Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32403 del 01/04/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 32403 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: LA POSTA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BONALUMI MARINO N. IL 25/01/1950
avverso la sentenza n. 24339/2012 CORTE DI CASSAZIONE di
ROMA, del 07/03/2013
senti la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA LA POSTA;
l e/sentite le conclusioni del PG Dott. 3. gkt,e( ct-,t LQ

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Data Udienza: 01/04/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 7.3.2013, depositata il 22.5.2013, la quinta sezione di
questa Corte, per quanto qui interessa limitatamente alla posizione di Marino
Bonalumi, annullava senza

al

rinvio la sentenza impugnata in ordine al reato

contestato al capo 18, esclusa l’aggravante di cui all’articolo 61 n. 7 cod. pen.,
per mancanza di querela e rigettava nel resto il ricorso proposto dal predetto
ritenendo infondati i rilievi in ordine agli episodi estorsivi allo stesso contestati,

2. Ricorre ai sensi dell’art. 625

bis cod. proc. pen. il Bonalumi, a mezzo dei

difensori di fiducia, denunciando l’errore di fatto consistente nella non corretta
percezione della realtà processuale con riferimento agli specifici punti delle
questioni devolute con il ricorso per cassazione.
Con riguardo alla presunta estorsione in danno del Melita, capo 15, la
sentenza ha fondato l’affermazione di responsabilità del ricorrente in via
esclusiva sulle dichiarazioni della persona offesa, malgrado le stesse presentino
vistose e decisive contraddizioni che, se adeguatamente apprezzate, avrebbero
dovuto condurre ad una decisione diversa da quella adottata.
In relazione alla presunta tentata estorsione in danno del Cagnoni, capo 21,
la sentenza ha tratto da una telefonata tra il ricorrente e tale Cavallari la prova
della volontà di usare metodi violenti nei confronti della vittima, malgrado tale
conversazione risalga ad una data molto successiva a quella in cui sarebbe
avvenuta l’intimidazione. La sentenza non ha preso in alcuna considerazione,
anzi ha travisato, gli elementi di fatto dedotti dal ricorrente volti a dimostrare la
natura del tutto lecita del credito vantato dal ricorrente nei confronti del
Cagnoni.
Con riferimento alla presunta estorsione in danno di Paolo Quinci, capo 17,
la sentenza ha affermato la sussistenza della prova della condotta minacciosa,
ritenendo generiche le censure del ricorrente che aveva evidenziato come le
dichiarazioni della parte lesa e le circostanze tratte dalle intercettazioni
depongano nel senso dell’esclusione della condotta illecita.
In relazione alla tentata estorsione in danno del Venditti e del Milone, capo
20, la sentenza pretende di desumere l’interesse del ricorrente all’esito della
trattativa dalla partecipazione agli incontri nel corso dei quali gli altri imputati
ponevano in essere gli atti intimidatori, laddove, invece, tale partecipazione non
si ravvisa negli elementi fattuali oggetto di specifica deduzione del ricorrente.
È stato ritenuto elemento decisivo ai fini dell’affermazione della
responsabilità con riferimento a tutti gli episodi estorsivi in contestazione la
consapevolezza da parte del ricorrente dell’esecuzione dell’incarico finalizzato al

con l’aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991, ai capi 15, 17, 20 e 21.

recupero dei propri crediti conferito ad un gruppo di persone i cui metodi abituali
erano noti al ricorrente; tuttavia, tale consapevolezza non è stata in alcun modo
dimostrata.
E’ stata, altresì, ravvisata la configurabilità della circostanza aggravante di
cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991 in relazione a tutti i predetti episodi estorsivi in
mancanza dei necessari presupposti ed in presenza di numerosi elementi fattuali
che ne escludevano la sussistenza.
Su tutti tali predetti punti il ricorrente contesta la valutazione operata dalla

