Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32437 del 09/07/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32437 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 09/07/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto nell’interesse di CHIOFALO Gaetano, n. a Milazzo
il 24.09.1973, attualmente sottoposto alla misura cautelare della
custodia in carcere, rappresentato e assistito dall’avv. Giuseppe Lo
Presti, avverso l’ordinanza del Tribunale di Messina n. 21/2014, in
data 04.03.2014;
rilevata la regolarità degli avvisi di rito;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere dott. Andrea Pellegrino;
udite le conclusioni del Sostituto procuratore generale dott. Roberto
Aniello che ha chiesto di dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 27.12.2013, la Corte d’appello di Messina
rigettava la richiesta di sostituzione della misura cautelare della

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custodia in carcere avanzata nell’interesse di Chiofalo Gaetano
nell’ambito del procedimento per cui è indagato per i reati di cui agli
artt. 424, 635, 629 cod. pen., 7 I. n. 895/1967 e 7 d.l. n. 152/1991.
2. Con istanza depositata in data 16.01.2014, la difesa del Chiofalo
proponeva impugnazione avverso il provvedimento

de quo,

deducendo che la Corte d’appello di Messina aveva concesso la
misura degli arresti domiciliari ad altro soggetto (Marino Tindaro),
imputato di concorso esterno in associazione di stampo mafioso e di

estorsione per i quali era stato condannato in primo grado alla pena
di anni otto di reclusione, mentre invece aveva negato il predetto
beneficio al Chiofalo nonostante il fatto che lo stesso fosse stato
assolto dall’imputazione di partecipazione all’associazione mafiosa
della famiglia dei barcellonesi e condannato per il delitto di
estorsione aggravata ai sensi dell’art. 7 I. n. 203/1991 alla pena di
anni nove di reclusione. Evidenziava altresì come il Chiofalo fosse
detenuto in regime di custodia cautelare dal gennaio del 2009 e che,
detraendo il periodo di liberazione anticipata, lo stesso aveva già
espiato circa sette anni di reclusione; alla luce anche del ruolo
meramente esecutivo ricoperto, nei confronti del medesimo, le
esigenze cautelari residuate potevano essere adeguatamente
fronteggiate anche con l’adozione di una misura cautelare meno
grave rispetto a quella massima.
3. Con ordinanza in data 04.03.2014, la Corte d’appello di Messina
respingeva il gravame e confermava il provvedimento impugnato.
4. Avverso detta ordinanza, nell’interesse del Chiofalo, veniva proposto
ricorso per cassazione, lamentandosi:
-violazione dell’art. 606, comma 1 lett. e) cod. proc. pen. per
omessa motivazione in relazione all’art. 274 cod. proc. pen. ed anche
per manifesta illogicità (primo motivo);
-violazione dell’art. 606, comma 1 lett. e) cod. proc. pen. per
omessa e/o manifesta illogicità della motivazione in relazione all’art.
275 cod. proc. pen. (secondo motivo).
In relazione al primo motivo, lamenta il ricorrente come i giudici di
secondo grado avessero adottato una motivazione apparente e
apodittica non spiegando le ragioni per le quali il Chiofalo,
nonostante la commissione di un unico reato, avesse “manifestato
una significativa propensione alla trasgressione delle leggi”.

2

In relazione al secondo motivo, lamenta il ricorrente come i giudici di
secondo grado non avessero adeguatamente spiegato le ragioni per
le quali la misura degli arresti domiciliari non fosse idonea a
scongiurare il pericolo di recidivazione residuato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Il ricorso, con riferimento ad entrambi i motivi di doglianza

proposti, è manifestamente infondato per genericità ed astrattezza
delle censure e, come tale, risulta inammissibile.
6.

È anzitutto necessario chiarire, sia pur in sintesi, i limiti di
sindacabilità da parte di questa Corte Suprema dei provvedimenti
adottati dal giudice della cautela sulla libertà personale.
Secondo l’orientamento di questa Corte Suprema, in tema di misure
cautelari personali, allorché sia denunciato, con ricorso per
cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal
giudice della cautela in ordine alla consistenza dei gravi indizi di
colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in
relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che
ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente
conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del
quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza
della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti
rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie (cfr., Cass., Sez. 1, n.
4844 del 26/11/1992-dep. 11/01/1993, Granillo, rv. 192926,
secondo la quale è preclusa, nel giudizio rescindente, la possibilità di
controllo delle risultanze processuali per verificare l’esattezza e la
completezza della valutazione compiuta dal giudice di merito degli
elementi di prova disponibili ai fini della decisione sulla necessità di
adottare la misura cautelare e sulla scelta della medesima).
Si è inoltre osservato, sempre in tema di impugnazione delle misure
cautelari personali, che il ricorso per cassazione è ammissibile
soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge,
ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento
secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche
quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti

