Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 3238 del 08/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 3238 Anno 2014
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: DAVIGO PIERCAMILLO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Romano Paolo, nato a Cercola il 24.5.1971;
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli, sezione 7^ penale, in data
20.11.2012.
Sentita la relazione della causa fatta dal consigliere Piercamillo Davigo.
Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale, dott. Oscar Cedrangolo, il
quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

ritenuto in fatto

Con sentenza del 2.4.2012, il G.U.P. del Tribunale di Napoli dichiarò
Romano Paolo responsabile dei reati di cui agli artt. A) 611 cod. pen., 7 legge n.
203/1991; B) 56, 629 cod. pen.. 7 legge n. 203/1991, unificati sotto il vincolo
della continuazione e – con la diminuente per il rito abbreviato – lo condannò alla
pena di anni 4 mesi 8 di reclusione ed € 3.500,00 di multa, pene accessorie.

Data Udienza: 08/01/2014

Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte d’appello
di Napoli, con sentenza del 20.12.2012, confermò la decisione di primo grado.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo:
1. mancata assunzione di una prova decisiva in relazione al mancato
esame della persona offesa, dei gestori del bar “tazza d’oro” ed alla
mancata acquisizione dei certificati penali e dei certificati carici pendenti
di Filosa Antonio e Filosa Pasquale, richiesta ai sensi dell’art. 603 cod.
proc. pen.;

2. violazione di legge in quanto l’affermazione di responsabilità è avvenuta
sulla base di indizi che non sarebbero precisi e concordanti; dalle
dichiarazioni di Filosa Antonio non sarebbe possibile configurare le
violazioni ascritte all’imputato; Romano non avrebbe formulato minacce;
la generica richiesta di un regalo non potrebbe integrare l’aggravante
contestata.

Considerato in diritto

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
In relazione al rigetto della richiesta di rinnovazione del dibattimento va
ricordato che il giudizio è stato celebrato in primo grado con il rito abbreviato.
Se ciò non impedisce al giudice di appello di esercitare i suoi poteri d’ufficio
di integrazione probatoria, esclude che esista un diritto alla richiesta di
rinnovazione del dibattimento ed un obbligo per il giudice di motivare la
reiezione della richiesta di rinnovare il dibattimento.
Infatti, con la richiesta di essere giudicato alla stato degli atti l’imputato ha
rinunziato all’acquisizione di ulteriori prove, tranne quelle alla cui acquisizione,
eventualmente, il giudizio abbreviato era stato subordinato. (V. Cass. Sez. Un.
sent. n. 930 del 13.12.1995 dep. 29.1.1996 rv 203427).
Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato e svolge censure
di merito.
La Corte territoriale ha fondato l’affermazione di responsabilità sulle
dichiarazioni della persona offesa Filosa Antonio e sull’assunto che i legami dei
familiari di Romano con altro gruppo criminale non erano di per sé ostativi alla
perpetrazione dei reati a favore del clan Fusco Ponticelli. La Corte di merito ha
ritenuto altresì che nelle frasi dell’imputato fosse implicita la minaccia di
ritorsioni. La Corte d’appello ha ritenuto sussistere la circostanza aggravante di
cui all’art. 7 legge n. 203/1991 sia sotto il profilo del metodo mafioso che sotto
quello della finalità agevolatrice.

2

In tale motivazione non si ravvisa alcuna manifesta illogicità che la renda
sindacabile in questa sede.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non
deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la migliore
possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la giustificazione, ma deve
limitarsi a verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune
e con “i limiti di una plausibile opinabilità di apprezzamento”, secondo una
formula giurisprudenziale ricorrente. (Cass. Sez. 5^ sent. n. 1004 del

21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).
Del resto va ricordato che il vizio di motivazione implica o la carenza di
motivazione o la sua manifesta illogicità.
Sotto questo secondo profilo la correttezza o meno dei ragionamenti
dipende anzitutto dalla loro struttura logica e questa è indipendente dalla verità
degli enunciati che la compongono.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara
inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della
Cassa delle ammende della somma di mille euro, così equitativamente fissata in
ragione dei motivi dedotti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.

Così deliberato in data 8.1.2014.

30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745, Cass., Sez. 2^ sent. n. 2436 del

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