Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32398 del 21/03/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 32398 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: LA POSTA LUCIA

Data Udienza: 21/03/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
SALERNO
nei confronti di:
CIRILLO LUIGI GIUSEPPE N. IL 04/09/1973
ALBANO GIULIO N. IL 09/09/1973
inoltre:
CIRILLO LUIGI GIUSEPPE N. IL 04/09/1973
ALBANO GIULIO N. IL 09/09/1973
TRIVISONE DOMENICO N. IL 10/05/1964
STORNAIUOLO FABIO N. IL 14/11/1959
ALBANO VITO N. IL 20/08/1974
ERRA UBALDO N. IL 27/11/1972
avverso il decreto n. 42/2010 CORTE APPELLO di SALERNO, del
16/11/2012
sentita la elazione fatta dal Consigliere Dott. LUCIA LA POSTA;
lette/s ite le conclusioni del PG Dott.
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RITENUTO IN FATTO

1. Con decreto depositato il 3.5.2010 il Tribunale di Salerno rigettava le
proposte (riunite), avanzate dal Procuratore della repubblica presso lo stesso
tribunale, volte all’applicazione della misura di prevenzione personale della
sorveglianza speciale della pubblica sicurezza e della misura patrimoniale della
confisca, ai sensi delle leggi n. 1423 del 1956, n. 575 del 1965 e n. 55 del 1990,
nei confronti di Giulio Albano e Luigi Giuseppe Cirillo.

delle proposte, nonché delle successive integrazioni del pubblico ministero e
delle allegazioni difensive, il tribunale escludeva del tutto la sussistenza di
presupposti idonei ad affermare la pericolosità sociale dei due proposti
«qualificata» dalla appartenenza ad una associazione di tipo mafioso,
nonché, la attualità della pericolosità generica, ai sensi della legge n. 1423 del
1956, che al più poteva essere collocabile sino al lontano 1995.
Sulla base di tale premessa il tribunale, richiamati i principi di diritto in
ordine ai presupposti necessari per disporre la misura di prevenzione
patrimoniale «disgiunta» da quella personale, evidenziava, in particolare,
come si possa prescindere dalla attualità della pericolosità sociale del soggetto
nella cui disponibilità sono ritenuti i beni dei quali si chiede la confisca, ma non
dalla verifica della pregressa manifestata pericolosità e dalla riconducibilità ad
essa delle acquisizioni o incrementi patrimoniali del proposto che determina
quella pericolosità del bene alla cui rimozione è finalizzata l’ablazione reale.
Applicando detti criteri di valutazione alla fattispecie in esame, il tribunale
concludeva per la insussistenza dei presupposti soggettivi e oggettivi necessari
per disporre la confisca dei beni indicati dall’autorità proponente ed, in specie,
della sproporzione tra redditi leciti e valore dei beni acquisiti ovvero della
provenienza illecita degli stessi.

2. La Corte di appello di Salerno, con decreto del 16.11.2012, decidendo
sull’appello del pubblico ministero, ha riformato parzialmente la decisione di
primo grado disponendo la confisca dei beni, specificamente indicati, nella
titolarità diretta ed indiretta dei due proposti.
La Corte territoriale ha operato una valutazione diversa rispetto ai primi
giudici in ordine alla pericolosità sociale del Cirillo e dell’Albano, affermando che,
senza dubbio, si tratta di soggetti socialmente pericolosi ai sensi della normativa
antimafia e che molte circostanze di fatto che il tribunale non ha ritenuto idonee
a dimostrare la reiterazione da parte del Cirillo e dell’Albano di condotte
espressione della pericolosità qualificata, sono, invece, significative in tal senso.

