Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32401 del 21/03/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 32401 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: LA POSTA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BRUNO SALVATORE N. IL 08/06/1963
avverso l’ordinanza n. 24/2012 CORTE ASSISE APPELLO di
CATANIA, del 11/06/2013
sentita la r1azione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA LA POSTA;
lette/se ite le conclusioni del PG Dott. Ci.. tro2—K- c_Ake („Q_

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Data Udienza: 21/03/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 5.6.2012 la Corte di assise di appello di Catania,
quale giudice dell’esecuzione, aveva dichiarato inammissibile la richiesta con la
quale Salvatore Bruno chiedeva l’applicazione dell’indulto.
In specie, rilevava che con l’istanza veniva riproposta la richiesta già
avanzata dal Procuratore generale presso la Corte di appello e valutata
negativamente con provvedimento del 19.2.2010 che era stato ritualmente

preclusione della medesima richiesta.
Avverso la predetta ordinanza era stato proposto dall’interessato ricorso per
cassazione che questa Corte ha qualificato opposizionetsulla quale la Corte di
assise di appello di Catania ha provveduto, con ordinanza in data 11.6.2013,
ribadendo la inammissibilità della richiesta di applicazione dell’indulto tenuto
t
conto che il Bruno aveva reiterato gli argomenti già valutati.

2. Avverso tale ultima ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il
Bruno, a mezzo del difensore di fiducia, denunciando la violazione di legge.
Rileva( in primo luogo la diversità del soggetto richiedente rispetto all’istanza
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già valutata dal giudice dell’esecuzione.
Assume che pur avendo ad oggetto l’applicazione del beneficio dell’indulto
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ex legge n. 261 del 2006 le argomentazioni ed i presupposti sono diversi avendo
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originariamente il giudice dell’esecuzione escluso l’applicabilità del beneficio in
ragione della sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991,
come ritenuta dai giudici di merito, mentre, ad avviso del ricorrente, la
valutazione operata sul punto in sede di sentenza di condanna del Gup del
Tribunale di Catania andava interpretata in senso diverso con conseguente
applicabilità dell’indulto.
Conseguentemente, deve ritenersi che l’ordinanza emessa dal giudice
dell’esecuzione in data 19.2.2010, non impugnata dal Bruno, non produce il
richiamato effetto preclusivo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è manifestamente infondato.
Quanto alla immodificabilità dei provvedimenti resi in sede di esecuzione,
deve ricordarsi che opera il principio della preclusione processuale, inerente al
divieto di bis in idem, nella quale va inquadrata la regola prevista dall’art. 666
comma 2 cod. proc. pen. per cui il giudice dell’esecuzione deve dichiarare
inammissibile la richiesta che sia basata sui medesimi elementi di altra già
2

notificato al Bruno il quale non aveva impugnato la decisione con la conseguente

rigettata (Sez. U, n. 18288, 21/01/2010, Beschi). Soltanto nei casi in cui vi siano
elementi di fatto non conosciuti e, quindi, non valutati al momento della
emissione del provvedimento già reso dal giudice dell’esecuzione non opera la
/
preclusione processuale, derivante dal divieto di bis in idem, che anche in sede
esecutiva non consente la riproposizione di identiche questioni in assenza di
nuovi elementi.
Tanto ribadito, nella specie, all’evidenza, correttamente il giudice
dell’esecuzione ha affermato che si tratta di mera riproposizione della richiesta di

avanzata dal Procuratore generale presso la Corte di appello. Invero, è del tutto
irrilevante che la richiesta provenga da soggetto diverso e deve ritenersi preclusa
la ulteriore valutazione in ordine alle ragioni sulle quali è stato fondato il diniego
del beneficio, atteso che, all’evidenza, sulla sussistenza della aggravante di cui
all’art. 7 d.l. n. 152 del 1991 il ricorrente ha proposto una diversa
interpretazione della sentenza di condanna di primo grado che non costituisce
elemento diverso da quello già valutato dal giudice dell’esecuzione con la
decisione del 19.2.2010 che l’interessato avrebbe dovuto impugnare al fine di far
valere la diversa interpretazione proposta.
Il ricorso deve essere, quindi, dichiarato inammissibile; alla declaratoria di
inammissibilità segue per legge, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento
della somma ritenuta congrua di euro 1.000,00 in favore della cassa delle
ammende.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa delle
ammende.

Così deciso, il 21, marzo 2014.

applicazione dell’indulto / già rigettat1con riferimento alla precedente istanza

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