Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32432 del 09/07/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32432 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
1) DE SIMONE Vincenzo, n. il 20.5.1988;
2) CECCOLI Andrea, n. il 21.4.1988;
3) ALTEA Edoardo, n. il 23.7.1988;
4) CAFARO Angelo, n. il 7.10.1991;
5) BOGGIA Lavinia, n. il 16.1.1986;
6) FORGIONE Andrea, n. il 3.11.1992;
7) RAOUDI Sara, n. il 24.7.1990;
8) BERTOCCI Luca, n. il 20.10.1992;
9) DI NENNO Stefano, n. 3.2.1989;
avverso l’ordinanza del Tribunale di Bologna del 17.3.2014;
Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Roberto Aniello,
che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;

Data Udienza: 09/07/2014

CONSIDERATO IN FATTO E IN DIRITTO
1. Il 23 e 27 maggio 2013, nel centro storico di Bologna ebbero luogo
disordini di piazza, originati dalle iniziative del Collettivo Studentesco
Autonomo, che intendeva organizzare due manifestazioni non autorizzate
dalle Autorità; tali disordini sfociarono nella commissione di gravi reati in
danno delle forze dell’ordine intervenute.

Tribunale di Bologna dispose la misura cautelare del divieto di dimora nel
territorio del Comune di Bologna nei confronti – tra gli altri – di Ceccoli
Andrea, Altea Edoardo, Cafaro Angelo, Boggia Lavinia, Forgione Andrea e
Raoudi Sara, indagati: i primi tre di rapina di un bastone di difesa
sottratto alle forze dell’ordine; tutti dei delitti di resistenza a pubblico
ufficiale e lesioni personali in danno di otto militari dell’Arma dei
Carabinieri intervenuti.
Con separata ordinanza emessa nella medesima data del 5.3.2014, lo
stesso G.I.P. dispose la misura cautelare del divieto di dimora nel
territorio del Comune di Bologna nei confronti – tra gli altri – di De
Simone Vincenzo, Bertocci Luca, Di Nenno Stefano, Ceccoli Andrea,
Cafaro Angelo e Boggia Lavinia, indagati per gli ulteriori delitti di
resistenza a pubblico ufficiale commessi il 23 maggio 2013 e il 27 maggio
2013.
Avverso tali provvedimenti gli indagati proposero istanza di riesame,
ma il Tribunale di Bologna, con ordinanza del 17.3.2014, confermò i
provvedimenti impugnati.
Ricorre per cassazione il difensore degli indagati, proponendo per De
Simone Vincenzo ricorso autonomo e per gli altri ricorso congiunto.
2.

Nei due ricorsi vengono proposti diversi motivi, che possono

esaminarsi come segue.
2.1. Con il primo motivo di entrambi i ricorsi, si deduce la
inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme
giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale,
nonché il travisamento del fatto, in relazione al delitto di resistenza a
pubblico ufficiale aggravata e al delitto di lesioni personali. Si lamenta

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Con ordinanza del 5.3.2014, il Giudice per le indagini preliminari del

che erroneamente il Tribunale avrebbe affermato che gli indagati avevano
reso dichiarazioni ammissive dei fatti, dovendo al contrario ritenersi
niente affatto ammissive tali dichiarazioni. Si deduce ancora che il
Tribunale non avrebbe verificato l’esistenza di un atto legittimo che
autorizzasse le forze dell’ordine ad intervenire con la forza, dal momento
che non vi sarebbe traccia di alcuna ordinanza del Questore o del