2

A seguito dell’esame del copioso materiale indiziario posto a fondamento

Ha concluso, quindi, che la pericolosità qualificata dei predetti deve ritenersi
accertata sino al 2005.
Ha valorizzato, anche alla luce di ulteriori allegazioni del pubblico ministero,
alcuni elementi di fatto ritenuti non significativi dal tribunale, quali quelli posti a
sostegno della contestazione della esistenza di una nuova associazione
camorrista, facente capo al Cirillo, in relazione alla quale è intervenuto
provvedimento di archiviazione. Così come, ha operato una diversa valutazione
della dichiarazioni rese da Ferrentino Nunzio, confermate da quelle del Castagna,

determinata da forti pressioni e minacce. Ha ritenuto, poi, condivisibile la
prospettazione del pubblico ministero appellante in ordine alla sostanziale
strumentalizzazione dell’attività di collaborazione e del connesso programma di
protezione posta in essere da parte del Cirillo e dell’Albano, assumendo, al
contrario di quanto affermato dal tribunale, che le dichiarazioni del collaboratore
Graziano Felice trovano conferma in quelle di altri collaboratori, acquisite nel
grado di appello e, quindi, non valutate dai primi giudici. Per la Corte, infatti,
risulta plausibile che il Cirillo, in costanza del programma di protezione, avesse
continuato a mantenere rapporti con esponenti della criminalità organizzata
calabrese; né tale dato può essere contraddetto dalle positive valutazioni
espresse dalla competente commissione centrale che presiede al controllo sul
programma di protezione essendo le stesse circoscritte al contributo
collaborativo reso dal predetto nel procedimento cd. «Galassia».
In tale diversa prospettiva, la Corte di appello ha ritenuto che la
accumulazione o, quanto meno, l’incremento patrimoniale, stante la
sproporzione con i redditi dichiarati dai due proposti, fosse riconducibile alla
predetta pericolosità ed alle attività delittuose che hanno caratterizzato la vita
pregressa del Cirillo e dell’Albano. Invero, unica somma lecita accreditabile ai
proposti è stata ritenuta quella di euro 30.000 ciascuno, costituita dalla
liquidazione del programma di protezione, del tutto insufficiente a giustificare i
beni posseduti ed il tenore di vita accertato.

3. Avverso il decreto di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione il
Procuratore generale presso la Corte di appello di Salerno, nonché, con un unico
atto a firma dei difensori di fiducia, il Cirillo e l’Albano ed i terzi intestatari,
Stornaiulo Fabio, Albano Vito ed Erra Ubaldo.
Con distinto atto ha proposto ricorso per cassazione Trivisone Domenico, a
mezzo del difensore di fiducia munito di procura speciale, nella qualità di terzo
con riferimento alla confisca di quote della società CE.CA Gestioni s.r.I..

3

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del Salvini e del Pisapia, evidenziando che la ritrattazione del Castagna era stata

3.1. Il Procuratore generale ha denunciato la violazione di legge, il vizio
della motivazione ed il travisamento dei fatti con riferimento alla mancata
applicazione ai proposti della misura di prevenzione personale della sorveglianza
speciale della p.s. ed alla confisca solo parziale delle quote della società C.& E.
Holding s.r.l. e della società CE.CA Gestioni s.r.l..
Quanto al giudizio sulla pericolosità sociale ai fini dell’applicazione della
misura personale, rileva da un lato che è assolutamente pacifico che Albano
Giulio non è mai stato ammesso allo speciale programma di protezione per i

dall’altro che al Cirillo non è stata sempre riconosciuta la circostanza attenuante
di cui all’art. 8 d.l. 152 del 1991 – come nel caso della sentenza di condanna
della Corte di appello di Ancona del 21.3.2006 – perché aveva fornito una
ricostruzione in parte non veritiera. Contesta, quindi, la valutazione operata dai
giudici dell’appello in ordine ad ulteriori circostanze di fatto acquisite al
procedimento quale l’intervenuta archiviazione del procedimento penale nei
confronti del Cirillo relativo alla esistenza di una nuova associazione camorrista
facente capo al predetto. Lamenta, altresì, che la pericolosità sociale dei
proposti, certamente manifestata nel periodo successivo al 2002-2003, non è
stata ritenuta attuale, ricordando che tale presupposto deve essere valutato con
riferimento al momento in cui è stata chiesta la misura.
Ad avviso del pubblico ministero ricorrente, poi, la Corte di appello si è
contraddetta perché, pur avendo ritenuto che dalle dichiarazioni dei collaboratori
e dalle conversazioni intercettate emerge la riconducibilità al Cirillo delle società
C.& E. Holding s.r.l. e CE.CA Gestioni s.r.I., tuttavia, ha disposto la confisca delle
quote sociali soltanto nella misura rispettivamente del 5% e del 33%, dando
valore decisivo ad un dato meramente formale, quale quello della indimostrata
sproporzione degli investimenti necessari per avviare l’attività ed i redditi del
prestanome, presupposto non necessario ai fini della prova della interposizione
fittizia.

