Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32435 del 09/07/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32435 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso straordinario ex art. 625-bis cod. proc. pen. proposto da:
GIUDICE Giovanni, n.1’8.5.1962;
avverso la sentenza della Corte di Cassazione, Sez. VI, del 5.12.2013;
Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Roberto Aniello,
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
Udito il difensore Avv. Pietro Scarvaglieri, che ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 26.7.2012, la Corte di Appello di Caltanissetta
confermò – per quel che qui rileva – la sentenza di condanna emessa dal
Tribunale di Gela nei confronti di Giudice Giovanni per i delitti di concorso
esterno nell’associazione mafiosa denominata “Cosa nostra” operante
nella provincia di Caltanissetta e in territorio di Niscemi (così riqualificato
il fatto contestato al capo A), nonché di estorsione aggravata dall’art. 7

Data Udienza: 09/07/2014

D.L. n. 152/1991 commessa in danno dell’imprenditore Di Stefano
Gaetano, amministratore della società GSM (capo F), riducendo la pena.
Avverso tale sentenza, propose ricorso per cassazione l’imputato, ma
la Sesta Sezione penale di questa Corte suprema, con sentenza del
5.12.2013, rigettò il ricorso.
Avverso tale pronunzia ha proposto ricorso straordinario ai sensi

duplice errore di fatto:
1) l’avere la Corte di cassazione affermato – a p. 21 della sentenza
impugnata

che Giudice Giovanni “aveva tratto l’indebito vantaggio

personale di essere assunto come dipendente dalla medesima società (la
società sottoposta ad estorsione), anche al fine di curare, da intraneus
nell’azienda, gli interessi dei sodali mafiosi (v. pagg. 16 19 sent.

impugn.)”; e ciò in contrasto con le risultanze della articolata sentenza di
primo grado che aveva ritenuto il contrario;
2) l’avere la stessa Corte affermato (nella stessa p. 21) che Giudice
Giovanni aveva offerto rifugio al latitante Giuseppe Trubia, senza
considerare il passaggio successivo della dichiarazione del Trubia evidenziato nella sentenza del giudice di primo grado – nel quale lo
stesso aveva precisato che non c’era troppo da fidarsi di lui.
A dire del ricorrente, questi errori percettivi avrebbero minato l’iter
logico-argomentativo seguito dalla Corte di cassazione nel confermare il
giudizio di responsabilità del Giudice quale concorrente esterno
nell’associazione mafiosa.
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che le Sezioni Unite di questa Corte suprema hanno più
volte statuito che «l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e
oggetto del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. consiste in
un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la
Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio
stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della
volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che
abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata

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dell’art. 625 bis cod. proc. pen., il difensore dell’indagato deducendo un

adottata senza di esso» (Cass., Sez. Un., n. 16103 del 27/03/2002 Rv.
221280; conf. Sez. un., 27 marzo 2002 n. 16104, De Lorenzo, non
massimata); e che «in tema di ricorso straordinario, qualora la causa
dell’errore non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata
rappresentazione percettiva e la decisione abbia comunque contenuto
valutativo, non è configurabile un errore di fatto, bensì di giudizio, come

pen.» (Cass., Sez. Un., n. 37505 del 14/07/2011 Rv. 250527).
Nella casistica giurisprudenziale, si è perciò deciso che è
inammissibile il ricorso straordinario per errore di fatto quando si
deducano pretesi errori di lettura, comprensione o valutazione di atti
processuali del giudizio di merito (Sez. 1, n. 17362 del 15/04/2009 Rv.
244067), o quando si deduca una errata valutazione di elementi probatori
(Cass., Sez. 2, n. 45654 del 24/09/2003 Rv. 227486), o una errata
interpretazione di dati di fatto correttamente rilevati (Cass., Sez. 6, n.
12124 del 30/01/2004 Rv. 228336), o un errore di valutazione di fatti
esposti nella sentenza a suo tempo impugnata con ricorso ordinario ed
esattamente percepiti (Cass., Sez. 6, n. 12893 del 13/02/2003 Rv.
224156) ovvero quando si deducano vizi di motivazione della decisione
della Corte di cassazione (Cass., Sez. 6, ord. n. 18216 del 10/03/2003
Rv. 225258).
Orbene, nessuno dei pretesi errori lamentati dal ricorrente sono
“errori di percezione” nei sensi di cui sopra.
Quanto al primo preteso errore di fatto, va osservato che più volte
nella motivazione della sentenza della Corte di Appello si legge che
Giudice Giovanni era stato inserito nella ditta sottoposta ad estorsione
per fare da tramite tra il clan mafioso e il titolare della ditta; lo si legge a
pag. 23 capoversi 10 e 4°, nonché a pag. 24 capoversi 1° e 4°. Non
sussiste, pertanto, alcun errore percettivo, ma semmai solo un errore
nella citazione delle pagine della sentenza di appello impugnata.
Il fatto poi che – secondo il ricorrente – la sentenza di primo grado
avrebbe ritenuto non confermata la circostanza che il Giudice lavorasse
all’interno del cantiere è assolutamente irrilevante ai fini del denunciato
errore di fatto asseritamente commesso da questa Corte, la quale sul

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tale escluso dall’orizzonte del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc.

punto non ha affatto citato la sentenza di primo grado, ma quella di
secondo.
Anche il secondo preteso errore di fatto è insussistente.
L’affermazione della Corte di cassazione secondo cui – dalla
ricostruzione dei fatti compiuta dai giudici di merito – risulta che il
Giudice offrì rifugio al latitante Giuseppe Trubia è tratta dalla sentenza di

(p. 17 e 18). Lo stesso ricorrente non contesta che i giudici di merW)
abbiano accertato tale circostanza. Si duole invece che la Corte di
cassazione non abbia precisato – in aggiunta a tale circostanza – che i
Trubia non si fidavano molto del Giudice; circostanza questa, peraltro,
che risulta dal passaggio motivazionale della sentenza di primo grado
menzionato dal ricorrente (p. 2 del ricorso) e dalla stessa sentenza di
secondo grado (p. 17, 1° capoverso).
Ora, a parte il fatto che il passaggio motivazione della sentenza qui
impugnata costituisce un obiter díctum che non scalfisce il giudizio della
Corte di cassazione circa l’inesistenza dei dedotti vizi logici della
motivazione della sentenza della Corte di Appello, rimane il fatto che la
mancanza di piena fiducia dei Trubia nel Giudice non esclude affatto che
quest’ultimo abbia offerto rifugio a Trubia Giuseppe (come risulta dal
passaggio delle dichiarazioni del Trubia – riportato a pag. 2 del ricorso laddove lo stesso, nel riferire il suo colloqio col Giudice, afferma:

“ho

certato delle scuse, ho detto guarda, ho trovato dove vado, stai
tranquillo. E infatti, io stetti a Gela un quindici giorni e poi sono andato in
Piemonte”).
Perciò la Corte di cassazione non è incorsa in alcun errore percettivo
nell’affermare che i giudici di merito avevano accertato che il Giudice
aveva offerto rifugio al latitante Trubia; dal che l’assoluta inconsistenza
del dedotto errore di fatto.
Non ricorrendo alcuno dei dedotti errori di fatto, il ricorso deve essere
dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve
essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché –

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di primo grado, ma è contenuta anche nella sentenza di secondo grado

ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di duemila euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.
P. Q. M.

La Corte Suprema di Cassazione

delle spese processuali e della somma di euro duemila alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda
Sezione Penale, addì 9 luglio 2014.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento

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