in considerazione le deduzioni difensive. Rileva anche il palese errore di
percezione in ordine al ruolo che avrebbe assunto il ricorrente nelle presunte
azioni di recupero delle somme di cui era creditore che deriva dalla duplice
indimostrata premessa che avrebbe conferito l’incarico per il recupero del proprio
credito con la piena consapevolezza che sarebbe stato effettuato da un gruppo di
persone che avrebbero messo in atto un’intimidazione sproporzionata.
Quanto alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all’art. 7
d.l. n. 152 del 1991 la Corte di legittimità si è limitata a presumerne l’esistenza
parcellizzando le singole condotte estorsive che sono state ritenute espressione
della forza intimidatrice propria di un sodalizio mafioso. Non si tratta, ad avviso
del ricorrente, di un motivo implicitamente disatteso, né di un’erronea
valutazione di norme giuridiche, ma di una vera e propria svista con effetti
decisivi sull’esito del processo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Alla luce di quanto prospettato dal ricorrente, è necessario rammentare sia pure sinteticamente – i canoni ermeneutici indicati da questa Corte, tenuto
conto della ratio e della lettera dell’art. 625

bis cod. proc. pen., divenuti ormai

principi consolidati anche per via della sostanziale adesione ad essi di larga parte
della dottrina.
La regola dell’intangibilità dei provvedimenti della Corte di cassazione – pur
avendo perduto il carattere di assolutezza resta cardine del sistema delle
impugnazioni e della formazione del giudicato, nonché, del sistema stesso
processuale (Sez. U., n. 16104, del 27/03/2002, Basile; Corte cost., sent. n. 294
del 1995; Corte giustizia, 1/06/1999, C-126/97, punto 46; 30/09/2003, C224/01, p. 38; Corte EDU, 12/01/2006, Kehaya e altri c. Bulgaria, ric. n.
47797/99 e 68698/01). Pertanto, le disposizioni regolatrici del ricorso
straordinario non possono trovare applicazione oltre i casi in esse considerati.
La natura eccezionale del rimedio e la lettera della disposizione che lo
istituisce non consentono di sindacare a mezzo di ricorso straordinario altro

Corte di cassazione che, con specifico riferimento ad alcuni episodi, non ha preso

(asserito) errore di fatto che non sia quello costituito da sviste o errori di
percezione nei quali sia incorsa la Corte di Cassazione nella lettura degli atti del
giudizio di legittimità. L’errore deve essere connotato, altresì, dall’influenza
esercitata sulla decisione (in tal senso “viziata”) dalla inesatta percezione di
risultanze processuali, il cui svisamento conduce ad una sentenza diversa da
quella che sarebbe adottata senza l’errore e la cui ingiustizia o invalidità
costituiscono effetto di detto errore.
Di conseguenza:

– l’errore di fatto censurabile secondo il dettato dell’art. 625

bis cod. proc.

pen., deve consistere in una inesatta percezione di risultanze direttamente
ricavabili da atti relativi al giudizio di cassazione e, per usare la terminologia
dell’art. 395 n. 4, cod. proc. civ., cui si è implicitamente rifatto il legislatore nella
introduzione dell’art. 625

