Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32422 del 09/07/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32422 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: RAGO GEPPINO

SENTENZA
su ricorso proposto da:
BENINCASA STEFANIA nata il 05/07/1974, avverso l’ordinanza del
04/03/2014 del Tribunale del Riesame di Catanzaro;
Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso;
udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Geppino Rago;
udito il Procuratore Generale in persona del dott. Roberto Aniello che ha
concluso per l’inammissibilità;
FATTO e DIRITTO
1. Con ordinanza del 04/03/2014, il Tribunale del Riesame di
Catanzaro respingeva l’appello proposto da BENINCASA Stefania
avverso l’ordinanza con la quale, in data 30/09/2013, il giudice per le
indagini preliminari del Tribunale di Lametia Terme aveva rigettato la
richiesta di revoca del sequestro preventivo, ex art. 12

sexies L.

356/1992, emesso il 24/09/2011 a carico di Notaris Francesco indagato
per i delitti di estorsione ed usura.

Data Udienza: 09/07/2014

2. Avverso la suddetta ordinanza, la Benincasa, a mezzo del
proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione deducendo
MOTIVAZIONE APPARENTE

per avere il tribunale, nonostante la copiosa

documentazione prodotta nonché quattro Ctu, confermato il
provvedimento di reiezione del giudice per le indagini preliminari. Il

risposto alle seguenti circostanze: a) la madre del Notaris (Greco Maria)
e Benincasa Francesco Antonio (genitori conviventi dei coniugi
Benincasa e Notaris) contribuivano al sostentamento dei propri figli
sicchè «appare verosimile» che la Greco «provvedesse quanto meno al
sostentamento economico del figlio e della nuora»; b) era ovvio che il

Notaris avesse contribuito al sostentamento della famiglia e quindi della
moglie Benincasa Stefania: «tuttavia il TDL non ha spiegato come mai la
difesa ha documentato un reddito 100 volte superiore a quello indicato
dalla nota della Guardia di Finanza e, questo non è bastato a far sorgere
il dubbio che il Notaris avesse redditi leciti e non frutto di azioni
delittuose»; c) era stata dimostrata l’erroneità dei calcoli contenuti nella

nota della Guardia di Finanza.

3. Il ricorso è manifestamente infondato per le ragioni di seguito
indicate.

4. In punto di diritto, vedendosi in materia di sequestro di beni
appartenenti ad un terzo, sul presupposto che, in realtà, siano nella
disponibilità dell’indagato per reati per i quali è prevista la confisca, è
opportuno rammentare i principi di diritto che, in modo costante, questa
Corte di legittimità ha reiteratamente enunciato.
Il principio base e fondamentale è il seguente: incombe alla
pubblica accusa l’onere di dimostrare l’esistenza di situazioni che
avallino concretamente l’ipotesi di una discrasia tra intestazione formale
e disponibilità effettiva del bene, sicché possa affermarsi con certezza
che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo
fine di favorire la permanenza dell’acquisizione del bene in capo al

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tribunale, ad avviso della ricorrente, infatti, non aveva adeguatamente

soggetto indagato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca, così
come spetta al giudice della cautela esplicare poi le ragioni della ritenuta
interposizione fittizia, utilizzando allo scopo non solo circostanze
sintomatiche di mero spessore indiziario, ma elementi fattuali, dotati dei
crismi della gravità, precisione e concordanza, idonei a sostenere, anche

riv 231390, in motivazione – Cass. 3990/2008 riv 239269 – Cass.
27556/2010 riv 247722).
L’onere probatorio dell’accusa consiste unicamente nel dimostrare,
anche e soprattutto attraverso presunzioni plurime, gravi, precise e
concordanti, che quei beni, in realtà, non sono del terzo, ma sono nella
disponibilità dell’indagato «a qualsiasi titolo».
Le presunzioni possono essere le più svariate: a mò di esempio,
senza alcuna pretesa di esaustività, e facendo ricorso alla casistica
giurisprudenziale, si possono ricordare le seguenti presunzioni: a) la
parentela e la convivenza fra il dante causa e l’avente causa, nonché
rapporti di amicizia o di lavoro; b) la vicinanza temporale fra l’atto di
spoliazione e il momento in cui il dante causa ha avuto la cognizione
che, presto, i suoi beni sarebbero stati aggrediti dal creditore o dal
Pubblico Ministero; c) la mancanza di disponibilità economica da parte
dell’avente causa che giustifichi l’acquisto a titolo oneroso; d) la
circostanza che l’avente causa ha continuato ad avere la disponibilità di
fatto del bene trasferito a terzi; e) la gratuità dell’atto ecc…