3.2. I proposti Cirillo e Albano ed i terzi Stornaiulo Fabio, Albano Vito ed
Erra Ubaldo formulano i medesimi rilievi.
3.2.1. In primo luogo, lamentano l’omesso esame della memoria difensiva
depositata alla Corte di appello all’udienza del 13.11.2012 (che allegano al
ricorso) con conseguente nullità della decisione.
3.2.2. Albano Giulio denuncia la illegittimità del decreto della Corte di
appello, rilevando che l’atto di appello del Procuratore della repubblica e del
Procuratore generale non conteneva alcuna specifica censura del provvedimento
di primo grado relativamente alla specifica posizione del proposto con

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collaboratori di giustizia, né ha mai reso dichiarazioni nei confronti di terzi;

conseguente violazione del giudicato interno. Il Cirillo rileva la genericità dei
rilievi contenuti nell’atto di appello del pubblico ministero.
3.2.3. Con il terzo motivo viene dedotta la violazione di legge per mancanza
dei presupposti di legge per l’applicazione della misura di prevenzione personale
e patrimoniale.
Si rileva che il tribunale aveva compiutamente motivato in ordine alla
insussistenza di elementi idonei a ritenere che le attività esercitate dalle società
oggetto di valutazione e l’acquisto dei beni indicati nella proposta fossero

attività fossero esercitate con metodi mafiosi ed affermato che sia i terzi che i
proposti hanno autonoma capacità economica lecita sufficiente a giustificare
l’acquisizione dei beni in oggetto. Di contro, la Corte di appello ha ribaltato il
giudizio esaminando superficialmente e solo parzialmente il complesso degli
elementi di fatto acquisiti nel procedimento di prevenzione che i ricorrenti
ripercorrono, con riferimento ai singoli beni, ribadendo che proprio in relazione
all’attività di vendita del caffè e di noleggio di videogiochi gli esiti delle indagini
avevano condotto all’archiviazione del procedimento relativo ai delitti di cui agli
artt. 416 -bis, 644, 629 e 513 -bis cod. pen.. Anche le ulteriori dichiarazioni dei
collaboratori non modificano significativamente il compendio indiziario; del resto,
è immotivato ed arbitrario il giudizio di sperequazione in ordine alla capacità
economica dei proposti e dei terzi intestatari formulato dai giudici di secondo
grado senza neppure indicare il valore dei beni oggetto di valutazione.
3.2.4.

Tale ultimo profilo viene ulteriormente approfondito nei due

successivi motivi di ricorso. Si censura, infatti, la mancata verifica della illecita
provenienza con riferimento ai singoli beni e all’epoca in cui si sarebbe verificata
la interposizione fittizia relativamente a quelli nella titolarità di terzi, in specie,
con riferimento alla società C. & E. Holding s.r.I..
3.2.5. Infine, i ricorrenti assumono che, in ragione della natura della
confisca di prevenzione, ai fini del provvedimento ablatorio è necessaria una
correlazione tra la manifestazione della pericolosità sociale del proposto e l’epoca
dell’atto di disposizione a contenuto patrimoniale. Invece, con il decreto
impugnato sono stati confiscati beni acquistati in epoca nella quale i proposti
Albano e Cirillo non erano portatori di pericolosità sociale.
In ogni caso, quanto al Cirillo, il giudizio incidentale di pericolosità sociale
all’epoca dell’acquisizione dei beni risulta viziato per mancanza assoluta di
motivazione, avendo la Corte di appello fondato tale valutazione su elementi
indicati non esaminati nel giudizio di primo grado che erano allegati all’atto di
appello del pubblico ministero ma non sono stati acquisiti formalmente al
procedimento nel regolare contraddittorio delle parti.

