Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32409 del 27/06/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 32409 Anno 2014
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

Data Udienza: 27/06/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Lombardo Diego, nato il 7 agosto 1969; Lombardo
Ezio, nato il giorno 11 giugno 1944; Soprano Massimiliano, nato il 6 luglio
1968; Esposito Josè Luciano, nato il 15 aprile 1960 avverso la sentenza della
Corte di appello di Roma del 30 gennaio 2012.Sentita la relazione della causa
fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio; udite le conclusioni del sostituto
procuratore generale Mario Fraticelli che ha chiesto rigettarsi i ricorsi; udito il
difensore della parte civile avv. Gianfranco Lancellotti chiesto rigettarsi i
ricorsi; udito il difensore degli imputati Lombardo Diego e Lombardo Ezio, avv.
Antonio Fusco, sull’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Roma ha confermato la
sentenza del tribunale della medesima città in data 11 febbraio 2009,
appellata dagli odierni ricorrenti,di condanna degli stessi per i reati ascritti.

Nel ricorso presentato nell’interesse di Lombardo Diego e di Lombardo Ezio si
contesta violazione di legge in relazione all’art. 34 comma 2 0 bis cod. proc.

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pen. per essere stata l’udienza preliminankenuta dal giudice Mulliri che, il
giorno precedente a quello di tale udienza, in funzione di GUP, aveva emesso
una nuova ordinanza di custodia cautelare nei confronti di taluno degli
imputati,con ciò rendendosi incompatibile – secondo quanto sostenuto dalla
difesa – per la celebrazione del processo.
A tal riguardo, con memoria depositata in data 11.6.2014, si chiede sollevarsi
questione di legittimità costituzionale dell’art. 34cod. proc. pen., nella parte in
cui tale norma non prevede l’incompatibilità a celebrare l’udienza preliminare

da parte del GUP che nel medesimo processo abbia emesso ordinanza
applicativa di misura cautelare personale preventivamente alla emissione del
decreto che dispone il giudizio, per violazione degli artt. 3, 24, 111 Cost.
Si contesta inoltre violazione di legge in relazione all’art. 416 cod. pen.
giacché nelle sentenze di merito non sarebbe stata correttamente evidenziata
la fattispecie associativa rilevante in concreto, essendo dal compendio
probatorio in atti emersa la diversa realtà della partecipazione di più soggetti
in concorso tra loro nella commissione del reato.

Nel ricorso presentato nell’interesse di Soprano Massimiliano si contesta
violazione di legge in relazione all’art. 81 cod. pen, criticando la decisione
della corte di appello che non ha riconosciuto il nesso di continuazione tra i
reati oggetto del presente procedimento e quelli definiti con sentenza del GUP
del Tribunale di Viterbo in data 6 giugno 2007, sussistendo nel caso concreto
la realtà di un identico nucleo associativo, in cui era inserito il ricorrente, poi
sviluppatosi in due diverse associazioni, giudicate nei diversi processi.

Nel ricorso presentato nell’interesse di Esposito José Luciano si contesta
violazione di legge in relazione all’art. 8 cod. proc. pen. ribadendo le
eccezione di incompetenza territoriale degli uffici giudiziari romani già svolte
in sede di merito, per essere invece competenti il Tribunale e la Corte di
appello di Napoli essendosi costituita l’associazione a delinquere a Napoli, città
di provenienza di tutti gli imputati, e non a Roma, e apparendo illogica la
motivazione resa dalla corte di appello a giustificazione della sussistenza della
competenza territoriale, siccome fondata sull’argomento della commissione di
atti preparatori di reati-fine in Roma.
Si contesta inoltre violazione di legge relativamente all’art. 416 cod. pen.
esponendo un motivo sulla sussistenza, nel caso di specie, di una ipotesi di
mero concorso nel reato.

2

CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati.
Quanto al ricorso presentato nell’interesse di Lombardo Diego e di Lombardo
C ezzl . ,4. , 50 e:U.120430
Ezio deve osservarsi, circa la prima doglianza, che, la Corte costituzionaleXha
dichiarato manifestamente infondate, in riferimento agli art. 3, 24 comma 2 e
g.

111 comma 2 cost., le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 34 c.p.p.,
“nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio
direttissimo il giudice che abbia convalidato l’arresto ed applicato una misura

cautelare nei confronti dell’imputato”, in quanto la medesima questione è
stata ripetutamente dichiarata infondata e manifestamente infondata, sulla
base del rilievo che non è configurabile una menomazione dell’imparzialità del
giudice che adotta decisioni preordinate al proprio giudizio o rispetto ad esso
incidentali, attratte nella competenza per la cognizione del merito ed
essendosi più in generale esclusa la sussistenza di ipotesi di incompatibilità
quando la funzione pregiudicante e la funzione pregiudicata si collocano
all’interno della medesima fase del processo, mentre le argomentazioni, poste
dal rimettente a sostegno della riproposizione della questione, circa l’analogia
tra le “sub-fasi” della convalida dell’arresto e del giudizio di merito nell’ambito
della fase del giudizio direttissimo e le “sub-fasi” delle indagini preliminari in
senso stretto e dell’udienza preliminare nell’ambito di una “fase” unica delle
indagini preliminari, sono prive di fondamento, posto che le indagini
preliminari, destinate ad esaurirsi nell’alternativa tra richiesta di archiviazione
ed esercizio dell’azione penale, costituiscono una vera e propria fase del
procedimento del tutto autonoma rispetto alla successiva e altrettanto
autonoma fase dell’udienza preliminare, avente natura processuale, e l’art.
111 comma 2 cost. non ha introdotto sostanziali elementi di novità circa la
portata del principio di imparzialità del giudice già desumibile dagli art. 3 e 24
cost., così come interpretati dalla giurisprudenza costituzionale in tema di
incompatibilità.
Allo stesso modo deve ritenersi per la questione oggi proposta, giacché anche
in tal caso la funzione pregiudicata e funzione pregiudicante si collocano
all’interno della medesima fase.
Questa stessa corte ha avuto modo di chiarire che, attesa l’intervenuta
differenziazione, non più sul piano soltanto concettuale ma anche con riguardo
alle rispettive competenze e funzioni, tra la figura del g.i.p. e quella del
giudice dell’udienza preliminare, a seguito dell’entrata in vigore del comma 2