bis cod. proc. pen., nel supporre «la esistenza di un

fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa» ovvero nel supporre
«l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita», purché tale
fatto non abbia rappresentato «un punto controverso sul quale la sentenza
ebbe a pronunziare», anche implicitamente, ovvero che al dibattito processuale
«appartiene per legge (questioni rilevabili d’ufficio)»;
– l’errore di fatto deve rivestire «inderogabile carattere decisivo»;
– può consistere, dunque, anche nell’omissione dell’esame di uno o più
motivi del ricorso per cassazione, sempre che risulti dipeso «da una vera e
propria svista materiale, ossia da una disattenzione di ordine meramente
percettivo, che abbia causato l’erronea supposizione dell’inesistenza della
censura», ovverosia sempre che l’omesso esplicito esame lasci presupporre la
mancata lettura del motivo di ricorso e da tale mancata lettura discenda,
secondo «un rapporto di derivazione causale necessaria», una decisione che
può ritenersi incontrovertibilmente diversa da quella che sarebbe stata adottata
a seguito della considerazione del motivo; con la precisazione che il disposto
dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., secondo cui «nella sentenza della Corte
di cassazione i motivi di ricorso sono enunciati nei limiti strettamente
indispensabili per la motivazione», non consente di presupporre che ogni
argomento prospettato a sostegno delle censure e non analiticamente riprodotto
in sentenza sia stato non letto anziché implicitamente ritenuto non rilevante;
– deve escludersi che nell’area dell’errore di fatto denunciabile con ricorso
straordinario possano essere ricondotti gli errori percettivi non inerenti al
processo formativo della volontà del giudice di legittimità, perché riferibili alla
decisione del giudice di merito, dovendosi questi ultimi far valere – anche se
risoltisi in travisamento del fatto – soltanto nelle forme e nei limiti delle

– va esclusa ogni possibilità di dedurre errori valutativi o di giudizio;

impugnazioni ordinarie ovvero con la revisione (Sez. U., n. 16104, del
27/03/2002, Basile).

2. Tanto premesso, è evidente che nella specie la Corte di legittimità non è
incorsa in alcun errore di fatto, né ha omesso l’esame di uno o più motivi del
ricorso per cassazione.
La Corte ha, in primo luogo, verificato il denunciato vizio di carenza
motivazionale, anche da parte del ricorrente, a fronte dei rilievi fondanti l’atto di

Ha valutato le doglianze del Bonalumi sia in ordine alla attendibilità della
persona offesa, sia per quel che riguarda il contenuto delle intercettazioni
ambientali, ritenendo compiuta la motivazione della sentenza impugnata quanto
alla consapevolezza del predetto (p. 38 punto 16).
Le censure del Bonalumi quanto alla prova dell’estorsione contestata al capo
17 sono state ritenute generiche e finalizzate ad una diversa interpretazione del
contenuto delle conversazioni intercettate (p. 42-43 punto 20).
.”4— Ha poi dna= che i giudici di appello avefstekto implicitamente ritenuto
infondata la testi difensiva della mera connivenza quanto alla partecipazione del
ricorrente alla tentata estorsione di cui al capo 20 (p.44 punto 22); mentre ha
considerato generica la deduzione della inutilizzabilità delle dichiarazioni rese
dalla persona offes.7- Cagnoni ( riproposta con il ricorso per cassazione (p. 45
punto 23).
Infine, quanto alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui
all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991r la Corte di legittimità ha escluso la fondatezza di
tutti i rilievi formulati dai ricorrenti (p.54 punto 35) ed ha espresso specifiche
valutazioni sul punto relativamente al metodo mafioso con il quale erestate
commesse le estorsioni di cui al capo 15 (p.38) e al capo 17 (p. 43).
Del resto, dagli atti si rileva l’evidente genericità del motivo del ricorso per
cassazione con il quale il Bonalumi aveva contestato la sussistenza della
circostanza aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991 che esclude in radice
la omissione dell’esame del motivo di ricorso, avendo la Corte operato una
complessiva valutazione in ordine alla predetta circostanza aggravante / indicando
la infondatezza del motivo del Bonalumi.
Inoltre, nulla è stato dedotto con il ricorso straordinario con riferimento alla
valutazione della entità della pena.
Ne consegue la inammissibilità del ricorso ex art. 625-bis cod. proc. pen. e
la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento di una
somma in favore della cassa delle ammende nella misura che, in ragione delle
questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 1.000,00.

appello/escludendone la ravvisabilità (p. 24 punto 3).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e al versamento della somma di euro 1.000,00 in favore
della cassa delle ammende.

Così deciso, il 1° aprile 2014.

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