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riconducibili all’investimento di capitali illeciti; aveva, altresì, escluso che dette

Indipendentemente da tale rilievo, ad avviso dei ricorrenti, si tratta di
elementi generici, tali essendo le dichiarazioni dei collaboratori richiamate.
3.2.6. Con nota depositata in data 14.3.2013 i ricorrenti Cirillo ed Albano
ribadiscono le suddette doglianze, alla luce delle conclusioni scritte del
Procuratore generale presso questa Corte.

3.3. Trivisone Domenico, a mezzo del difensore di fiducia munito di procura
speciale, ha proposto ricorso con riferimento alla confisca di quote della società

rappresentante, denunciando la violazione di legge ed il vizio della motivazione
con riferimento alla sussistenza dei presupposti necessari per disporre l’ablazione
di beni intestati a soggetto terzo ed in particolare alla riferibilità di fatto delle
quote sociali oggetto di confisca al proposto Cirillo Luigi Giuseppe.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Devono essere dichiarati inammissibili i ricorsi di Stornaiulo Fabio, Albano
Vito ed Erra Ubaldo, proposti a mezzo dei difensori di fiducia non muniti di
procura speciale.
Il Collegio condivide l’orientamento secondo il quale il difensore del terzo
interessato nel procedimento di prevenzione, non munito di procura speciale,
non è legittimato a ricorrere per cassazione avverso il decreto che dispone la
misura di prevenzione della confisca (Sez. 6, n. 13798, 20/01/2011, Bonura, rv.
249873; Sez. 6, n. 46429, 17/09/2009, Pace, rv. 245440).
Infatti, nel procedimento di prevenzione per l’applicazione di misura
patrimoniale il terzo, pur dovendo essere chiamato ad intervenire nel giudizio e
potendo svolgere deduzioni con l’assistenza di un difensore (art. 23 d.lgs. n. 159
del 2011), è, comunque, portatore di interessi civilistici al pari dei soggetti
indicati nell’art. 100 cod. proc. pen., sicchè, in conformità con quanto previsto
nel processo civile, non può stare in giudizio personalmente, ma ha un onere di
patrocinio che è soddisfatto attraverso una procura alle liti al difensore.
Nella specie, non risulta in atti tale procura per quel che riguarda i suddetti
terzi ricorrenti.
2. Anche il ricorso proposto da Trivisone Domenico, a mezzo del difensore di
fiducia ancorchè munito di procura speciale, è inammissibile.
Invero, il predetto impugna il decreto della Corte di appello, come egli
stesso dichiara, con riferimento alla confisca di quote della società CE.CA
Gestioni s.r.l. nella qualità di amministratore unico e legale rappresentante. Da
quanto in atti risulta che le quote sociali della CE.CA Gestioni s.r.I., oggetto di
confisca nella misura del 33% senza indicazione ulteriore, non sono nella
6

)1)

CE.CA Gestioni s.r.I., nella qualità di amministratore unico e legale

titolarità formale di Trivisone Domenico, bensì appartengono per il 50% alla
società New Canasta s.r.l. e per l’altro 50 °h a tale Coiro Innocenza.
Orbene, deve essere esclusa, ad avviso del Collegio, la legittimazione della
società

in persona dell’amministratore/ ad intervenire nel procedimento di
(
prevenzione (e, a maggior ragione, a proporre ricorso per cassazione) non

assumendo la stessa la qualità di terzo, laddove oggetto della ablazione
patrimoniale sono le quote sociali e tutti i diritti in esse incorporati. Pertanto, nel
caso in cui le quote oggetto della misura patrimoniale siano nella formale

