Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32406 del 29/04/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 32406 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
SCALISE PINO N. IL 13/03/1958
avverso l’ordinanza n. 1043/2013 TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 22/08/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE
SANDRINI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. (r lb M E Le 1-t -o. o Ty-ft t,L,
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Data Udienza: 29/04/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza pronunciata il 22.08.2013 il Tribunale di Catanzaro, costituito
ai sensi dell’art. 309 cod.proc.pen., ha confermato l’ordinanza in data
26.07.2013 con cui il Giudice per le indagini preliminari in sede aveva applicato
la misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di Scalise Pino,
indagato in concorso con Scalise Daniele del reato di tentata estorsione
aggravata in danno di Petrone Felice, commesso dal 2009 al 2011.
I gravi indizi di colpevolezza a carico dello Scalise erano individuati dal Tribunale

sommarie informazioni rese dalle persone offese Felice e Giandomenico Petrone,
nonché da Fazio Ivo e Gentile Pietro Francesco.
Il Cappello aveva riferito di aver appreso dal cognato Arcieri Vincenzo,
occupatosi dell’estorsione posta in essere dal clan mafioso da lui capeggiato nei
confronti della ditta Petrone, che svolgeva lavori di movimento terra per la
realizzazione di una strada e aveva pagato in due tranche la somma complessiva
di 9.000 euro, che la ditta estorta era stata costretta a corrispondere nello stesso
periodo una tangente anche a Scalise Pino, subendo l’incendio di un autocarro,
tanto che il Petrone si era lamentato di ciò con l’Arcieri, che aveva incontrato lo
Scalise, il quale gli aveva ribadito la propria pretesa di partecipare coi propri
mezzi meccanici ai lavori appaltati alla ditta del Petrone, che aveva infine
accondisceso alla richiesta dell’indagato.
Petrone Giandomenico, dopo un’iniziale reticenza, aveva confermato di essere a
conoscenza che lo zio Felice era vittima da anni di estorsioni, pagando tangenti
ad Arcieri Vincenzo che si presentava sui cantieri con cadenza mensile, e aveva
altresì riferito che anche Scalise Pino aveva chiesto di essere inserito nei lavori,
presentandosi sul cantiere e sollecitando un collaboratore della ditta Petrone,
Gentile Pietro Francesco (che aveva confermato la circostanza), a sistemare la
cosa, proferendo la frase minatoria che “io la notte non dormo e sono sempre in
giro”; Petrone Felice non aveva confermato le estorsioni subite, ammettendo
solo di aver fatto dei regali all’Arcieri, le cui visite sul cantiere avevano trovato
riscontro anche nelle dichiarazioni del Fazio.
Sulla base di tali elementi il Tribunale riteneva integrato un grave quadro
indiziario a carico dello Scalise in ordine al reato ipotizzato, aggravato ex art. 7
legge n. 203 del 1991 in relazione al contesto mafioso in cui si inseriva la
condotta estorsiva e alla portata intimidatoria delle parole pronunciate
dall’indagato; riteneva altresì sussistere l’aggravante delle più persone riunite ex
art. 629 comma 2 cod. pen., essendosi lo Scalise presentato in compagnia di
altro soggetto in occasione dell’accesso al cantiere della ditta Petrone riferito dal
Gentile; svalutava l’argomento difensivo inteso a giustificare il comportamento
1

nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Cappello Rosario e nelle

dello Scalise col mancato pagamento di una fattura relativa a una fornitura di
materiale di cava da lui eseguita, avendo la pretesa dell’indagato un oggetto
diverso costituito dall’imposizione dell’uso dei propri mezzi meccanici nei lavori di
movimento terra; riteneva sussistere le esigenze cautelari di cui alle lettere a) e
c) dell’art. 274 del codice di rito, anche in considerazione dei precedenti dello
Scalise e dell’attualità della condotta delittuosa, nonché del concreto pericolo di
interferenze illecite sulle persone offese volte a indurle a ritrattare le loro
dichiarazioni.