5. Va anche ricordato che, ex art. 325 cod. proc. pen. il ricorso per
cassazione è ammesso solo per violazioni di legge e che, in tale vizio,
rientra sia la motivazione omessa che quella apparente.

6. Completata l’analisi dei principi di diritto applicabili al caso di
specie, non resta che verificare se il tribunale si sia ad essi adeguato.
Il tribunale ha mostrato di avere preso in esame la
documentazione prodotta dalla ricorrente e che dimostrerebbe che la
medesima è la reale ed effettiva titolare dei beni sequestrati.
Il Tribunale, infatti, ha chiarito che:

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in chiave indiretta, l’assunto accusatorio (ex plurimis Cass. 11732/2005

la Benincasa, dichiarò redditi del tutto insufficienti all’acquisito dei
beni sequestrati;
non erano stati offerti

«elementi idonei a sostegno

dell’affermazione di intervento economico, in favore della sign.ra
Benincasa, da parte della sign.ra Greco e del sign. Benincasa, di talché

adeguatezza tra gli investimenti in attività commerciali e le disponibilità
della sign.ra Benincasa»: con il che il tribunale ha espressamente e
motivatamente smentito la doglianza riproposta anche in questa sede
secondo la quale Greco Maria e Benincasa Francesco Antonio (genitori
conviventi dei coniugi Benincasa e Notaris) contribuivano al
sostentamento dei propri figli; d’altra parte è la stessa ricorrente che,
lungi dal confutare in modo analitico la suddetta affermazione, si è
semplicemente limitata a sostenere che la suddetta affermazione
«appare verosimile».
La censura secondo la quale era ovvio che il Notaris avesse
contribuito al sostentamento della famiglia e, quindi, della moglie
Benincasa Stefania è fuorviante: l’ipotesi accusatoria è proprio quella
secondo la quale la Benincasa ha acquistato i beni sequestrati ed a lei
intestati, con il denaro – di provenienza illecita – del marito il quale
risulta il vero proprietario dei beni in questione; è, quindi,
contraddittorio se non addirittura controproducente e favorevole alla tesi
accusatoria sostenere che i beni sono stati acquistati con denaro del
Nota ris.
Quanto, infine, alla circostanza che il reddito famigliare fosse cento
volte superiore a quello indicato nella nota della Guardia di Finanza, il
Tribunale ha, in pratica, risposto che ciò era irrilevante perché ciò che
era rilevante è che, da una parte, il reddito della Benincasa fosse
insufficiente e, dall’altra, che non erano risultati passaggi di denaro dai
sign.ri Greco Maria e Benincasa Francesco Antonio a Benincasa Stefania
che giustificassero l’acquisto dei beni alla medesima intestati.
In tale ottica, è chiaro, pertanto, che anche tutta la problematica
sul concetto di spesa familiare media, diventa del tutto irrilevante.

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non si apprezza il riferimento ai redditi degli stessi al fine di ravvisare

In conclusione, non è vero che il tribunale non abbia motivato: al
contrario, ha confutato, in modo adeguato e coerente, gli argomenti
addotti dalla ricorrente, sicchè non può ritenersi che la motivazione sia
apparente in ordine all’intestazione fittizia dei beni in capo alla
Benincasa, essendo stati evidenziati, a tal fine, una serie di presunzioni

della ricorrente) tali da far ritenere, allo stato, la conclusione alla quale
il tribunale è pervenuto del corretta e, quindi, incensurabile in sede di
legittimità.
Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, per il disposto
dell’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle
spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle
Ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in C 1.000,00.
P.Q.M.
DICHIARA
Inammissibile il ricorso e
CONDANNA
la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C
1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Roma 09/07/2014

(rapporto di coniugio con l’indagato – insufficienza di redditi da parte

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