in capo alla persona fisica o giuridica che ha la titolarità formale delle quote
sequestrate o confiscate in danno del proposto (cfr. Sez. 1, n. 48882 del
08/10/2013, San Carlo Invest S.r.l.).
Nella specie, come si è detto, il Trivisone ha proposto il ricorso nella qualità
di amministratore e legale rappresentante della società CE.CA Gestioni s.r.l. le
cui quote sono state confiscate con il decreto impugnato nella misura del 33°/5
indicata indistintamente senza precisazione del formale intestatario di dette
quote sociali. In ogni caso, anche se si volesse ritenere che si tratti della parte di
quote appartenenti alla società New Canasta s.r.I., intestataria del 50%, il
ricorrente non ha agito in rappresentanza di detta ultima società, come
univocamente si rileva dall’atto di procura speciale in calce al ricor o.
3 nur
3. Quanto al ricorso dell’Albano deve essere rilevato che non è fondato il
rilievo in ordine alla violazione del giudicato da parte del giudice dell’appello,
atteso che, indipendentemente dagli argomenti posti a fondamento
dell’impugnazione, il Procuratore della repubblica aveva formalmente impugnato
la decisione di primo grado con riferimento sia al Cirillo che all’Albano, chiedendo
per entrambi l’applicazione della misura di prevenzione personale e patrimoniale.
4. L’esame dei motivi di merito, sia per quel che riguarda il ricorso dei
proposti che per quanto dedotto dal procuratore generale, impone di considerare
quale sia, ad avviso del Collegio, la rilevanza e l’incidenza dell’accertamento della
pericolosità sociale – con riferimento ad una delle categorie di soggetti previsti
dalla vigente disciplina delle misure di prevenzione – ai fini dell’applicazione non
soltanto di una misura personale, ma anche, a partire dalle modifiche normative
introdotte dal d.l. n. 92 del 2008, convertito nella I. n. 125 del 2008 e dalla I. n.
94 del 2009, per l’applicazione della misura patrimoniale disgiunta da quella
personale. Quest’ultima, infatti, può essere disposta laddove sia venuto meno il
requisito dell’attualità della pericolosità del proposto, ma non può, comunque,
prescindere dalla verifica della pregressa manifestata pericolosità che
rappresenta pur sempre il presupposto soggettivo necessario per l’applicazione
della misura ablatoria reale. In tal senso deve essere inteso il principio di
reciproca autonomia tra le misure personali e patrimoniali previsto dall’art. 2 7

titolarità di soggetto terzo, diverso dal proposto, la legittimazione va individuata

bis, comma 6

bis, della legge 31 maggio 1965, n. 575, così come modificato

dall’art. 2, comma 22 della 15 luglio 2009, n. 94, e successivamente dall’art. 18
d.lgs. n. 159 del 2011 che consentono di disporre il sequestro e la confisca
indipendentemente dalla pericolosità sociale del soggetto proposto al momento
della richiesta.
Ad avviso del Collegio, poi, il presupposto della pericolosità, ancorchè non si
addivenga alla applicazione della misura personale per la mancanza di attualità,
assume un significato pregnante anche nella valutazione dei presupposti

