Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32380 del 25/03/2014


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 1 Num. 32380 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
D’AMICO GIOVANNI N. IL 01/04/1981
avverso la sentenza n. 550/2010 CORTE APPELLO di
CALTANISSETTA, del 17/07/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE SANDRINI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. G-1 ■WANK,It
‘A ‘i trt7 (.0
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit itdifenson.Avv. O (.,Ft 2t0 RR1/4) nA t to
ALA

SCA COLD hít;

(L. 113

Data Udienza: 25/03/2014

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza pronunciata il 30.04.2010 questa Corte di legittimità aveva
annullato, su ricorso di D’Amico Giovanni, la sentenza in data 5.05.2009 della
Corte d’appello di Caltanissetta che, in riforma della sentenza di assoluzione per
non aver commesso il fatto emessa il 28.04.2008 dal Giudice dell’udienza
preliminare del Tribunale di Caltanissetta, aveva condannato l’imputato alla pena
di anni 6 mesi 4 di reclusione, operata la diminuente per la scelta del rito
abbreviato, per il reato di partecipazione ad associazione mafiosa aggravata ex
art. 416 bis comma quarto cod. pen., ascritto ai capi A e LL della rubrica,

commesso a partire dall’anno 2003 e consistito nell’aver fatto parte del clan
Rinzivillo di Gela; l’annullamento era motivato sul fatto che l’accusa di
partecipazione al sodalizio mafioso si basava sulle dichiarazioni del collaborante
Terlati Emanuele, riscontrate da quelle di Cassarà Salvatore e dal contenuto di
alcune intercettazioni, che tuttavia erano prive di indicazioni in ordine al periodo
temporale al quale si riferivano le condotte addebitate al chiamato, per cui non
era possibile stabilire se si riferissero all’epoca contestata nell’imputazione,
successiva al 2002, o a quella precedente per la quale il D’Amico era già stato
condannato in via definitiva in virtù di sentenza di applicazione pena pronunciata
il 20.07.2000; la Corte di cassazione demandava pertanto al giudice del rinvio di
accertare il punto in questione.
2. All’esito del giudizio di rinvio, la Corte d’appello di Caltanissetta, previa
parziale rinnovazione del dibattimento mediante l’esame dei collaboratori di
giustizia Billizzi Massimo Carmelo e Smorta Crocifisso, che avevano operato la
scelta collaborativa dopo la decisione di primo grado, ha condannato il D’Amico
alla pena complessiva di anni 5 mesi 8 giorni 10 di reclusione, previa unificazione
ex art. 81 capoverso cod. pen. del reato associativo di cui ai capi A e LL, oggetto
del presente giudizio e costituenti un’unica fattispecie, individuato come il reato
più grave, con la violazione dell’art. 416 bis cod. pen. già giudicata in via
definitiva con la sentenza 20.07.2000 del GUP del Tribunale di Caltanissetta,
pronunciando le conseguenti statuizioni accessorie, anche in favore delle parti
civili costituite.
Dopo aver richiamato le motivazioni della sentenza cassata, il giudice del rinvio
rilevava che la lacuna probatoria che ne aveva determinato l’annullamento non
riguardava la condotta partecipativa dell’imputato al sodalizio criminoso (da
ritenersi adeguatamente provata sulla base delle dichiarazioni, riscontrate, dei
collaboranti), ma soltanto la sua esatta delimitazione temporale, con specifico
riguardo al periodo successivo a quello coperto dal giudicato di cui alla sentenza
20.07.2000 del GUP di Caltanissetta, lacuna che era stata colmata dagli apporti
dichiarativi provenienti dalle nuove collaborazioni del Billizzi e dello Smorta.
.Pf.
1

La Corte territoriale dava atto della credibilità soggettiva e dell’attendibilità
intrinseca che doveva riconoscersi alle dichiarazioni dei due collaboratori, già
ritenuta in altri giudizi tanto da comportare la concessione ad entrambi
dell’attenuante di cui all’art. 8 legge n. 203 del 1991, provenienti da esponenti di
vertice della famiglia di Gela di “cosa nostra”, di risalente appartenenza alla
stessa, che avevano spiegato le ragioni della scelta operata e confessato la
partecipazione a numerosi delitti, aggravando notevolmente la loro posizione
complessiva per effetto delle dichiarazioni autoaccusatorie; valorizzava la natura

