Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32434 del 17/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32434 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sul ricorso proposto dall’Avvocato Amedeo Valanzuolo, quale difensore di
Rivieccio Fabio (n. il 29/07/1991), avverso l’ordinanza del Tribunale di
Bologna, in data 29/10/2012.
Sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Adriano ‘asili°.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Giuseppe
Volpe, il quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
Osserva:

Data Udienza: 17/04/2013

Con ordinanza del 29.09.2012, il G.I.P. del Tribunale di Rimini emise la
misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Ferrante Giovanni,
indagato per i reati di rapina e lesioni aggravate.
Avverso il provvedimento di cui sopra l’indagato propose istanza di
riesame ma il Tribunale di Bologna, con ordinanza del 29.10.2012, la
respinse.
l’erronea qualificazione giuridica del fatto (che doveva essere qualificato
come furto con strappo anziché rapina perché la violenza è sulle cose e non
sulla persona); 2) la nullità del riconoscimento effettuato senza il rispetto
delle “garanzie procedurali”; 3) la mancanza e la manifesta illogicità della
motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza.
Il difensore del ricorrente conclude, quindi, per l’annullamento
dell’impugnata ordinanza.
motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 591 lettera c) in
relazione all’art. 581 lettera c) cod. proc. pen., perché le doglianze (sono le
stesse affrontate dal Tribunale) sono prive del necessario contenuto di critica
specifica al provvedimento impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi
dati fattuali trascurati nell’atto di impugnazione, si palesano peraltro immuni
da vizi logici o giuridici. Infatti, il Giudice di merito — dopo aver evidenziato
come si sono svolti i fatti – espone, in modo chiaro ed esaustivo, perché
ritiene sussistenti i gravi indizi di colpevolezza per i reati di cui sopra (corretta
la qualificazione del fatto come rapina, perché il Tribunale — a pagina 1 —
evidenzia che la P.O. ha subito lesioni personali aggravate dal nesso
teleologico; reato di lesioni personali commesso, quindi, per impossessarsi
della cosa della P.O.). In particolare, giunge a quanto sopra in forza: della
dichiarazione della P.O., ritenuta credibile con motivazione incensurabile; del
riconoscimento dell’indagato da parte della persona offesa e del fratello
Bandini Alessandro, che, tra l’altro, hanno riferito che la zona in cui è stata
commessa la rapina era ben illuminata; delle dichiarazioni del coindagato

Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato deducendo: 1)

minorenne Arciello Ciro; della presenza del solo indagato a Rimini e
nell’albergo ove alloggiavano gli altri autori della rapina (quindi il Tribunale
esclude che l’autore del reato possa essere il fratello gemello dell’indagato di
nome Antonio; tra l’altro nessuno — neppure il ricorrente – ha mai detto che il
fratello gemello del Rivieccio fosse a Rimini e il correo Arciello Giro ha
indicato quale suo complice Fabio e non già Antonio; infine nell’album
la foto di Antonio Rivieccio, ma i testi hanno indicato quale autore della
rapina il Rivieccio Fabio). Infine a proposito del riconoscimento fotografico si
deve ricordare che questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio —
condiviso dal Collegio — che l’individuazione fotografica, in quanto atto di
indagine atipico, diverso dalla ricognizione che è espressamente regolata dal
codice di rito, può essere utilizzata ai fini della decisione anche se compiuta
senza particolari formalità, in forza dei principi della libertà di prova e del
libero convincimento del giudice. L’esito della suddetta individuazione può
risultare da qualsiasi atto di indagine della Polizia Giudiziaria, come può
essere acquisito al processo tramite la deposizione indiretta del personale di
polizia che ha ricevuto l’atto, ovvero tramite quella diretta del soggetto che lo
ha compiuto. (Sig. 5, Sentenza n. 12027 del 06/04/1999 Ud. – dep.
21/10/1999 – Rv. *14872; Sez. 4, Sentenza n. 45496 del 14/10/2008 Ud. dep. 09/12/2008 – 1 Rv. 242029). Inoltre, il riconoscimento fotografico operato
in sede di indagini di polizia giudiziaria non è regolato dal codice di rito e
costituisce un accertamento di fatto utilizzabile in giudizio in base ai principi
di non tassatività dei mezzi di prova e del libero convincimento del giudice; la
certezza della prova non discende dal riconoscimento come strumento
probatorio, ma dall’attendibilità accordata alla deposizione di chi si dica certo
dell’individuazione (Sez. 5, Sentenza n. 22612 del 10/02/2009 Ud. – dep.
29/05/2009 – Rv. 244197).
A fronte di tutto quanto sopra esposto, come si è già detto, il ricorrente
contrappone, quindi, solo generiche contestazioni. In proposito questa Corte
ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che è inammissibile
il motivo di ricorso per Cassazione quando manchi l’indicazione della
correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle
dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del

a

fotografico sottoposto per il riconoscimento alla P.O. e al fratello, c’era anche

provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che
conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità
(Si veda fra le tanto: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 rv 230634).
Ai sensi delliarticolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità al pagamento a favore della cassa delle ammende della
somma di mille giuro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti. Inoltre, poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione
in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter,
delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia
della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui
l’indagato trovasi ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis
del citato articolo 94.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di mille euro alla cassa delle ammende.
Si provveda a nqrma dell’articolo 94 delle disposizioni di attuazione del
codice di procedure penale.

Così deliberato in camera di consiglio, il 17/04/2013.

essere condannate al pagamento delle spese del procedimento, nonché —

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