Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32428 del 17/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32428 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sul ricorso proposto dall’Avvocato Sandro D’Aloisi, quale difensore di Pifferi
David (n. il 01/01/1975), avverso l’ordinanza del Tribunale di Roma, in data
23/11/2012.
Sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Giuseppe
Volpe, il quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
Udito l’Avvocato Sandro D’Aloisi – difensore di Pifferi David – il quale ha
concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 17/04/2013

Osserva:
Con ordinanza del 12.11.2012, il G.I.P. del Tribunale di Roma emise la
misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti di Pifferi David,
indagato di tentata rapina pluriaggravata in concorso.
Avverso il provvedimento di cui sopra l’indagato propose istanza di
Ricorre per cassazione il difensore dell’indagato deducendo che il
Pifferi non può essere ritenuto autore della tentata rapina in quanto questi al
momento dell’arresto non aveva, ancora, posto in essere atti idonei e diretti
in modo non equivoco a commettere tale reato. In particolare il difensore
dell’indagato evidenzia che non si è tenuto conto: che il locale ove si sarebbe
dovuta commettere la rapina apriva circa un’ora dopo di quando sono stati
arrestati gli indagati; che gli indagati si erano fermati a circa 50 metri dal
locale di cui sopra e che la strada sulla quale avevano parcheggiato i
motocicli era chiusa al traffico; che per quanto rinvenuto in possesso degli
indagati non si può ritenere che questi stessero iniziando il travisamento; che
le dichiarazioni dei due coindagati confermano l’incertezza dell’obbiettivo;
che infine la sentenza citata a sostegno della sussistenza del tentativo
riguarda un caso del tutto diverso da quello oggi in esame.
Il difensore del ricorrente conclude, quindi, per l’annullamento
dell’impugnata ordinanza.
motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato. Infatti, il Tribunale ha evidenziato
che il Pifferi è stato sorpreso — unitamente ai complici Taddeini e Fristachi,
entrambi armati — nei pressi di una sala giochi dove erano giunti a bordo di
due motocicli di provenienza illecita, dopo aver parcheggiato, in una via
vicina, i loro veicoli; la P.G. è intervenuta procedendo all’arresto allorchè i tre
iniziavano a travisarsi (Taddeini si metteva dei guanti in lattice ed aveva un
foulard nel casco poggiato sul motociclo). Il Tribunale, poi, evidenzia: le
diverse versioni fornite da ognuno degli arrestati in sede di interrogatorio,
versioni in contrasto tra di loro e con quanto accertato dalla P.G.; le

riesame ma il Tribunale di Roma, con ordinanza del 23.11.2012, la respinse.

dichiarazioni della direttrice della sala giochi che ha affermato che tutte le
mattine, nell’ora nella quale sono stati sorpresi i tre indagati, si movimenta il
danaro (in • media 1€ 35.000,00) incassato il giorno precedente; l’accurata
progettazione e preparazione della rapina (desunta da come si sono mossi
gli indagati e dai mezzi usati: motocicli di provenienza illecita; i loro veicoli
puliti a poca distanza; armi clandestine di grande potenzialità pronte all’uso
con colpo in canna e silenziatore; cellulari sicuri e da utilizzare solo per la