parte di entrambi i collaboratori della persona dell’odierno imputato e l’assenza
di qualsiasi ipotizzabile intento vendicativo o persecutorio nei suoi confronti,
trattandosi di un soggetto a loro subordinato nella scala gerarchica del sodalizio,
col quale non interloquivano direttamente ma il cui protagonismo associativo
avevano appreso dagli altri sodali coinvolti nella direzione e nell’organizzazione
delle attività criminali.
Dopo aver riportato in modo dettagliato il contenuto delle dichiarazioni del Billizzi
e dello Smorta riguardanti il ruolo e il coinvolgimento diretto del D’Amico nelle
attività associative, il giudice del rinvio rilevava che le stesse confermavano e
integravano quanto già emerso a carico dell’imputato dalle precedenti
dichiarazioni degli altri collaboratori che erano state valorizzate dalla sentenza
annullata; in particolare, aveva trovato conferma la subordinazione del
prevenuto alle direttive di volta in volta impartite da altri soggetti organicamente
inseriti nell’organizzazione mafiosa come il Palmeri, il Terlati, l’Azzarelli e il Di
Stefano, con particolare riguardo alle attività estorsive e agli incendi e ai
danneggiamenti alle stesse funzionali, e ciò anche negli anni oggetto
d’imputazione nel presente giudizio, a partire dal 2003 in poi (fino al 2006, anno
in cui entrambi i collaboranti erano stati arrestati); il Billizzi aveva riferito della
costante gravitazione del D’Amico, sin dalla fine degli anni 90 e anche negli anni
2003, 2004, 2005, nel clan Rinzivillo, in stretto contatto coi soggetti sopra
indicati, avendo tra l’altro appreso direttamente dal Palmeri che l’imputato era a
disposizione di Terlati e Azzarelli, soggetti che lo stesso Billizzi aveva incaricato
delle estorsioni, per la cui esecuzione questi ultimi gli avevano riferito di
avvalersi anche dell’opera del D’Amico, che dunque agiva non per sua iniziativa
personale ma in funzione degli interessi dell’organizzazione mafiosa; Smorta, a
sua volta, aveva dichiarato che erano stati Terlati e un altro associato, Bassora
Emanuele, a riferirgli negli anni 2005-2006 del coinvolgimento del D’Amico nelle
attività criminali del sodalizio (in particolare nelle estorsioni), soggetto che aveva
visto personalmente accompagnarsi sia ad Azzarelli che a Terlati, in qualità di
appartenente al clan Rinzivillo, successivamente avvicinatosi (tramite Palmeri) a ,
2

dettagliata, coerente e completa degli apporti dichiarativi, la conoscenza certa da

clan Emmanuello.
La convergente pluralità delle chiamate in correità, dirette e de relato, vecchie e
nuove, a carico dell’imputato, tutte provenienti da soggetti appartenenti al
braccio operativo dell’organizzazione mafiosa e perciò particolarmente affidabili,
ne confermavano il coinvolgimento diretto nelle attività mafiose anche negli anni
successivi a quelli oggetto della condanna precedente; ritenuta l’aggravante di
cui al comma quarto dell’art. 416 bis cod. pen. sulla scorta della notoria
disponibilità di armi da parte dell’associazione criminale, nonché la sussistenza

riguardante la partecipazione al medesimo sodalizio mafioso, la Corte di merito
individuava il fatto più grave in quello oggetto del presente giudizio, in ragione
del più lungo lasso temporale, e, negate le attenuanti generiche, determinava la
pena base nella misura, prossima al minimo edittale risultante dalla novella di
cui alla legge n. 251 del 2005 nella cui vigenza rientrava parte della condotta, di
anni 7 giorni 15 di reclusione, che riduceva di 1/3 ex art. 442 cod.proc.pen. ad
anni 4 mesi 8 giorni 10, e aumentava infine di anni 1 per la continuazione.
3. Ricorre per cassazione D’Amico Giovanni, a mezzo del difensore avv. Orazio
Maurizio Scicolone, deducendo tre motivi di doglianza.
Col primo motivo, il ricorrente lamenta violazione del diritto di difesa e
conseguente nullità assoluta del giudizio di secondo grado, deducendo che
l’imputato era stato assistito nel giudizio di rinvio dall’avv. Nicoletta Cauchi del
Foro di Gela, priva di mandato difensivo perché revocato, senza che fosse stato
dato avviso dell’udienza all’avv. Scicolone, che aveva difeso l’imputato nel
giudizio di legittimità e la cui nomina non era stata mai revocata.
Col secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di
motivazione, in relazione agli artt. 192 e 530 comma 2 del codice di rito e 416
bis cod. pen., rilevando l’inidoneità delle dichiarazioni dei collaboranti Billizzi e
Smorta a supportare la prova della partecipazione del D’Amico all’associazione
mafiosa in epoca successiva al 1998, in quanto i relativi contribuiti dichiarativi
erano generici, smentiti dall’assoluzione del prevenuto per tutti i reati-fine e privi
dell’indicazione di qualsivoglia reato commesso a partire dal 2003; deduce che
Terlati Emanuele, in particolare, non aveva confermato l’assunto del Billizzi
secondo cui dal febbraio 2003 al dicembre 2004 il D’Amico sarebbe stato a sua
disposizione per realizzare attentati incendiari, riferendo invece che il prevenuto
era vicino ad Alferi Giuseppe; rileva che l’affermazione di responsabilità per il
delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. postula la compenetrazione del soggetto
nell’organismo criminale, mentre la mera comunanza di interessi illeciti con
Terlati e Alferi non poteva fondare di per sé la prova del vincolo associativo;
deduce la carenza di autonomia delle chiamate in correità che la sentenza

