parte, la marijuana rinvenuta nell’abitazione del
prevenuto), non avesse violato il principio di correlazione tra fatto contestato e

limitato a riqualificare giuridicamente il fatto come addebitato, peraltro secondo
le indicazioni difensive provenienti dallo stesso Rivetti, attività di riqualificazione
senz’altro consentita anche in sede di definizione del procedimento nelle forme
del rito abbreviato.

2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il Rivetti, con atto sottoscritto
dal suo difensore avv. Giambattista Scalvi, il quale ha dedotto i seguenti due
motivi.
2.1. Violazione di legge, in relazione all’art. 73 d.P.R. cit., e vizio di
motivazione, per manifesta illogicità, per avere la Corte di appello erroneamente
disatteso l’eccezione di nullità della sentenza di prime cure, ritenendo equivalenti
le condotte alternative di coltivazione di piante da cui trarre sostanza
stupefacente e detenzione della medesima sostanza, tanto più che per questa
seconda condotta la destinazione della droga al consumo personale avrebbe
comportato la esclusione della configurabilità del reato, cosa non possibile con
riferimento alla prima condotta di coltivazione.
2.2. Violazione di legge, in relazione agli artt. 442, 521 e 522 cod. proc. pen.,
24 e 111 Cost., per avere la Corte territoriale confermato la sentenza di
condanna di primo grado sulla base di una diversa qualificazione giuridica dei
fatti contestati, operazione non consentita in sede di rito abbreviato.

3. Ritiene la Corte che il ricorso vada accolto, essendo fondato il primo motivo
dell’impugnazione.
Se è vero che, secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di
questa Corte, non sussiste alcuna violazione del principio di corrispondenza tra
contestazione e pronuncia, di cui all’art. 521 cod. proc. pen., laddove si possa
tenere conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le
ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell’imputato e che hanno
formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di
esercitare le sue difese sull’intero materiale probatorio posto a fondamento della

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fatto ritenuto nella sentenza di condanna, posto che quel giudicante si era

decisione (così, ex plurimis e da ultimo, Sez. 6, n. 5890 del 22/01/2013, Lucera
e altri, Rv. 254419), è anche vero che va esclusa la operatività della disposizione
dettata dal citato art. 521 e si impone l’applicazione della diversa disposizione
prevista dall’art. 522 del medesimo codice di rito, laddove l’imputato venga
condannato per fatti ontologicamente diversi da oggetto di addebito: in siffatte
ipotesi, invero, non si tratta di dare una differente veste giuridica al medesimo
fatto – inteso nella sua accezione di fatto formalmente contestato,
eventualmente comprensivo di quello meglio specificato, nei suoi elementi

emerso nel corso del giudizio, diverso da quello formalmente contestato, di
talché l’accertamento conclusivo non può dirsi coincidente con i termini
dell’accusa ed al giudice è preclusa la decisione sulla regiudicanda, dovendo
trasmettere, ai sensi del comma 2 dell’art. 521 cod. proc. pen., gli atti al
pubblico ministero affinché provveda a formulare una nuova imputazione.
Situazione, questa, verificatasi nel caso di specie nel quale il Rivetti, cui era stata
formalmente contestata la condotta di detenzione di 237 grammi di sostanza
stupefacente del tipo marijuana, è stato giudicato condannato per
l’ontologicamente diversa condotta di coltivazione di cinque piante di cannabis
indica dalle quali erano state (almeno in parte) tratte le foglie di marijuana
rinvenute all’interno della sua abitazione: e ciò senza che possa affermarsi, così
come è stato fatto nella motivazione del provvedimento gravato, che il concetto
di detenzione sia omnicomprensivo, indicando una qualsiasi forma di relazione
tra lo stupefacente ed il soggetto, dunque comprendente anche il concetto di
coltivazione.
Vanno, dunque, annullate tanto la sentenza impugnata quanto quella di primo
grado e ordinata la trasmissione degli atti al P.M. presso il Tribunale di Brescia
per quanto di competenza.
Resta così assorbito tanto il secondo motivo del ricorso, quanto la questione,
della eventuale rideterminazione della pena, per effetto della sentenza
abrogatrice n. 32 del 2014, che sarà valutata nel corso del nuovo giudizio.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nonché quella del G.u.p. del
Tribunale di Brescia in data 27/10/2011 e ordina la trasmissione degli atti al P.M.
presso tale Tribunale per l’ulteriore corso.
Così deciso il 16/07/2014

costitutivi, nel corso del giudizio – ma di giudicare l’imputato per un fatto,

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