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ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze
esaminate dal giudice di merito (Cass., Sez. 5, n. 46124
dell’08/10/2008, Pagliaro, rv. 241997; Cass., Sez. 6, n. 11194 dell’
08/03/2012, Lupo, rv. 252178).
L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 cod. proc.
pen.) e delle esigenze cautelari (art. 274 cod. proc. pen.) è, quindi,
rilevabile in cassazione soltanto se si traduce nella violazione di
specifiche norme di legge o nella manifesta illogicità della

motivazione secondo la logica ed i principi di diritto, rimanendo
“all’interno” del provvedimento impugnato; il controllo di legittimità
non può, infatti, riguardare la ricostruzione dei fatti e sono
inammissibili le censure che, pur formalmente investendo la
motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa
valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito,
dovendosi in sede di legittimità accertare unicamente se gli elementi
di fatto siano corrispondenti alla previsione della norma
incriminatrice.
7. Femro quanto precede, il Tribunale di Messina, in funzione di giudice
dell’appello, ha valorizzato, ad integrazione del necessario quadro di
gravità indiziaria legittimante l’emissione della impugnata misura
coercitiva, una articolata serie di elementi, dai quali è stata nel
complesso desunta la sussistenza del necessario quadro di gravità
indiziaria in relazione al reato ipotizzato, al concreto pericolo di
reiterazione ed alla inidoneità della misura degli arresti domiciliari a
fronteggiare le valutate esigenze di natura social-preventiva.
Le doglianze del ricorrente si risolvono, al contrario, in generiche – e
come tali non consentite

asserzioni di censura verso il

provvedimento impugnato.
8. Sostanzialmente, nei due motivi di ricorso, trattabili congiuntamente
per omogeneità di tema, si censura l’esistenza di una motivazione
apparente.
A parere del Collegio, la motivazione della Corte, come accennato in
premessa, appare esauriente, logica, non contraddittoria, come tale
esente da vizi rilevabili in questa sede nella parte in cui ha ritenuto
come “… permangano immutate le esigenze cautelari di cui alla
lettera c) dell’art. 274 cod. proc. pen., desumibili, innanzitutto dalle
modalità e circostanze del fatto. Ed invero, la specifica condotta

4

delittuosa – avendo l’indagato riportato una severa condanna per un
unico episodio estorsivo, peraltro aggravato dall’utilizzo del metodo
mafioso – consente di ritenere il Chiofalo soggetto legato da stretti
rapporti di cointeressenza criminale con personaggi intranei
all’ambiente malavitoso locale, mostrando lo stesso una condotta di
vita fondata sull’agire delittuoso. Si tratta di elementi che
consentono di valutare in modo estremamente negativo la
personalità del prevenuto, il quale – sebbene incensurato – ha

manifestato una significativa propensione alla trasgressione delle
leggi, rendendo concreto il rischio di reiterazione di condotte del
medesimo tenore di quelle per cui si procede. Ne consegue che, allo
stato, solo una misura di tipo custodiale, limitando in modo
significativo la libertà di movimento e di comunicazione del
prevenuto e assicurando un adeguato controllo da parte delle forze
dell’ordine, consente di scongiurare il rischio di recidiva. La misura
meno afflittiva degli arresti domiciliari, per i margini di libertà ed i
minori controlli che inevitabilmente consente, non appare idonea a
fronteggiare il rischio che il prevenuto possa commettere nuovi reati
contro la libertà personale …; contrariamente a quanto sostenuto
dalla difesa, il Chiofalo ha manifestato una pregnante capacità a
delinquere, prestandosi a sostenere gravi contegni estorsivi
avvalendosi delle modalità descritte dall’art. 7 D.L. 152/1991. In
questi termini non risulta significativo il richiamo all’assoluzione
dall’imputazione di cui all’art. 416-bis cod. pen. e al periodo di tempo
trascorso in regime di custodia cautelare, attesa la significativa
rilevanza dell’episodio delittuoso per il quale è stato condannato e la
severità della pena concretamente irrogata …”.
9. Alla pronuncia di inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle
ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti
dal ricorso, si determina equitativamente in euro 1.000,00. Si
provveda a norma dell’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc. pen.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento

5
)

delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla Cassa
delle ammende.
Si provveda a norma dell’art. 94 comma 1 ter disp. att. cod. proc.
pen..

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Dott. Ar1irea Pellegrino

Do t. Franco Tdanese

Così deliberato in Roma, udienza in camera di consiglio del 9.7.2014

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