Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32431 del 17/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32431 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA

Sul ricorso proposto dall’Avvocato Rocco Femia, quale difensore di Zen
Daniele (n. il 30/06/1978), avverso l’ordinanza del Tribunale di Torino, in data
26/10/2012.
Sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Giuseppe
Volpe, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Osserva:

Data Udienza: 17/04/2013

Con ordinanza del 29.09.2012, il G.I.P. del Tribunale di Torino emise la
misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti Zen Daniele, indagato
per ricettazione (art. 648 del c.p.) e per vendita illecita di sostanza dopante
(ari. 9 L. 376/2000).
Avverso il provvedimento di cui sopra l’indagato propose istanza di
riesame ma il Tribunale di Torino, con ordinanza del 26.10.2012, la respinse.

l’inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali, perché il decreto autorizzativo
è motivato solo per relationem a decreti intercettativi precedenti non meglio
specificati e senza che siano indicati i reati per i quali si procede; 2) la
mancanza e la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza; 3) la mancanza e la manifesta
illogicità della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza del concorso tra
i due reati contestati; 4) la mancanza e la manifesta illogicità della
motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari e
sull’adeguatezza della misura degli arresti domiciliari.
Il difensore del ricorrente conclude, quindi, per l’annullamento
dell’impugnata ordinanza.

motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è infondato. Infatti, il Tribunale ha già
ampiamente e correttamente risposto alle eccezioni d’inutilizzabilità delle
intercettazioni dinanzi a lui prospettate dalla difesa dell’indagato e in questa
sede riproposte. In particolare il Tribunale ha rilevato che agli atti vi è il primo
decreto autorizzativo richiamato, per relationem, nel decreto di
autorizzazione ad operazioni di intercettazioni del 18.11.2011 oggetto di
doglianza. Orbene lo stesso difensore dell’indagato riconosce la possibilità di
una motivazione per relationem, ma si lamenta del fatto che non si riesce a
comprendere a quale atto il G.I.P. si riferisca. E’ invece chiaro che — come
rilevato dal Tribunale — il G.I.P. si riferisce alle ragioni già individuate nei
provvedimenti autorizzativi già emessi, come si legge, d’altronde, nel
provvedimento del 18.11.2011 allegato al ricorso (si veda, anche, pagina 3
del ricorso). Il Tribunale, come detto, evidenzia a tal proposito (si veda

Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato deducendo: 1)

pagina 7 dell’impugnato provvedimento) che è agli atti il primo decreto di
intercettazione datato 27.10.2011 nel quale si illustrano esaustivamente i
reati per i quali si procede e gli indizi fino a quel momento raccolti (la
perquisizione da Di Martino e le dichiarazioni da questi rese). Quindi il G.I.P.
ha richiamato un provvedimento acquisito agli atti del procedimento,
congruamente motivato, conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile allo
stesso quanto meno al momento in cui si renda attuale l’esercizio della

facoltà di valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e,
conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o
dell’impugnazione; quindi il G.I.P. ha rispettato tutti i dettami fissati dalla
Giurisprudenza di questa Corte e richiamati dallo stesso ricorrente (si vedano
le pagine 2 e 3 del ricorso; si veda Sez. U, Sentenza n. 17 del 21/06/2000
Ud. – dep. 21/09/2000 Rv. 216664; Sez. 4, Sentenza n. 4181 del
14/11/2007 Cc. – dep. 28/01/2008 – Rv. 238674). Questa Suprema Corte ha,
inoltre, più volte affermato che la motivazione “per relationem” – nella specie
di decreti d’intercettazione di urgenza – non implica la necessità della formale
e fisica allegazione del documento specificamente richiamato, essendo
sufficiente che quest’ultimo sia acquisito agli atti del procedimento ed
esaminato dal giudice ai fini della valutazione che di volta in volta gli è
demandata (Sez. 4, Sentenza n. 9439 del 16/12/2010 Cc. – dep. 09/03/2011 Rv. 249807). Inoltre, in tema di intercettazioni, l’onere di motivazione dei
decreti, sia di convalida di quelli emessi in via di urgenza dal P.M., sia di
proroga, è assolto anche “per relationem”, mediante il richiamo al
provvedimento del Pubblico ministero e alle note di Polizia, con implicito
giudizio di adesione ad essi, essendo preclusa al giudice l’integrazione di
una motivazione mancante – intesa questa anche come motivazione solo
apparente perché meramente riproduttiva del dato normativo – ma non quella
di una motivazione incompleta, insufficiente o inadeguata, emendabile dal
giudice al quale la doglianza venga prospettata, sia esso quello di merito,
che deve utilizzare gli esiti delle intercettazioni, o quello dell’impugnazione,
nella fase di merito o in quella di legittimità (Sez. 1, Sentenza n. 9764 del
10102/2010 Cc. – dep. 11/03/2010 – Rv. 246518).