Ì7

bis (introdotto dall’art. 171 d.Ig. 13 maggio 1998 n. 171) dell’art. 34 c.p.p.,

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deve ritenersi viziato da incompetenza funzionale il provvedimento adottato in
materia “de libertate” dal g.i.p. successivamente alla presentazione, da parte
del p.m., della richiesta di rinvio a giudizio (Cass. sez. 6, 30.7.2000, n.3047).
H mancato rispetto delle attribuzioni del g.i.p. e del g.u.p. costituisce
violazione delle regole in materia di competenza funzionale, sicché una volta
presentata dal p.m. la richiesta di rinvio a giudizio, la competenza ad
emettere i provvedimenti cautelari appartiene al g.u.p., in quanto giudice che

ancora tenuta. (In motivazione, la S.C., richiamando l’art. 6 d.Ig. 19 febbraio
1998, n. 51 che ha separato le funzioni di g.i.p. e g.u.p., ha osservato che pur
essendo unitario l’ufficio del giudice per le indagini preliminari e avendo la
distinzione tra g.i.p. e g.u.p. natura tabellare, una volta incardinato il
procedimento, i magistrati che sono chiamati a pronunciarsi su quella vicenda
processuale, rispettivamente in qualità di g.i.p. o di g.u.p., restano individuati
come tali) (Cass. sez. 1. 22.1.2008, n. 5609).
Di modo che, a tacer d’altro, a cadere in questione non sarebbe più, soltanto,
dall’art. 34 cod. proc. pen. ma , direttamente, l’art. 279 dello stesso codice.
Tuttavia, la dichiarazione d’incostituzionalità di tale ultima norma – nemmeno
ipotizzata da parte ricorrente – determinerebbe un evidente vuoto normativo
incolmabile a mezzo di operazioni, anche additive, della Corte costituzionale.
In conclusione, nel caso di specie non risulta essere integrata violazione di
legge alcuna né essere stata prospettata una questione di costituzionalità non
manifestamente infondata.
Il motivo relativo alla violazione di legge in relazione all’art. 416 cod. pen.
espone in realtà esclusivamente critiche di natura fattuale alla motivazione
coerente e logica resa dalla corte di appello sulla integrazione di tutti gli
elementi di fattispecie in ordine alla sussistenza di una struttura criminale
organizzata costituita dagli imputati per la realizzazione di un numero
indeterminato di reati fine, per come esposto a pagina 9-10 della sentenza
impugnata.

Nel ricorso presentato nell’interesse di Soprano Massimiliano si critica
infondatamente la decisione sulla insussistenza del nesso di continuazione tra
la partecipazione alla associazione giudicata in questo processo e la
partecipazione ad altre e diverse associazione giudicata nella ricordata
sentenza del GUP presso il Tribunale di Viterbo. La corte territoriale rende
infatti una coerente motivazione, precisando a pagina 12 della sentenza

procede ai sensi dell’art. 279 c.p.p., anche se l’udienza preliminare non si sia

impugnatathe dalla lettura della sentenza del GUP del Tribunale di Viterbo si
evince che la compagine resasi responsabile dei reati ivi decisi era diversa da
quella che ha impegnato il presente giudizio, cosicché in mancanza di ulteriori
positivi elementi significativi al fine di poter ritenere integrato il nesso di
continuazione, la corte di appello ha ritenuto di non poterlo ravvisare nel caso
di specie. Il ricorso espone invece semplicemente la non condivisione delle
conclusioni raggiunte, per motivazioni meramente fattuali di insindacabile

Parimenti infondato è il ricorso presentato nell’interesse di Esposito Josè
Luciano, adducendosi ragioni non soltanto di merito, ma anche insignificanti
già in prospettazione (in quanto fondate sull’essere la città di Napoli quella in
cui abitavano tutti gli imputati) sulla insussistenza della competenza
territoriale del tribunale di Roma, invece, puntualmente argomentata a pagina
6 ss. della sentenza impugnata ricordando come dall’istruttoria sia emerso che
l’accordo costitutivo dell’associazione medesima si sia perfezionato a Roma
nel mese del settembre 2004 essendo in tale luogo state realizzate tutte le
operazioni preliminari e preparatorie allo svolgimento della futura attività
criminale organizzata.
La critica circa l’insussistenza della fattispecie associativa è infondata per le
ragioni già esposte.

Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
PQM
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali,
nonché alla rifusione in favore della parte civile Kuwait Petroleum Italia s.p.a.
delle spese del presente grado che liquida in euro 3515,00 oltre spese
forfetarie, IVA e c.p.a.
Roma, 27.6.2014

Il Consigliere estensore

Fabrizio Di Marzio

Il Presidente

franco Fi7la nese

giudizio in sede di legittimità.

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