3

v

del vincolo della continuazione con la precedente condotta già giudicata,

impugnata aveva posto a fondamento della partecipazione al sodalizio mafioso,
nonostante che il Tribunale del riesame di Caltanissetta avesse annullato per ben
due volte le ordinanze di custodia cautelare emesse a carico del D’Amico nel
presente procedimento per mancanza di gravi indizi di colpevolezza; esclude la
sussistenza della prova di collegamenti col clan Rinzivillo, confermata
dall’esclusione dell’aggravante ex art. 7 legge n. 203 del 1991 da parte del
giudice di secondo grado nei riguardi dei correi accusati dei furti commessi dai
pretesi associati al clan.

riconosciuta operatività della disciplina del reato continuato, censurando la
mancata quantificazione dell’aumento applicato ex art. 81 cod. pen., senza il
riconoscimento delle attenuanti generiche equivalenti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è del tutto generico, in quanto non indica – né
produce in allegato – gli estremi dell’atto (con particolare riguardo alla data)
avente ad oggetto la dedotta revoca del mandato difensivo all’avv. Nicoletta
Cauchi, così da violare il principio di autosufficienza del ricorso e da non
consentire a questa Corte di verificare se e quando detta revoca sia
effettivamente intervenuta e sia stata comunicata al giudice procedente, in
particolare rispetto alla data di emissione del decreto di fissazione dell’udienza
camerale per la celebrazione del giudizio di rinvio in grado d’appello (che
rappresenta il termine oltre il quale la revoca del precedente difensore non
avrebbe comunque prodotto effetto sul destinatario della notificazione del
relativo avviso, legittimamente individuato nel difensore, di fiducia o d’ufficio,
risultante dagli atti a quella data: Sez. 3 n. 20931 dell’11/03/2009, Rv. 243864);
la circostanza che il difensore nominato per il giudizio di cassazione definito con
la pronuncia della sentenza di annullamento con rinvio del 30.04.2010 (e che ha
successivamente proposto il presente ricorso) sia diverso dal difensore che ha
patrocinato il D’Amico nei gradi di merito è a sua volta irrilevante al fine di
dedurne la revoca dell’incarico conferito a quest’ultimo e il diritto del primo a
ricevere la notificazione degli atti del giudizio di rinvio, posto che il patrocinio
dinanzi a questa Corte esige una specifica abilitazione da parte del difensore (che
deve essere iscritto nell’albo speciale previsto dall’art. 613 del codice di rito) che
non è invece richiesta negli altri gradi del giudizio nei quali l’imputato continua
legittimamente a essere assistito dall’originario difensore.
Il motivo di doglianza deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
2. Il secondo motivo di ricorso è parimenti inammissibile, in quanto, benché
dedotto sotto le vesti formali di un vizio di legittimità e di una carenza o vizio di
motivazione della sentenza impugnata, si esaurisce in una censura di merito del
4

Col terzo motivo, il ricorrente lamenta l’abnormità della pena inflitta rispetto alla

materiale probatorio rappresentato dalle chiamate in correità operate a carico del
ricorrente dai collaboranti Billizzi e Smorta, che investe direttamente il fatto del
processo e l’idoneità dimostrativa degli elementi ricavabili dai suddetti contenuti
dichiarativi, secondo lo schema tipico di un’impugnazione di merito, anziché
confrontarsi con la correttezza e la congruenza logica delle argomentazioni in
forza delle quali il giudice del rinvio ha ritenuto acquisita la prova della
partecipazione associativa del D’Amico al sodalizio mafioso anche negli anni
successivi al periodo coperto dal giudicato di cui alla sentenza 20.07.2000 del

