Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32432 del 17/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32432 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sul ricorso proposto dall’Avvocato Francesco Mascolo, quale difensore di
Manzi Nicola (n. 1’08/01/1975), avverso l’ordinanza del Tribunale di Bari, in
data 27/09/2012
Sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Giuseppe
Volpe, il quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
Osserva:

Data Udienza: 17/04/2013

Con ordinanza del 15.09.2012, il G.I.P. del Tribunale di Trani emise la
misura cautelare Oella custodia in carcere nei confronti di Manzi Nicola,
indagato per ricettazione di due autovetture, per illecita detenzione di armi e
munizioni (un fucile e una pistola), di detenzione illecita di apparecchi atti ad
impedire comunicazioni e di falsificazione di documenti.
Avverso il provvedimento di cui sopra l’indagato propose istanza di
Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato deducendo: 1) la
mancanza e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza; la mancanza di motivazione in
ordine alla derubricazione nel reato di cui all’art. 378 del c.p.; 2) la mancanza
e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza
delle esigenze cautelari.
Il difensore del ricorrente conclude, quindi, per l’annullamento
dell’impugnata ordinanza.
motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606, comma 1, cod.
proc. pen., perché propone censure attinenti al merito della decisione
impugnata, congruamente giustificata.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione
non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la
migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia
compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di
apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass.
Sez. 4 sent. n. 47891 del 28.09.2004 – dep. 10.12.2004 – Rv 230568; Cass.
Sez. 5 sent. n. 1004 del 30.11.1999 – dep. 31.1.2000 – Rv 215745; Cass.,
Sez. 2 sent. n. 2436 del 21.12.1993 – dep. 25.2.1994 – Rv 196955).
Inoltre il ricorso è inammissibile anche per violazione dell’art. 591 lettera
c) in relazione all’art. 581 lettera c) cod. proc. pen., perché le doglianze sono
prive del necessario contenuto di critica specifica al provvedimento
impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi dati fattuali trascurati nell’atto

riesame ma il Tribunale di Bari, con ordinanza del 27.09.2012, la respinse.

di impugnazione, sii palesano peraltro immuni da vizi logici o giuridici. Infatti, il
Tribunale ha con esaustiva, logica e non contraddittoria motivazione
evidenziato tutte le ragioni dalle quali desume i gravi indizi di colpevolezza a
carico dell’indagatp per i reati di cui sopra. In particolare, quanto accertato
direttamente dalla P.G., il tentativo di fuga dell’indagato alla vista della P.G. e
le dichiarazioni del teste Leone Cataldo; da ciò il Tribunale ricava — in modo
Manzi e il correo Aruanno e la piena disponibilità di entrambi sia dei box sia
di quanto oggetto di sequestro. Quindi il Tribunale ha, correttamente, esposto
le ragioni per le quali ritiene sussistenti tutti i reati di cui sopra, decisione che
esclude che il Manzi possa rispondere del reato di favoreggiamento
personale come richiesto dal difensore del Manzi che si duole, anche, del
fatto che il Tribunale non avrebbe fornito un’esaustiva giustificazione a fronte
delle sue doglianze. Orbene, tale deduzione difensiva è logicamente
incompatibile con la decisione adottata e pertanto non era neppure
necessario che fosse confutata esplicitamente (Sez. 4, Sentenza n. 1149 del
24/10/2005 Ud. – dep. 13/01/2006 – Rv. 233187). A tal proposito questa
Suprema Corte ho, infatti, più volte, affermato il principio — condiviso dal
Collegio — che la regola della “concisa esposizione dei motivi di fatto e di
diritto su cui la decisione è fondata”, enunciata dall’art. 546, comma primo,
lettera e), cod. proc. pen., rende non configurabile il vizio di legittimità
allorquando nella motivazione il Giudice abbia dato conto soltanto delle
ragioni in fatto e in diritto che sorreggono il suo convincimento, in quanto
quelle contrarie devono considerarsi implicitamente disattese perché del tutto
incompatibili con la ricostruzione del fatto recepita e con le valutazioni
giuridiche sviluppate (Sez. 4, Sentenza n. 36757 del 04/06/2004 Ud. – dep.
17/09/2004 – Rv. 229688).
La doglianza relativa alla sussistenza delle esigenze cautelari è
generica (la difesa del ricorrente si limita, invero, a citare una massima di
questa Suprema Corte nella quale si indicano le valutazioni da tener
presente – ai fini della sussistenza delle esigenze cautelari – in caso di
concorso di persone nel reato; semplice citazione senza alcuna indicazione
del perché tale massima possa trovare applicazione nel caso concreto).
Invece, il Tribunale espone in modo chiaro ed esaustivo — dopo aver

incensurabile in questa sede di legittimità – un accordo preesistente tra il

richiamato e fatte proprie le motivazioni del G.I.P. – perché ritenga
sussistente l’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione del reato di cui
all’articolo 274, lettera C, del c.p.p. (gravità e modalità dei fatti, personalità
dell’indagato gravato da numerosi precedenti penali). Sul punto questa
Suprema Corte ha più volte affermato il principio – condiviso dal Collegio che in tema di esigenze cautelari, il pericolo di reiterazione del reato può
essere desunto dai criteri stabiliti dall’art. 133 cod. pen., tra ì quali sono
ricompresi le modalità e la gravità del fatto e la personalità dell’indagato,
sicché non deve essere considerato il tipo di reato o una sua ipotetica
gravità, bensì devono essere valutate — come nel caso di specie – situazioni
correlate con i fatti del procedimento ed inerenti ad elementi sintomatici della
pericolosità dell’indagato (Sez. 4, Sentenza n. 34271 del 03/07/2007 Cc. dep. 10/09/2007 – Rv. 237240).
A fronte di tutto ciò il ricorrente contrappone, quindi, solo generiche
contestazioni in fatto, con le quali, in realtà, si propone solo una non
consentita — in questa sede di legittimità — diversa lettura del materiale
probatorio raccolto senzà evidenziare alcuna manifesta illogicità o
contraddizione della motivazione. Inoltre, tutte le censure del ricorrente non
tengono conto delle argomentazioni del Tribunale. In proposito questa Corte
Suprema ha più vOlte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che sono
inammissibili i motivi di ricorso per Cassazione quando manchi l’indicazione
della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e
quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le
affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di
aspecificità, che conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen.
all’inammissibilità del ricorso (si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del
30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – rv 230634).
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve
essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità al pagamento a favore della cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti. Inoltre, poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione

t

in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter,
delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia
della stessa sia rasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui
l’indagato trovasi riStretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis
del citato articolo 94.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di mille euro alla cassa delle ammende.
Si provveda a norma dell’articolo 94 delle disposizioni di attuazione del
codice di procedura penale.

Così deliberato in camera di consiglio, il 17/04/2013.

P.Q.M.

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