Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32426 del 17/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32426 Anno 2013
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sul ricorso proposto dall’Avvocato Ferruccio Rattazzi, quale difensore di
Falletta Lorenzo (n. il 07/12/1987), avverso l’ordinanza del Tribunale di
Torino, in data 28/09/2012.
Sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Giuseppe
Volpe, il quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
Osserva:

Data Udienza: 17/04/2013

Con ordinanze del 09.07.2012 e 13.07.2012 la Corte di Appello di
Torino rigettò le istanze di revoca o sostituzione della misura cautelare della
custodia in carcere con quella degli arresti domiciliari nei confronti di Falletta
Lorenzo imputato di appartenere ad un’associazione per delinquere
finalizzata al compimento di una serie indeterminata di furti e rapine e di molti
reati fine oltre a ricettazione e incendi di auto utilizzate per le rapine.
Tribunale di Torino, con ordinanza del 28.09.2012, la respinse.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo la
mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari
e all’adeguatezza e proporzionalità della misura adottata.
Il difensore del ricorrente conclude, quindi, per l’annullamento
dell’impugnata ordinanza.
motivi della decisione
Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 591 lettera c) in
relazione all’art. 581 lettera c) cod. proc. pen., perché le doglianze (sono le
stesse affrontate dal Tribunale) sono prive del necessario contenuto di critica
specifica al provvedimento impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi
dati fattuali trascurati nell’atto di impugnazione, si palesano peraltro immuni
da vizi logici o giuridici. Infatti, il Giudice di merito — dopo aver evidenziato
come si sono svolti i numerosissimi e gravi reati commessi dall’imputato, per
i quali è stato condannato, anche in secondo grado, alla pena di anni 6 e
mesi 8 di reclusione – espone, in modo chiaro ed esaustivo, perché ritenga
sussistente l’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione del reato di cui
all’articolo 274, lettera C, del c.p.p. (gravità e modalità del fatto; negativa
personalità dell’imputato). Inoltre, espone correttamente anche perché ritiene
la misura della custodia in carcere l’unica idonea a preservare le esigenze
cautelari (per gli elementi di cui sopra e dopo avere — in modo incensurabile valutato la proposta di arresti domiciliari e di lavoro; si vedano le pagine 2 e 3
dell’impugnato provvedimento).
Sul punto questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio condiviso dal Collegio – che in tema di esigenze cautelari, il pericolo di

Avverso il provvedimento di cui sopra l’indagato propose appello ma il

reiterazione del reato può essere desunto dai criteri stabiliti dall’art. 133 cod.
pen., tra i quali sono ricompresi le modalità e la gravità del fatto e la
personalità dell’indagato, sicché non deve essere considerato il tipo di reato
o una sua ipotetica gravità, bensì devono essere valutate — come nel caso di
specie – situazioni correlate con i fatti del procedimento ed inerenti ad
elementi sintomatici della pericolosità dell’indagato (Sez. 4, Sentenza n.
scelta e adeguatezza delle misure cautelari, ai fini della motivazione del
provvedimento di custodia in carcere non è necessaria un’analitica
dimostrazione delle ragioni che rendono inadeguata ogni altra misura, ma è
sufficiente che il giudice indichi, con argomenti logico-giuridici tratti dalla
natura e dalle modalità di commissione dei reati nonché dalla personalità
dell’indagato, gli elementi specifici che inducono ragionevolmente a ritenere
la custodia in cartere come la misura più adeguata al fine di impedire la
prosecuzione dell’attività criminosa, rimanendo in tal modo assorbita
l’ulteriore dimostrazione dell’inidoneità delle altre misure coercitive (Sez. 1,
Sentenza n. 45011 del 26/09/2003 Cc. – dep. 21/11/2003 – Rv. 227304; Sez.
6, Sentenza n. 17313 del 20/04/2011 Cc. – dep. 05/05/2011 – Rv. 250060).
A fronte di tutto quanto sopra esposto, come si è già detto, il ricorrente
contrappone, quinbi, solo generiche contestazioni. In proposito questa Corte
ha più volte affermato il principio, condiviso dal Collegio, che è inammissibile
il motivo di ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della
correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle
dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del
provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che
conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen.
(Si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 rv 230634).
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve
essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi

34271 del 03/07/2007 Cc. – dep. 10/09/2007 – Rv. 237240). Inoltre, in tema di

dedotti. Inoltre, poilché dalla presente decisione non consegue la rimessione
in libertà del ricorrente, deve disporsi – ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter,
delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia
della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui
l’indagato trovasi ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis
del citato articolo 94.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di mille euro alla cassa delle ammende.
Si provveda a norma dell’articolo 94 delle disposizioni di attuazione del
codice di procedura penale.
Così deliberato in camera di consiglio, il 17/04/2013.

P.Q.M.

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