autorizzasse l’intervento delle forze di polizia. Secondo i ricorrenti, il
Tribunale avrebbe omesso di considerare che l’azione delle forze
dell’ordine era illegittima (come risulterebbe da un filmato depositato
dalla difesa e non considerato dai giudici, dal quale si evincerebbe che il
funzionario di polizia diede l’ordine di attaccare gli studenti, quando
questi erano inermi) e che gli indagati si limitarono a reagire ad un atto
arbitrario delle forze dell’ordine, di modo che la loro condotta sarebbe
non penalmente rilevante, ricorrendo l’esimente di cui all’art. 393-bis
cod. pen.
Le doglianze sono manifestamente infondate.
Non risulta al vero che il Tribunale abbia affermato che gli indagati
hanno ammesso la loro responsabilità in ordine ai fatti loro contestati,
essendosi il Tribunale limitato ad affermare che gli indagati hanno
ammesso solo la loro presenza sui luoghi, ma con partecipazione inerte.
Priva di ogni fondamento è poi la pretesa dei ricorrenti di giustificare
la loro condotta con la mancanza di un provvedimento che autorizzasse le
forze dell’ordine ad intervenire. A parte il fatto che dagli atti di polizia
giudiziaria – che fanno prova fino a querela di falso – risulta che il
Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica aveva disposto di
intensificare la vigilanza nella zona universitaria, è certo che le forte
dell’ordine avevano il dovere di intervenire per impedire lo svolgimento
della manifestazione non autorizzata; dal che la irrilevanza del filmato
depositato dalla difesa, nel quale si vedrebbero le forze dell’ordine
utilizzare la forza verso gli indagati. Nessun atto arbitrario delle forze di
polizia è, quindi, ipotizzabile e – correlativamente – è insussistente la
invocata esimente di cui all’art. 393-bis cod. pen.

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“Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica” che

Peraltro, i ricorrenti propongono alla Corte una ricostruzione dei fatti
alternativa rispetto a quella dei giudici di merito, che è inammissibile in
sede di legittimità.
2.2. Con il secondo motivo del ricorso congiunto, si deduce la
mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della
ordinanza impugnata con particolare riferimento alla ritenuta sussistenza

da difesa del Mar. CC. Barolo, contestato – tra gli altri – ai ricorrenti
Altea, Cafaro e Ceccoli. Si deduce che il filmato prodotto dalla difesa
dimostrerebbe che il militare ebbe a perdere il bastone non per i colpi
ricevuti dai giovani manifestanti, ma per i colpi energici inferti dallo
stesso militare ai giovani; il Tribunale non avrebbe considerato tale
filmato e non avrebbe considerato che gli indagati, in sede di
interrogatorio di garanzia, ebbero ad affermare di non essersi resi conto
della perdita del bastone da parte del Carabiniere. Si deduce ancora come
l’Altea fosse in terza fila e non sarebbe intervenuto affatto nell’azione;
che non vi sarebbe prova che il Ceccoli avesse preso in mano il bastone
del carabiniere; che il Cafaro, non avendo preso né toccato il bastone,
non potrebbe rispondere della rapina dello stesso, neppure a titolo di
concorso anomalo ai sensi dell’art. 116 cod. pen., perché l’appropriazione
del detto bastone sarebbe stata un’azione imprevedibile, che avrebbe
spezzato il nesso causale tra la sua condotta e l’evento della rapina.
Anche queste censure sono inammissibili, perché esse sottopongono
alla Corte profili relativi al merito della valutazione delle prove, che sono
insindacabili in sede di legittimità, quando – come nel caso di specie risulta che i giudici di merito hanno esposto in modo ordinato e coerente
le ragioni che giustificano la loro decisione (richiamando, tra l’altro, le
precise dichiarazioni del mar. Barolo e le immagini delle video-riprese,
dalle quali risulta che gli indagati Altea e Ceccoli si impadronirono del
bastone caduto, mentre Cafaro continuava a colpire il militare), sicché
deve escludersi tanto la mancanza quanto la manifesta illogicità della
motivazione, che costituiscono i vizi («di macroscopica evidenza»,
«percepibili “ictu ocu/i”»: cfr. Cass., sez. un., n. 24 del 24.11.1999 Rv

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della gravità indiziaria per il delitto di rapina avente ad oggetto il bastone

