Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32423 del 09/07/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32423 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso proposto da
PAPPAGALLO Ettore, n. il 10/12/1979;
avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli in data 25.3.2014;
Sentita la relazione del Consigliere Luigi Lombardo;
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale Roberto Aniello,
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Pappagallo Ettore (indagato per il delitto di associazione per
delinquere finalizzata alla commissione di truffe in danno di compagnie di
assicurazioni e falsi in certificazioni amministrative) ricorre per cassazione
– a mezzo del suo difensore – avverso l’ordinanza del Tribunale di Napoli
del 25.3.2014, emessa in sede di riesame, che ha confermato il decreto
di sequestro probatorio emesso dal pubblico ministero il 22.2.2014.
Deduce la violazione degli artt. 253, 324 e 125 cod. proc. pen..
Deduce, in particolare, che il decreto di sequestro emesso dal pubblico
ministero aveva ad oggetto la documentazione riconducibile alle illecite
richieste di risarcimento dei danni avanzate alle compagnie di

Data Udienza: 09/07/2014

assicurazione in relazione a falsi infortuni, mentre sarebbe stata
sequestrata documentazione non pertinente relativa a prodotti finanziari
di Poste Italiane; deduce ancora che la motivazione dell’ordinanza
impugnata sarebbe apparente in ordine alla sussistenza del fumus dei
reati contestati, perché – nel fascicolo a disposizione del Tribunale mancherebbero le dichiarazioni rese dalle persone informate sui fatti, che

particolare, vi sarebbero le dichiarazioni rese dai medici che hanno
confermato la falsità dei certificati, ma non vi sarebbero le dichiarazioni
dell’Ispettore delle Poste Italiane Balestrieri Giuseppe e quelle delle
persone danneggiate e dai testimoni dei presunti falsi sinistri.
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.
Va premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte
suprema, le condizioni generali per l’applicabilità delle misure cautelari
personali, indicate nell’art. 273 c.p.p., non sono estensibili – per le loro
peculiarità – alle misure cautelari reali, essendo preclusa per queste
ultime, in sede di verifica della legittimità del provvedimento di sequestro
preventivo di un bene, ogni valutazione sulla sussistenza degli indizi di
colpevolezza a carico dell’indagato e sulla gravità degli stessi (Cass., Sez.
Un., n. 4 del 23/03/1993 Rv. 193117); le condizioni necessarie e
sufficienti per disporre il sequestro preventivo consistono, quanto al
fumus commissi delicti, nella astratta configurabilità – nel fatto attribuito

all’indagato ed in relazione alle concrete circostanze indicate dal pubblico
ministero – di una ipotesi criminosa, senza che rilevino né la sussistenza
degli indizi di colpevolezza, né la loro gravità e, quanto al periculum in
mora, nella presenza di seri indizi della esistenza del periculum in mora

e/o delle condizioni che legittimano la confisca (Cass., Sez. Un., n. 920
del 17/12/2003 Rv. 226492; più di recente: Sez. 4, n. 15448 del
14/03/2012 Rv. 253508; Sez. 6, n. 35786 del 21/06/2012 Rv. 254394;
Sez. 5, n. 18078 del 26/01/2010 Rv. 247134).
Va ancora premesso che, contro le ordinanze emesse a norma
dell’art. 324 c.p.p. in materia di sequestro preventivo (ma per effetto del
rinvio operato dall’art. 257 c.p.p. alla disposizione anzidetta il discorso

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i giudici hanno posto a base della motivazione del loro provvedimento: in

vale anche per il sequestro probatorio), il ricorso per cassazione è
ammesso solo per “violazione di legge” (art. 325/1 c.p.p.), e non invece – per vizi della motivazione, neppure nella forma della illogicità
manifesta.
Sul punto, va tuttavia chiarito che, secondo questa Corte, nella
nozione di violazione di legge devono comprendersi non solo gli “errores

apparenza della motivazione, in quanto esse determinano la violazione
della norma che impone l’obbligo di motivare i provvedimenti
giurisdizionali (Cass., Sez. Un., n. 25080 del 28/05/2003 Rv. 224611;
Sez. Un., n. 25932 del 29/05/2008 Rv. 239692); la mancanza o la mera
apparenza della motivazione – tuttavia – integrano gli estremi della
violazione di legge solo quando l’apparato argomentativo che dovrebbe
giustificare il provvedimento o manchi del tutto o risulti privo dei requisiti
minimi di coerenza, di completezza e di ragionevolezza, in guisa da
apparire assolutamente inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario
logico seguito dall’organo investito del procedimento (Cass., Sez. Un., n.
25932 del 29/05/2008 Rv. 239692; Sez. Un., n. 5876 del 28/01/2004
Rv. 226710; nello stesso senso, più di recente, Sez. 6, n. 6589 del
10/01/2013 Rv. 254893).
Orbene, nel caso di specie, premesso che oggetto del sequestro
ordinato dal pubblico ministero non era soltanto la documentazione
riconducibile alla illecita richiesta di risarcimento danni alle società
assicuratrici, ma anche la documentazione relativa alla corrispondente
emissione di Buoni fruttiferi postali e libretti di deposito e altri carteggi
relativi ad operazioni finanziarie riconducibili alla attività illecita (v.
decreto di sequestro del pubblico ministero, che è peraltro congruamente
motivato circa la utilità dei documenti suddetti a ricostruire i fatti e a
proseguire le indagini), va rilevato come il Tribunale abbia giustificato il
proprio provvedimento quanto alla sussistenza del fumus commissí delicti
(che nulla ha a che fare con gli indizi di colpevolezza dell’indagato),
richiamando il contenuto delle dichiarazioni dei medici circa la falsità dei
certificati di cui risultano apparentemente firmatari e richiamando poi il
fatto che assegni emessi dalle società assicuratrici siano transitati presso

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in iudicando” o quelli “in procedendo”, ma anche la mancanza o la mera

l’Ufficio postale ove prestava servizio l’indagato e nelle mani dello stesso.
Deve pertanto con certezza escludersi che ricorra, nella specie, quella
apparenza della motivazione che legittimerebbe l’intervento di questa
Corte suprema.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., il ricorrente va condannato

di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al
pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di euro
mille, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P. Q. M.

La Corte Suprema di Cassazione
r

dichiara inammissibile il ricorso e condanna ilg ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione
Penale, addì 9 luglio 2014.

al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili

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