provenienza) richiesti perché si possa disporre la misura patrimoniale della
confisca dei beni. Pur non dovendo ricorrere, infatti, secondo l’orientamento
consolidato di questa Corte, un legame «pertinenziale» tra acquisizione
patrimoniale e condotte attraverso le quali si è manifestata la pericolosità, il
bene oggetto di confisca deve, comunque, essere riferibile al soggetto pericoloso
e riconducibile all’epoca in cui la pericolosità si è espressa.
Già in altre recenti occasioni questa Corte ha sostenuto che, pur non
essendo richiesto un accertamento positivo di rigorosa coincidenza cronologica
tra l’accumulo patrimoniale e le concrete manifestazioni di pericolosità del
proposto, è pur sempre necessario postulare che tra l’acquisizione dei beni e la
condizione di appartenenza non sia ravvisabile uno iato temporale tale da
scardinare la correlazione tra la condizione soggettiva di indiziato di
appartenenza ad un sodalizio mafioso e la ragion d’essere della presunzione di
illecita accumulazione dei beni (Sez. 2, n. 3809, 15/01/2013, Castello). E’ stato,
quindi, ritenuto che la valutazione dei presupposti oggettivi del sequestro e della
confisca di prevenzione debba avvenire anche attraverso un parametro
temporale che li agganci al presupposto soggettivo della manifestata pericolosità
del proposto, ancorchè non più attuale e, quindi, inidonea ai fini della
applicazione della misura di prevenzione personale.
Più esplicitamente questa Corte ha sostenuto che «la confisca disgiunta
non ha introdotto nel nostro ordinamento una diretta actio in rem non essendo
possibile – per ragioni sistematiche e costituzionali – prescindere dal rapporto tra
l’attività ‘pericolosa’ di un soggetto e gli incrementi patrimoniali realizzati da tale
individuo nel periodo di constatata pericolosità. Dunque, risulta evidente, che
l’azione di prevenzione è sempre rivolta verso un determinato soggetto e, solo
come proiezione dell’agire dello stesso, sulle entità economiche che
rappresentano il frutto dei suoi comportamenti antisociali» (Sez. 1, n. 48882
del 08/10/2013, San Carlo Invest S.r.l.).
Così che, il principio di reciproca autonomia tra le misure personali e
patrimoniali deve essere inteso nel senso che è consentito applicare la confisca
prescindendo dal requisito della pericolosità del proposto al momen
2…..
8

oggettivi (sproporzione con redditi leciti e mancanza di giustificazione della

dell’adozione della misura, ma essa deve, comunque, essere riferibile all’epoca
dell’acquisto del bene oggetto della richiesta ablatoria (Sez. 6, n. 10153 del
18/10/2012, Coli, rv. 254545).
Così che, è possibile escludere la natura sanzionatoria della confisca di
prevenzione che, pur fondata sul giudizio di pericolosità del proposto diverso dal
giudizio di colpevolezza, ha superato proprio in ragione della riferibilità alla
pericolosità del proposto il vaglio della Corte costituzionale e della Corte EDU.
La manifestata pericolosità sociale e le condotte di vita che ne

valutazione del giudice della prevenzione anche ai fini dell’applicazione della
misura patrimoniale disgiunta da quella personale.
Nel caso di specie, poi, il giudizio sulla pericolosità dei proposti viene in
rilievo anche in quanto costituisce oggetto diretto e specifico delle doglianze
formulate nel ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di
Salerno che lamenta la mancata applicazione della misura di prevenzione
personale al Cirillo e all’Albano.

4.1. Occorre, allora, ribadire che l’accertamento della pericolosità sociale
prescinde dall’affermazione della penale responsabilità, ma deve fondare sulla
valutazione da parte del giudice di elementi di fatto dai quali si possa desumere,
tenuto conto delle oggettive condotte di vita del proposto, la pericolosità sociale
dello stesso e, con specifico riferimento alla pericolosità derivante
dall’appartenenza ad una associazione mafiosa, il giudice deve indicare concrete
circostanze di fatto, oggettivamente valutabili e controllabili, che conducano ad
un giudizio di ragionevole probabilità circa l’appartenenza del proposto al
sodalizio criminoso, con esclusione di meri sospetti, illazioni e congetture.
Proprio l’autonomia rispetto al procedimento penale comporta che il giudice
della prevenzione debba esaminare le circostanze di fatto relative alla concreta
condotta di vita del proposto dalle quali si possa inferire il giudizio di pericolosità
sociale; ciò, quindi, è tanto più necessario quando la pericolosità sia fondata su
elementi che prescindono completamente dalla affermazione della penale
responsabilità ovvero su circostanze di fatto emerse nell’ambito di un
procedimento penale ancora pendente.
Il requisito della attualità della pericolosità – che nella fattispecie è stato
escluso anche dal giudice di appello e sul quale si appuntano le censure del
procuratore ricorrente – deve rapportarsi alla intensità dei sintomi di deviazione
accertati ed alla loro prossimità temporale rispetto al momento della decisione di
primo grado, ricordando, altresì, che il giudice della prevenzione ha anche il
potere di accertare ed acquisire di ufficio elementi utili per la decisione, purchè
vengano resi noti alle parti perché possano interloquire.