gradata i seguenti motivi:
violazione di legge e vizio di motivazione dell’ordinanza impugnata in relazione
alla ritenuta sussistenza del quadro indiziario a carico dell’indagato, allegando la
natura lecita dei rapporti intercorsi con le persone offese, risalenti al 2009,
aventi ad oggetto il noleggio da parte dello Scalise di macchinari per i lavori di
movimento terra (così da rendere incompatibile un danneggiamento dei mezzi da
lui stesso forniti), la inverosimiglianza di un tentativo di estorsione protrattosi dal
2009 fino al 2011, l’incomprensibilità delle minacce che sarebbero state
proferite, l’assenza di ingiustizia del profitto perseguito mediante la richiesta di
pagamento di crediti derivanti da rapporti negoziali leciti, l’assenza di riscontri
delle dichiarazioni del Cappello, e in particolare l’inesistenza di un figlio
dell’indagato di nome Vincenzo, menzionato dal collaboratore;
violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alle aggravanti della
commissione del reato da parte di un appartenente ad associazione mafiosa, non
contestata allo Scalise, e delle persone riunite, non essendo emersa la presenza
contemporanea di più soggetti, sottoposti ad indagine, all’attività estorsiva;
violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’aggravante dell’art. 7
legge n. 203 del 1991, non avendo il Cappello fatto riferimento a estorsioni
commesse dall’indagato per conto della cosca Arcieri-Cappello.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è infondato e deve essere rigettato.
2. La gravità del quadro indiziario esistente a carico dell’indagato in ordine
all’attività estorsiva posta in essere nei confronti dell’impresa Petrone per
ottenere, con minacce e violenze alle cose (quali l’incendio di un autocarro), il
subappalto di lavori da effettuarsi coi mezzi meccanici dello Scalise, è stata
congruamente argomentata dal Tribunale del riesame sulla scorta delle
convergenti risultanze di una pluralità di fonti dichiarative autonome, che si
riscontrano tra loro in modo reciproco e puntuale, rappresentate dalla chiamata
in correità operata da Cappello Rosario e dalle dichiarazioni testimoniali rese
della persona offesa Petrone Giandomenico, nipote del titolare della ditta estorta,
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2. Ricorre per cassazione Scalise Pino, a mezzo del difensore, deducendo in via

nonchè dal collaboratore della stessa Gentile Pietro Francesco; l’ordinanza
impugnata ha valorizzato, in particolare, la frase che il Petrone ha riferito agli
inquirenti (nel contesto del verbale di sommarie informazioni del 24.01.2013, il
cui contenuto è stato trascritto nel corpo del provvedimento de libertate, alla
pagina 6) come proferita in sua presenza dall’indagato in occasione della sortita
sul cantiere dell’impresa motivata con la pretesa che tutto fosse sistemato nei
suoi confronti prima dell’inizio dei lavori relativi alla costruzione della strada del
medio Savuto (“io la notte non dormo e sono sempre in giro”), connotata da un

Il provvedimento impugnato ha motivato in modo logico e coerente anche le
ragioni della ritenuta irriconducibilità della visita dello Scalise sul cantiere a una
causa lecita rappresentata dalla riscossione di un credito derivante da una
pregressa fornitura (impagata) di materiale misto di cava, in considerazione
dell’oggetto completamente diverso – inesigibile ed illecito – della richiesta
estorsiva, costituito dall’esecuzione di lavori di movimento terra in regime di
subappalto.
Le valutazioni operate sul punto dal Tribunale del riesame sono dunque
insindacabili in sede di legittimità: l’apprezzamento dello spessore probatorio
degli indizi è compito riservato in via esclusiva al giudice di merito, con la
conseguenza che la positiva verifica della correttezza giuridica e della conformità
ai canoni logici delle relative argomentazioni le rendono insuscettibili di censura
da parte di questa Corte (Sez. 4 n. 26992 del 29/05/2013, Rv. 255460; Sez. 4
n. 22500 del 3/05/2007, Rv. 237012).
3. Il secondo e il terzo motivo di ricorso sono invece fondati, nei termini che
seguono.
Dalla motivazione del provvedimento impugnato non emerge con chiarezza se il
Tribunale del riesame abbia ritenuto configurabile o meno, a carico dello Scalise,
l’aggravante della provenienza della minaccia estorsiva da persona appartenente
ad associazione mafiosa, ex art. 628 comma 3 n. 3 cod. pen. (richiamato dal
capoverso del successivo art. 629), stante il contenuto non lineare e anzi
contraddittorio delle argomentazioni svolte sul punto alle pagine 10 e 11
dell’ordinanza, che ha dato atto della compatibilità in via di principio
dell’aggravante in questione con quella di cui all’art. 7 legge n. 203 del 1991 (in
conformità all’indirizzo delle Sezioni Unite di questa Corte: sentenza n. 10 del
28/03/2001, Rv. 218378), secondo un ragionamento che sembrerebbe
presupporne l’operatività, senza tuttavia che lo Scalise risulti indagato per il
reato di cui all’art. 416 bis cod. pen.: la relativa incoerenza motivazionale dovrà
pertanto essere colmata in sede di rinvio.
Parimenti carente e manifestamente inadeguata è la motivazione sulla ricorrenza