rapina). Sulla base di questi fatti — solo sinteticamente riportati (si veda, in
proposito, la dettagliata ricostruzione effettuata dal Giudice di merito
nell’impugnata ordinanza) — il Tribunale ha, con motivazione incensurabile,
ritenuto il Pifferi responsabile del delitto di cui sopra. Decisione in perfetta
linea con la giurisprudenza di questa Suprema Corte, condivisa dal Collegio
e citata nella sentenza impugnata. Infatti, ai fini della punibilità del tentativo,
possono assumere rilevanza anche gli atti meramente preparatori, quando
essi, per le concrete circostanze di luogo, di tempo o di mezzi, evidenzino
che l’agente commetterà il delitto progettato a meno del sopravvenire di
eventi imprevedibili, indipendenti dalla volontà dell’agente, e che l’azione
abbia la rilevante probabilità dì conseguire l’obiettivo programmato (Sez. 2,
Sentenza n. 28213 del 15/06/2010 Cc. – dep. 20/07/2010 – Rv. 247680).
Inoltre, anche un ‘atto preparatorio può integrare gli estremi del tentativo
punibile, quando sia idoneo e diretto in modo non equivoco alla
consumazione di un reato, ossia qualora abbia la capacità, sulla base di una
valutazione “ex ante” e in relazione alle circostanze del caso, di raggiungere
il risultato prefisso e a tale risultato sia univocamente diretto. (Sez. 2,
Sentenza n. 41649 del 05/11/2010 Ud. – dep. 25/11/2010 – Rv. 248829).
Infine, ai fini della punibilità del tentativo rileva l’idoneità causale degli atti
compiuti al conseguimento dell’obiettivo delittuoso nonché l’univocità della
loro destinazione, da apprezzarsi con valutazione “ex ante” in rapporto alle
circostanze di fatto ed alle modalità della condotta, al di là del tradizionale e
generico “discrimen” tra atti preparatori ed atti esecutivi (fattispecie in cui
questa Corte ha ritenuto configurabile il tentato omicidio, in ragione non solo
della partecipazione dell’imputato a riunioni preparatorie e alla disponibilità di
armi ma anche e soprattutto per il passaggio, unitamente ai suoi complici,
alla fase attuativa del piano criminoso, mediante l’effettuazione di veri e
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propri appostamenti, finalizzati al compimento dell’omicidio, poi non
realizzato per la rilevata presenza in zona di pattuglie dei carabinieri; Sez. 5,
Sentenza n. 36422 del 17/05/2011 Ud. dep. 07/10/2011 – Rv. 250932).
Proprio per qg.ianto sopra evidenziato risulta chiaro perché il ricorso è
inammissibile per violazione dell’art. 606, comma 1, cod. proc. pen., poiché
propone censure attinenti al merito della decisione impugnata, congruamente
giustificata. Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di

cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga
effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve
condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa
giustificazione sia — come nel caso di specie – compatibile con il senso
comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”,
secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4^ sent. n.
47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5^ sent. n.
1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2^ sent. n. 2436
del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).
Inoltre il ricorso è inammissibile anche per violazione dell’art. 591 lettera
c) in relazione all’art. 581 lettera c) cod. proc. pen., perché le doglianze (già
affrontata dal Tribunale) sono prive del necessario contenuto di critica
specifica al provvedimento impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi
dati fattuali trascurati nell’atto di impugnazione, si palesano peraltro immuni
da vizi logici o giuridici.
Orbene a fronte di quanto sopra esposto, la difesa dell’imputato
propone, come si è già detto, soltanto una diversa e non consentita lettura —
avanti a questa Corte di legittimità – degli atti di causa, contrapponendo, tra
l’altro, solo contestazioni, che non tengono conto delle argomentazioni della
Corte di appello (contestazioni, in alcuni casi, sostenute anche in violazione
del principio di necessaria autosufficienza del ricorso; emblematiche in tal
senso appaiono: le affermazioni relative all’apertura della sala giochi non
provata e in contrasto con quanto riferito dalla direttrice e riportato
nell’ordinanza; la circostanza che la strada – ove si erano fermati i tre indagati
– fosse una strada chiusa al traffico, non provata e sostenuta senza tener
conto dei mezzi — motocicli — usati dagli indagati). In proposito questa Corte
Suprema ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che sono
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inammissibili i motivi di ricorso per Cassazione quando manchi l’indicazione
della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e
quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le
affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di
aspecificità, che conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen.
all’inammissibilità del ricorso (Si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del
Uniformandosi, pertanto, all’orientamento di cui sopra, che il Collegio
condivide, va dichiarata inammissibile l’impugnazione.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve
essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di mille euro alla cassa delle ammende.

Così deliberato in camera di consiglio, il 17/04/2013.

30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – rv 230634).

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