258153, secondo cui è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che
censura l’erronea applicazione dell’art. 192 comma 3 cod.proc.pen., quando è
fondato su argomentazioni che si pongono in confronto diretto col materiale
probatorio, e non sulla denuncia di uno dei vizi logici tassativamente previsti
dall’art. 606 comma 1 lett. e) del codice di rito, riguardanti la motivazione del
giudice di merito in ordine alla ricostruzione del fatto).
Va rilevato che la carenza motivazionale che aveva determinato l’annullamento
della sentenza in data 5.05.2009 della Corte d’appello di Caltanissetta riguardava
non tanto l’idoneità probatoria degli elementi allora acquisiti – costituiti dalle
dichiarazioni accusatorie di Terlati Emanuele e Cassarà Salvatore, riscontrate dai
risultati dell’attività di captazione – a dimostrare l’intraneità del D’Amico al clan
Rinzivillo (del resto già accertata in via definitiva per tutto il periodo coperto dal
precedente giudicato), quanto la riferibilità temporale della partecipazione
associativa descritta dai collaboratori alle annualità che, a partire dal 2002,
integrano l’imputazione ex art. 416 bis cod. pen. ascritta al ricorrente nel
presente giudizio.
Il giudice del rinvio ha colmato la lacuna motivazionale rilevata dalla sentenza di
annullamento mediante l’attività di integrazione probatoria sostanziatasi
nell’acquisizione, in sede di rinnovazione parziale del dibattimento, delle
dichiarazioni collaborative sopravvenute del Billizzi e dello Smorta, che la
sentenza impugnata – con un percorso argomentativo coerente, adeguato, e
immune da vizi logico-giuridici – ha ritenuto non solo soggettivamente credibili e
intrinsecamente attendibili (anche sulla scorta di quanto acclarato in altri
giudizi), ma altresì idonee a confermare, saldandosi agli altri elementi di prova
dichiarativa già acquisiti, l’appartenenza del D’Amico al sodalizio mafioso, a
diretta disposizione (in particolare) del Terlati e di Azzarelli Salvatore nella
commissione di estorsioni per conto dell’organizzazione criminale, e in specie
nell’esecuzione di incendi e danneggiamenti alle stesse funzionali, nel corso
dell’intero periodo che va dal 2003 al 2006 (anno in cui entrambi i collaboratori
erano stati arrestati).

5

GUP del Tribunale di Caltanissetta (vedi Sez. 6 n. 43963 del 30/09/2013, Rv.

Gli apporti dichiarativi autonomi del Billizzi e dello Smorta, sopravvenuti alle
pronunce del Tribunale del riesame di Caltanissetta che non potevano disporre di
tale materiale probatorio, e provenienti da esponenti di vertice della famiglia
mafiosa di Gela in cui operava il clan di appartenenza del D’Amico, che hanno
riferito in modo dettagliato quanto a loro conoscenza, de relato o per scienza
diretta (in particolare lo Smorta), sul ruolo e sui compiti affidati al ricorrente nel
contesto associativo, sono stati dunque positivamente valutati dal giudice del
rinvio nell’ambito di un apprezzamento e di una rivisitazione complessiva

D’Amico in ordine alla sua adesione alla consorteria mafiosa anche in epoca
successiva al 2002 (e fino al 2006), la cui completezza e congruenza logica – che
superano in modo definitivo le carenze motivazionali della precedente decisione
annullata – risultano insindacabili in sede di legittimità.
3. Anche il terzo motivo di ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché
del tutto generico e assertivo nella sua contestazione in fatto della misura della
pena inflitta, che è stata correttamente determinata dalla sentenza impugnata
sulla scorta del motivato – e perciò incensurabile – diniego delle attenuanti
generiche (argomentato sulla gravità del fatto e sulla pervicacia criminale
dimostrata dall’imputato mediante la rinnovata adesione al sodalizio mafioso
dopo la condanna precedente), partendo da una pena base assai prossima al
minimo edittale dell’art. 416 bis comma 4 cod. pen. risultante dal testo della
norma applicabile ratione temporis, e indicando in modo puntuale l’aumento
irrogato (nella misura finale di anni 1 di reclusione) per la continuazione col
precedente giudicato.
4.

Dall’inammissibilità del ricorso discende la condanna del ricorrente al

pagamento delle spese processuali e al versamento alla cassa delle ammende
della sanzione pecuniaria che si stima equo quantificare in 1.000 euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso il 25/03/2014

dell’idoneità dimostrativa dell’intero compendio probatorio esistente a carico del

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA