Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32397 del 21/03/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 32397 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
TARANTO
nei confronti di:
NARDELLI PASQUALE N. IL 20/08/1967
avverso l’ordinanza n. 1075/2012 TRIB. SORVEGLIANZA di
TARANTO, del 19/06/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FILIPPO CASA;
lette/sete le conclusioni del PG Dott. g-L, 2,:GO _De Le -H
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 21/03/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza resa il 19 giugno 2013 il Tribunale di Sorveglianza di Taranto ammetteva
il condannato NARDELLI Pasquale alla misura dell’affidamento in prova al servizio sociale in
relazione alla pena di anni tre, mesi dieci e giorni sedici di reclusione e mesi otto di arresto,
derivante da provvedimento di cumulo emesso in data 5.4.2013 dalla Procura della Repubblica di

Il Tribunale osservava, a giustificazione della sua ordinanza, che il fine pena rientrava nei
limiti di legge previsti per la concessione della misura alternativa (2.12.2015), che i reati non
erano ostativi, che il detenuto aveva la possibilità di svolgere un’attività lavorativa con assunzione
a tempo indeterminato, nonché impegnarsi in un’attività di volontariato a titolo di giustizia
riparativa, che sarebbe stata individuata dall’U.E.P.E..
2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale
presso la Corte di Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, il quale ne ha chiesto
l’annullamento per mancanza di motivazione in ordine alle informazioni fornite dalla Procura
Distrettuale Antimafia di Lecce, che avevano evidenziato collegamenti tra il condannato e la
criminalità organizzata, elemento semplicemente ignorato dal Tribunale di Sorveglianza.
3. Con requisitoria scritta depositata il 26 novembre 2013, il Procuratore Generale presso
questa Corte ha chiesto annullarsi con rinvio l’ordinanza impugnata, condividendo i motivi di
ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato e va, quindi, accolto.
1. Va premesso in linea generale che l’istituto dell’affidamento in prova al servizio sociale,
disciplinato dall’art. 47 Ord. Pen., costituisce una misura alternativa alla detenzione, prevista nel
caso la pena detentiva da eseguire non superi i tre anni, finalizzata a contribuire alla rieducazione
del responsabile ed a prevenire al contempo il pericolo che egli ricada nella commissione di altri
reati; non si tratta dunque di un beneficio da elargirsi quasi “pietatis causa”, ma in base alla
ricorrenza di valide prospettive di realizzazione delle anzidette finalità, funzionali al vantaggio, non
del singolo, ma della collettività e rispetto alle quali la sottrazione del soggetto al regime di
detenzione carceraria rappresenta soltanto uno strumento (Corte cost., 5/12/1997, n. 377; Cass.
sez. 1, n. 4137 del 19/10/1992, Gullino, rv. 192368; sez. 1, n. 2061 del 11/05/1992, Menditto,
Rv. 190531; sez. 1, n. 2207 del 18/5/1992, Caltagirone, rv. 190628, sez. 1. n. 1704 del
14/4/1994, Gallo, rv. 197463).

1

Taranto.

Tenuto conto del duplice obiettivo perseguito dall’istituto, la giurisprudenza di questa Corte
è uniformemente orientata nel senso che, ai fini della concessione della misura, non possono
considerarsi in sé ostativi elementi negativi, quali la gravità del reato per cui è intervenuta
condanna ed í precedenti penali, e che non può nemmeno pretendersi, in senso positivo, la prova
che il soggetto sia già pervenuto alla completa revisione critica del proprio passato, essendo
sufficiente che dai risultati dell’osservazione della personalità emerga l’avvio del processo critico e

219553; sez. 1, n. 371 del 15/11/2001, Chifari, rv. 220473; sez. 1, n. 31809 del 9/7/2009,
Gobbo, rv. 244322).
1.1. In particolare, basandosi su una lettura sistematica delle varie disposizioni contenute
nell’art. 47 0.P., si è affermato che la valutazione della richiesta di affidamento in prova, pur
partendo dalla considerazione della natura e della gravità dei reati, per i quali è stata irrogata la
pena in espiazione, non può mai prescindere dalla condotta tenuta dal condannato dopo la
commissione del reato e dai suoi comportamenti attuali, risultando questi essenziali ai fini della
verifica circa l’esistenza di un effettivo processo di recupero sociale e della prevenzione del
pericolo di recidiva e circa l’idoneità della misura alternativa; pertanto, quando, come nel caso in
esame, l’affidamento in prova sia richiesto durante l’espiazione della pena in ambiente
inframurario, è necessario procedere alla considerazione della condotta mantenuta durante
l’esecuzione al fine di stabilire la prognosi favorevole o meno circa l’astensione da parte del
soggetto dal compimento in futuro di nuove azioni criminose.
2. Tanto premesso, nel caso in esame la motivazione del provvedimento impugnato
presenta plurimi aspetti di carenza ed illogicità, nonché di violazione di legge.
2.1. In particolare, il Tribunale di Sorveglianza giustifica la decisione favorevole al
condannato sul rilievo dell’entità della pena da espiare, imputabile a reati non ostativi, ma
prescinde completamente dall’analisi dei reati per i quali egli ha riportato condanna e della
specifica capacità a delinquere dimostrata; evidenzia la possibilità di svolgere un’attività
lavorativa, nonostante nella relazione di sintesi sulla osservazione di personalità del 27.5.2013 si
affermi che “la mancanza di sicuri riferimenti di lavoro esterni non consente al momento previsioni
per misure alternative ad ampio respiro” (il potenziale datore di lavoro aveva dato assicurazioni
solo verbali senza fornire alcea documentazione

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2.2. Ciò che però

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assolta mancanza di considerazione delle

informazioni trasmesse nella nota del 28/1/2013 della Procura Distrettuale Antimafia presso i
Tribunale di Lecce, esistente agli atti, che, oltre a sintetizzare il nutrito curriculum criminale del
NARDELLI (condannato per reati contro il patrimonio, contro la persona e in violazione della legge
sulle armi, nonché per associazione per delinquere di stampo mafioso), evidenziava la sua
intraneità alla cosca di stampo mafioso Cianciaruso – Matera, come appartenente al gruppo di

2

la rimeditazione delle pregresse esperienze (Cass., sez. 1, n. 1501 del 12/3/1998, Fatale, rv.

fuoco ed esecutore di atti estorsivi e i suoi rapporti con esponenti del clan Ruggieri – D’Oronzo,
tutti elementi indicativi di perdurante ed elevata pericolosità sociale, che avrebbero richiesto una
specifica disamina ed un’altrettanto puntuale giustificazione per disattenderne la valenza
dimostrativa o comunque per affermarne il superamento per effetto di altre risultanze di segno
contrario.
3. Non ignora questa Corte l’esistenza di pronunce rese da questa stessa sezione, secondo

organizzata deve essere oggetto di concreto apprezzamento, in modo che se ne possa desumere
la perdurante e qualificata pericolosità del soggetto, capace di giustificare il denegato accesso alle
misure alternative ed ai benefici penitenziari premiali, sicché anche le informazioni trasmesse
dagli uffici requirenti, per quanto oggetto di obbligatoria acquisizione, debbono essere vagliate
discrezionalmente nei dati conoscitivi offerti e nelle conclusioni rassegnate al di fuori di qualsiasi
recepimento automatico (Cass. sez. 1, n. 143 del 13/1/1994, Ricciardi, rv. 196392; sez. 1, n.
1543 del 6/4/1994, P.M. in proc. Di Trapani, rv. 198316; sez. 1, n. 11661 del 27/2/2008,
Gagliardi, rv. 239719; sez. 1, n. 4195 del 9/1/2009, Calcagnile, rv. 242843).
In altri termini, sebbene le comunicazioni trasmesse dal Procuratore nazionale antimafia o
del Procuratore distrettuale, non siano vincolanti per il magistrato o il tribunale di sorveglianza,
potendo essere condivise o meno, è comunque necessario che il relativo giudizio “sia sorretto da
un adeguato apparato argomentativo che tenga conto, ove indicati, delle circostanze addotte e
degli elementi di fatto sottoposti alla valutazione del giudice” (Cass., sez. 1, n. 143 del
13/01/1994, Ricciardi, rv. 196392).
Ed è quanto manca nel provvedimento impugnato, privo di qualsiasi riferimento alla nota
della D.D.A. di Lecce ed alle relative indicazioni.
Si impone, quindi, l’annullamento dell’ordinanza ricorsa con rinvio al Tribunale di
Sorveglianza di Taranto, che procederà a nuovo esame attenendosi ai principi all’inizio enunciati.

P. Q. M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di
Taranto.
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2014

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le quali la situazione contrassegnata da attuali collegamenti tra il detenuto e la criminalità

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