214794; Sez. un., n. 47289 del 24/09/2003 Rv. 226074) che
circoscrivono l’ambito in cui è consentito il sindacato di legittimità sulla
motivazione in facto.
Non è vano ricordare che le riprese filmate effettuate in luogo
pubblico nell’ambito dell’attività di indagine della polizia giudiziaria sono
espressamente consentite dall’art. 234 cod. proc. pen., che le annovera

(cfr. Cass., Sez. 5, n. 46307 del 20/10/2004 Rv. 230394).
Illogicamente la difesa pretende che si presti fede, piuttosto che alle
relazioni di servizio delle forze dell’ordine, alla versione dei fatti resa dagli
indagati, che – nel nostro sistema processuale – hanno diritto di mentire.
Il fatto che – secondo la ricostruzione del fatto compiuta dai giudici di
merito – l’appropriazione del bastone da parte di Altea a Ceccoli sia stata
agevolata dai colpi inferti dal Cafaro ai danni del militare consente di
ritenere il concorso di quest’ultimo nel delitto di rapina.
2.3. Con il terzo motivo del ricorso congiunto, si deduce la
inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme
giuridiche di cui si deve tener conto nell’applicazione della legge penale,
in relazione al delitto di resistenza a pubblico ufficiale e al delitto di
lesioni personali con particolare riferimento alla posizione di Forgione
Andrea. Si deduce il vizio della motivazione con riferimento al fatto che
non esisterebbero immagini che ritraggano il Forgione tra le prime file dei
manifestanti mentre danneggia lo scudo del Carabiniere Spinelli; e ciò
nonostante che le fotografie esistenti siano state scattate dalla polizia con
modalità “scatto continuo”, sicché il fatto addebitato dall’indagato non
avrebbe potuto sfuggire. Si deduce ancora che il Carabiniere Spinelli
avrebbe dichiarato di non aver subito lesioni o percosse.
Anche questo motivo di ricorso è inammissibile, attenendo al merito
della valutazione delle prove.
In ordine al delitto di resistenza a pubblico ufficiale, il Tribunale ha
ritenuto la sussistenza della gravità indiziaria sulla base delle
dichiarazioni rese dal carabiniere Spinelli, molto preciso nell’accusare il
Forgione. Il fatto che non vi siano fotografie che ritraggano in Forgione

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tra le prove documentali, sottoposte al libero convincimento del giudice

nella prima file dei manifestanti è assolutamente ininfluente, essendo
ovvio che le foto (anche se “a scatto continuo”) coprono solo un certo
arco temporale.
La censura circa la gravità indiziaria per il delitto di lesioni personali è
inammissibile perché nuova, non essendo stata formulata in sede di
riesame.

del ricorso del De Simone, si deduce, infine, la mancanza,
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione della ordinanza
impugnata con riferimento alla ritenuta sussistenza delle esigenze
cautelari. Si deduce che l’ordinanza cautelare è stata emessa a distanza
di quasi dieci mesi dai fatti e che, perciò, il tempo decorso avrebbe eliso il
pericolo di reiterazione dei reati, posto dai giudici di merito a fondamento
della misura cautelare. Secondo i ricorrenti, nella motivazione della
ordinanza impugnata, mancherebbe una valutazione autonoma e
disgiunta degli elementi di cui all’art. 292, comma 2 lett. c) con
particolare riferimento al “tempo decorso dalla commissione del reato”.
Peraltro, a dire dei ricorrenti, i precedenti penali e quelli di polizia non
giustificherebbe il giudizio di pericolosità sociale formulato dai giudici di
merito.
Le doglianze sono inammissibili perché nuove, non essendo state
proposte in sede di riesame; e ciò, non senza considerare che la
motivazione del Tribunale, che richiama i precedenti penali e di polizia
degli indagati, risulta immune da vizi logici e giuridici.
3. In definitiva, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., il ricorrente va condannato
al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili
di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al
pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di euro
mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione

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2.4. Con il quarto motivo del ricorso congiunto e col secondo motivo

dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno della somma di euro mille alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione

Penale, addì 9 luglio 2014.

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