Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32414 del 27/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32414 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

Data Udienza: 27/06/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Rizzo Antonio, nato il 5 luglio 1969, avverso la
sentenza della Corte di appello di Torino del 10 gennaio 2014.Sentita la
relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio; udite le
conclusioni del sostituto procuratore generaleMario Fraticelli, sulla
inammissibilità del ricorso.,.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Torino – in parziale riforma
della sentenza del gip del tribunale della medesima città in data 26 luglio
2013, di condanna di Rizzo Antonio per il delitto di rapina aggravata – ha
confermato il giudizio di penale responsabilità provvedendo tuttavia a mitigare
il trattamento sanzionatorio.
Nel ricorso presentato nell’interesse dell’imputato si lamentano:
1. violazione di legge per avere ritenuto la corte di appello integrato il
reato di rapina semplicemente perché l’imputatostera limitato a far
intravedere alla persona offesa la canna di un’arma (poi rivelatesi

A

giocattolo); si esclude infatti che tale atteggiamento possa avere avuto
valenza in qualche modo intimidatoria;
2.

vizio di motivazione in ordine alla ricostruzione dei fatti, contestandosi
che gli stessi siano stati appurati esclusivamente sulle deposizioni della
commessa del supermercato che ha subito il fatto, trascurandosi le
ulteriori dichiarazioni pur raccolte e relative alla oggettiva inoffensività
della condotta;

3.

vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento

dell’attenuante del danno di speciale tenuità, pur essendo stati
dall’imputato prelevati soltanto euro 350 dalla cassa del supermercato
teatro del fatto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
L anifesta infondatezza della impugnazionOeriva, innanzitutto, dalla logica
motivazione svolta dalla corte di appello in merito alla ricostruzione del fatto
che ha visto protagonista all’odierno imputato, vestito di giubbotto con
cappuccio calato sul capo, il quale si avvicinò alla cassiera del supermercato e
le mostrò la canna di un’arma; al che la stessa, spaventata, si alzò della
propria sedia lasciando il cassetto con i soldi aperto, cosicché l’imputato poté
prelevare il denaro.
Motiva correIrtfkmente la corte di appello che anche solo mostrare la canna di
un’arma da fuoco riposta sotto i vestiti costituisce di per sé, senza alcun
bisogno di proferire minacce o ulteriori parole o spiegazioni, una condotta
estremamente eloquente e del tutto itlidonea a intimorire una persona
normale, tanto più una donna indifesa.
Le doglianze svolte nel ricorso, non segnalando nessuna illogicità manifesta, e
limitandosi ad una critica che non si eleva mai dal piano del fatto, si mostrano
di inammissibile valutazione in sede di legittimità.
Quanto alla motivazione circa l’inapplicabilità della richiesta attenuante, la
corte di appello si è attenuta alla costante giurisprudenza di questa corte per
cui per l’applicazione dell’attenuante del danno di speciale tenuità, la
consistenza dello stesso va apprezzata in termini oggettivi e nella globalità
degli effetti (Cass. sez. II 5.7.2012, n. 30447). A tal riguardo, la doglianza già esposta in appello e reiterata in questa sede di legittimità – si impernia sul
fatto che l’attenuante in parola sia stata negata per il valore della somma
prelevata e senza riferimento alcuno agli altri profili del fatto di reato.
Al riguardo, è sufficiente osservare che il disposto della legge fa riferimento al
“danno patrimoniale di speciale tenuità” cagionato alla persona offesa dal

/

reato. Quando il legislatore ha voluto fare riferimento al valore della cosa
oggetto del reato lo ha detto espressamente, come nel caso del furto punibile
a querela dell’offeso se il fatto è commesso su “cose di tenue valore” (art. 626
c.p., n. 2). La “tenuità”, pertanto, si contrappone alla “gravità” e lo stesso
riferimento normativo alla gravità piuttosto che all’entità del danno invita ad
una valutazione il più possibile completa del danno. In altri termini, il valore
dell’utilità oggetto del reato non necessariamente esaurisce la gravità del

quando il valore oggettivo del bene non possa ritenersi di speciale tenuità,
tale valutazione è già sufficiente alla esclusione della circostanza attenuante.
Nel caso di specie, in primo luogo l’entità della somma rapinata è stata
giudicata dalla Corte territorialgéii non speciale tenuità, ossia non irrilevante:
con giudizio adeguato sotto il profilo logico (attesa l’oggettiva entità della
somma) e immune da violazione di legge. In secondo luogo, e in punto di
esame complessivo del fatto, è apparso decisivo ai giudici del merito che
questa somma sia stata prelevata nel corso di una rapina a mano armata, con
grave perturbamento subito dalla cassiera: il che vale ulteriormente ad
escludere la ricorrenza della attenuante in questione, questa volta in ragione
della considerazione complessiva del fatto di reato.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della
Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.
PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle
ammende.
Roma, 27.6.2014

danno che rileva ai fini in esame (Cass. sez. II, 28.9.11, n. 36916). E tuttavia,

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