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inequivoco tenore e significato intimidatorio.

dell’aggravante del fatto commesso da più persone riunite e di quella di cui
all’art. 7 legge n. 203 del 1991.
Quanto all’aggravante di cui all’art. 628 comma 3 n. 1, ultima parte, cod. pen.
(richiamato anche in questo caso dal capoverso dell’art. 629 cod. pen.), l’unico
elemento indiziario che emerge dall’ordinanza impugnata è rappresentato dalla
circostanza, riferita dal teste Gentile, che l’indagato era giunto sul cantiere
dell’impresa Petrone “in compagnia di un’altra persona” (pagina 7): da tale
sintetica e anodina dichiarazione non può tuttavia trarsi l’automatica

impugnato, della presenza contemporanea dei due soggetti nel momento
dell’estrinsecazione della minaccia estorsiva, costituente requisito necessario per
l’integrazione della fattispecie delle “più persone riunite” (Sez. Un. n. 21837 del
29/03/2012, Rv. 252518), non specificandosi, in particolare, il ruolo effettivo
assolto nell’occasione dall’ignoto accompagnatore, né se si trattasse del figlio
dell’indagato, Scalise Daniele, che è il solo soggetto al quale risulta addebitato
un concorso nell’attività illecita del padre.
Anche la sussistenza dell’aggravante ex art. 7 legge n. 203 del 1991 risulta
affermata a carico dello Scalise – al di là delle considerazioni di ordine generale
sui diversi requisiti delle due articolazioni dell’aggravante in questione esposte
alle pagine 8, 9 e 10 del provvedimento impugnato – sul solo presupposto
dell’esplicita portata intimidatoria posseduta dalla frase, più sopra riportata,
proferita dall’indagato in occasione della visita sul cantiere della ditta Petrone per
sollecitare il subappalto dei lavori (pagina 11, in fondo): il relativo dato
indiziario, tuttavia, se è stato correttamente ritenuto idoneo a riscontrare
l’oggettività di una condotta riconducibile al paradigma normativo dell’art. 629
cod. pen., non può bastare di per sé a supportare la prova ulteriore della
connotazione mafiosa dell’intimidazione, che richiede che l’agente si comporti, in
occasione dell’azione delittuosa, come mafioso, ponendo in essere una condotta
oggettivamente idonea a esercitare sulla vittima quella particolare coartazione
psicologica che è propria delle organizzazioni di tipo mafioso (Sez. 6 n. 28017 del
26/05/2011, Rv. 250541), elemento che non è sorretto da uno specifico e
adeguato supporto argomentativo nell’ordinanza impugnata, che in particolare
non si confronta col fatto che lo Scalise risulta aver agito in proprio, senza
spendere il nome della cosca Arcieri-Cappello alla quale, peraltro, neppure
risultava appartenere.
Le carenze logiche riscontrate nella motivazione concernente le aggravanti della
condotta estorsiva (tutte ad effetto speciale, e idonee a incidere in misura
consistente sulla valutazione della gravità del fatto, sulla cogenza delle esigenze
cautelari, sul giudizio di proporzionalità della misura applicata e sui relativi (.,
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conclusione, recepita in termini sostanzialmente assertivi nel provvedimento

termini di durata), impongono l’annullamento – sul punto – dell’ordinanza
impugnata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Catanzaro.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle aggravanti di cui all’art. 628
comma 3 n.ri 1 e 3 cod. pen. e all’art. 7 legge n. 203 del 1991 e rinvia per nuovo
esame al Tribunale di Catanzaro; rigetta nel resto il ricorso.
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al
direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, cc. 1-ter, disp. att.

Così deciso il 29/04/2014

c.p.p..

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