Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32420 del 27/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32420 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

Data Udienza: 27/06/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di
Catania nei confronti di Galvagna Antonio Massimiliano, nato il 26 aprile 1966,
e avverso l’ordinanza del Tribunale della libertà di Catania del 10 febbraio
2014. Sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio;
udite le conclusioni del sostituto procuratore generale Mario Fraticelli,che ha
chiesto annullarsi con rinvio del provvedimento impugnato; udito il difensore
dell’imputato, avv.toGiuseppe Passarello, sull’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale della libertà di Catania, decidendo sulla
richiesta di riesame avanzata nell’interesse dell’indagato contro l’ordinanza del
gip presso il medesimo tribunale in data 10 febbraio 2014,l’applicOva nei
confronti del Galvagna »la misura della custodia cautelare in carcere, ha
annullato l’ordinanza impugnata limitatamente alla contestata aggravante di
cui all’articolo 7 della legge n. 203 del 1991 di cui al capo A, nonché
limitatamentet contestazion4 di cui ai capi B e C, disponendo in sostituzione
la misura cautelare degli arresti domiciliari.
Nel ricorso del pubblico ministero si contestano violazione di legge e vizio di
motivazione con riguardo alla decisione sulla insussistenza della gravità

/

1

indiziaria in ordine alla contestazione dell’aggravante del metodo mafioso.
Il difensore dell’imputato ha depositato, in data 23 e 24 giugno 2014, note
difensive chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso per manifesta
infondatezza dello stesso, allegando alle stesse i provvedimenti del tribunale
del riesame resi nei confronti degli altri coindagati, in cui parimenti è stata
esclusa la ricorrenza dell’aggravante del metodo mafioso.
Considerato in diritto

sottolineato, innanzitutto, il modesto spessore criminale del coindagatoitabita
Carmelo Simone, legato da vincoli di parentela con Pistone Francesco,
condannato in via definitiva ai sensi dell’articolo 416 bis cod. pen.; abbia
inoltre svalutato la figura del coindagato Lo Giudice Carmelo, riconoscendogli
un grave passato criminale ma segnalando come lo stesso non sia mai stato
nemmeno indagato per delitti di mafia, cosicché sarebbe stato inconferente il
riferimento al rapporto di parentela con il nipote Lo Giudice Sebastiano, noto
responsabile del clan mafioso di Carateddi; abbia infine egualmente svalutato
la figura del coindagat9fSellia Attilio, pur gravato da precedenti penali aventi
ad oggetto la partecipazione ad associazioni di stampo mafioso, non ritenendo
tale passato criminale di decisiva importanza ai fini del riconoscimento
dell’aggravante in parola.
Ricorda in particolare il ricorrente come il tribunale abbia sottolineato che
l’aggravante in esame si giustifica solo quando la persona offesa abbia avuto
percezione che l’altrui illegittima pretesa – nel caso in esame di natura
estorsiva – non provenga da un singolo soggetto o dai singoli individui che
agiscono per il loro specifico interesse, bensì da un sodalizio di stampo
mafioso, in quanto soltanto in tal modo la volontà della vittima risulta coartata
in modo maggiore, dato l’effetto intimidatorio suscitato dell’evocazione della
presenza di tale sodalizio. E contesta proprio su questa base l’erroneità della
valutazione svolta dal tribunale, che pure ha trascurato di considerare quandl -o
dichiarato dalla persona offesa Carobene Roberto sul conto del Tabita,
dipendente dell’impresa gestita di fatto dell’odierno indagato, titolare del
credito la cui riscossione ha dato luogo alla vicenda estorsiva in oggetto, ossia
di essere ben a conoscenza della statura e della importanza criminale di tale
soggetto attesi i noti rapporti di parentela.
La fondatezza del ricorso del pubblico ministero discende dall’avere il
tribunale, riformando la decisione del gip, proceduto a parcellizzare
illogicamente una vicenda che andava considerata nel suo valore

Il ricorrente svolge la propria critica contestando che il tribunale abbia

unitario,consistendo in estorsioni realizzate dall’odierno indagato avvalendosi
della partecipazione (anche nel ruolo di semplici soggetti intervenuti insieme a
quello sul luogo dei fatti) dei citati coindagati, uno dei quali condannato in via
definitiva per partecipazione ad associazione di stampo mafioso e un altro dei
quali zio di un noto esponente del clan locale, attualmente ristretto in carcere.
Il tribunale ha infatti ritenuto che il gip fosse caduto in errore ancorando la
propria valutazione dell’aggravante in esame unicamente alla caratura

con soggetti mafiosi. Ma così operando ha omesso di considerare in un quadro
d’insieme questi elementi indiziari, trascurando di correttamente valutare
anche l’impressione che la partecipazione di tali soggetti alle vicende estorsive
potesse avere sulle vittime ed anzi giungendo ad argomentare che, essendo a
queste ultime noti i rapporti lavorativi e di amicizia che correvano tra l’odierno
indagato e i suoi complici, le vittime (pur consapevoli del passato criminale e
dei legami mafiosi di taluni dei protagonisti della vicenda) avrebbero attribuito
proprio a tali rapporti, di amicizia e lavorativi, la compartecipazione degli
stessi all’azione dell’odierno indagato, e non al coinvolgimento nell’affare di
interessi riferibili a consorterie di stampo mafioso.
Occorre dunque che il tribunale rivaluti integralmente il quadro indiziario
esposto nel provvedimento del gip, leggendo ciascuna emergenza indiziaria
non isolatamente, mac*a luce di tutte le altre acquisite; e poi si confronti con
le argomentazioni svolte dal gip anche con riguardo alla consapevolezza delle
persone offese circa la vicinanza di taluni complici dell’indagato ad ambienti
mafiosi; rapporti, inoltre, le modalità del fatto (estorsione nell’esercizio di
attività di recupero di un preteso credito posto in essere dall’imputato con la
costante presenza degli altri coindagati) allo status personale dei protagonisti;
e infine verifichi la ricorrenza o meno, nel caso di specie, della contestata
aggravante del metodo mafioso.
Ne discende l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di
Catania per nuovo esame.
PQM
Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Catania per nuovo
esame.
Roma, 27.6.2014

delinquenziale dei soggetti indicati o del rapporto di parentela di taluno di essi

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