3

Il resto del ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606, comma 1,
cod. proc. pen., perché propone censure attinenti al merito della decisione
impugnata, congruemente giustificata.
Infatti, nel mOmento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione
non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la
migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia

compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di
apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass.
Sez. 4 sent. n. 47891 del 28.09.2004 – dep. 10.12.2004 – Rv 230568; Cass.
Sez. 5 sent. n. 1004 del 30.11.1999 – dep. 31.1.2000 – Rv 215745; Cass.,
Sez. 2 sent. n. 2436 del 21.12.1993 – dep. 25.2.1994 – Rv 196955).
Inoltre, il resto del ricorso è inammissibile anche per violazione dell’art.
591 lettera c) in relazione all’art. 581 lettera e) cod. proc. pen., perché le
doglianze sono prive del necessario contenuto di critica specifica al
provvedimento impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi dati fattuali
trascurati nell’atto di impugnazione, si palesano peraltro immuni da vizi logici
o giuridici. Infatti, il Tribunale ha con esaustiva, logica e non contraddittoria
motivazione evidenziato tutte le ragioni dalle quali desume i gravi indizi di
colpevolezza a carico dell’indagato per i reati di cui sopra. In particolare:
l’esito delle intercettazioni; le ammissioni di acquisto dello stesso Zen anche
se solo per uso personale. Uso personale smentito da quanto emerge dalle
intercettazioni nelle quali si parla di cessioni e del ricarico che lo Zen pratica
ai suoi clienti (si veda pagina 6 dell’ordinanza impugnata). Nella motivazione
del Tribunale è, poi, ben affrontata la questione relativa alla possibilità che i
due reati contestati all’indagato concorrano, con richiamo anche di pertinente
e condivisa giurisprudenza di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 3087 del
29/11/2005 Cc. – dep. 25/01/2006 Rv. 232558; Sez. 2, Sentenza n. 12744
del 11/03/2010 Ud. dep. 01/04/2010 – Rv. 246672). Sul punto lo stesso
ricorrente riconosce la possibilità che in astratto concorrano i due reati, ma
non indica le ragioni per le quali nel caso concreto non si possa ritenere
sussistente il concorso dei reati; quindi il ricorso sul punto è generico (si veda
pagina 6 del ricorso).

4

Altrettanto generica è la doglianza relativa alla sussistenza delle
esigenze cautelari e all’adeguatezza della misura. Infatti, il Tribunale espone
in modo chiaro ed esaustivo — dopo aver richiamato e fatte proprie le
motivazioni del G.I.P. – perché ritenga sussistente l’esigenza cautelare del
pericolo di reitergione del reato di cui all’articolo 274, lettera C, del c.p.p.
(gravità e modalità dei fatti, personalità dell’indagato gravato da un
precedente specifico) e perché ritenga la misura degli arresti domiciliari

l’unica idonea a preservare l’esigenze cautelari. Sul punto questa Suprema
Corte ha più volte affermato il principio – condiviso dal Collegio – che in tema
di esigenze cautelari, il pericolo di reiterazione del reato può essere desunto
dai criteri stabiliti dall’art. 133 cod. pen., tra i quali sono ricompresi le
modalità e la gravità del fatto e la personalità dell’indagato, sicchè non deve
essere considerato il tipo di reato o una sua ipotetica gravità, bensì devono
essere valutate — come nel caso di specie – situazioni correlate con i fatti del
procedimento ed inerenti ad elementi sintomatici della pericolosità
dell’indagato (Sez. 4, Sentenza n. 34271 del 03/07/2007 Cc. – dep.
10/09/2007 – Rv. 237240). A fronte di tutto ciò il ricorrente contrappone,
quindi, solo generiche contestazioni in fatto, con le quali, in realtà, si propone
solo una non consentita — in questa sede di legittimità — diversa lettura del
materiale probatorio raccolto senza evidenziare alcuna manifesta illogicità o
contraddizione della motivazione. Inoltre, tutte le censure del ricorrente non
tengono conto delle argomentazioni del Tribunale. In proposito questa Corte
Suprema ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che sono
inammissibili i motivi di ricorso per Cassazione quando manchi l’indicazione
della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e
quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le
affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di
aspecificità, che conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen.
all’inammissibilità del ricorso (si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del
30.9.2004 – dep. 11.10.2004 rv 230634).
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata
al pagamento delle spese del procedimento.

5

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

Così deliberato in camera di consiglio, il 17/04/2013.

processuali.

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