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rappresentano la estrinsecazione restano, pertanto, aspetto rilevante nella

4.2. Orbene, avendo operato una valutazione difforme rispetto al giudice di
prime cure in primo luogo quanto alla pericolosità dei due proposti, la Corte di
appello avrebbe dovuto indicare gli specifici elementi di fatto e la loro idoneità ad
affermare la pericolosità con riferimento all’appartenenza ad un sodalizio
camorrista e la collocazione temporale della manifesta pericolosità secondo i
criteri innanzi richiamati; invece, si è limitata a richiamare, sia pure nel
dettaglio, il contenuto della proposta e degli atti allegati dalle parti, senza dare
conto di argomentazioni valutative idonee a disarticolare il giudizio di primo

tribunale, ma non ha esplicitato in cosa realmente si sostanzino.
Per le ragioni in precedenza esplicitate è evidente come, benché neppure la
Corte di appello abbia applicato la misura personale escludendo l’attualità della
pericolosità, la diversa valutazione in ordine al grado e alla natura della
pericolosità dei proposti ed al contesto criminale nel quale aveva trovato
espressione abbia ricadute determinati ai fini della verifica della sussistenza dei
presupposti soggettivi ed oggettivi della misura patrimoniale che, in riforma della
decisione di primo grado, è stata applicata. In specie, risulta palese la differenza
di giudizio, anche per quel che riguarda la valutazione delle acquisizioni
patrimoniali, tra un soggetto ritenuto pericoloso perché indiziato di appartenere
ad un sodalizio mafioso sin da epoca risalente e almeno fino al 2005 (come
affermato dai giudici di appello) e quella di colui che venga ritenuto portatore di
una pericolosità di gran lunga meno intensa, con riferimento a condotte assai
remote (1995).
Del resto, la Corte di appello, fatta salva la affermazione della mancanza di
redditi formalmente dichiarati dai proposti, non ha precisato in relazione ai
singoli beni dei quali ha disposto la confisca l’epoca di acquisizione della
disponibilità, anche per interposta persona, da parte dei proposti. Con specifico
riferimento ad alcuni beni di cui è stata disposta la confisca – quali quelli indicati
ai numeri 1) e 2) intestati al Cirillo – non ha tenuto conto, peraltro, che si tratta
di attività di impresa, in forma societaria la prima ed individuale la seconda,
avviate quando il Cirillo era poco più che maggiorenne, così come per quella
indicata al n. 8) dell’Albano. La stessa Corte (p.36-37), peraltro, riferisce dette
attività alla famiglia dei proposti, che risultava coinvolta in rilevanti attività
illecite, contraddicendo in tale modo la riferibilità, in termini di effettiva
disponibilità, al Cirillo e all’Albano ed alla pericolosità dagli stessi manifestata.
Su tutti i predetti punti, pertanto, devono ritenersi fondate sia le censure dei
proposti che quelle del Procuratore generale ricorrente. Conclusivamente, quindi,
il decreto impugnato deve essere annullato con rinvio alla Corte di appello di
Salerno che dovrà procedere al nuovo esame, in conformità dei principi indicati,
in ordine ai presupposti soggettivi ed oggettivi necessari per l’applicazione della

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grado che pure ha richiamato. Ha anche valutato elementi nuovi rispetto al

misura personale e patrimoniale richiesta dall’autorità proponente nei confronti
del Cirillo e dell’Albano.
I ricorsi di Trivisone, Stornaiulo, Albano Vito ed Erra devono essere
dichiarati inammissibili per ragioni indicate ed i predetti devono essere
condannati al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di
euro mille ciascuno alla cassa delle ammende.

Annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo esame alla Corte di appello
di Salerno.
Dichiara inammissibili i ricorsi di Trivisone, Stornaiulo, Albano Vito ed Erra
che condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento della
somma di euro 1000 (mille) ciascuno alla cassa delle ammende.

Così deciso, il 21 marzo 2014.

P.Q.M.

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