Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32378 del 25/03/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 32378 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE

Data Udienza: 25/03/2014

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MORELLI MICHELE GERARDO N. IL 20/06/1980
avverso la sentenza n. 3/2011 CORTE ASSISE APPELLO di
POTENZA, del 04/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/03/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE SANDRINI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. (y (OVANN(
che ha concluso per :.Z, ,hop,Lt-0 (XJ, iio

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Udito, per la parte civile, l’Avv
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RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza pronunciata il 4.04.2012 la Corte d’Assise d’Appello di Potenza
ha confermato (applicando d’ufficio all’imputato la pena accessoria della
interdizione legale) la sentenza in data 22.02.2011 della Corte d’Assise in sede
che aveva condannato Morelli Michele Gerardo, a seguito di giudizio abbreviato,
alla pena di anni 30 di reclusione per i reati, unificati in continuazione, di
omicidio premeditato in concorso di Petrilli Domenico e di porto illegale in luogo
pubblico, aggravato ex art. 61 n. 2 cod.pen., del fucile calibro 12 utilizzato per
commettere l’omicidio, oltre alle statuizioni accessorie in materia di spese, di

pene accessorie e di applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata
per la durata di anni tre.
Dalla ricostruzione dell’episodio delittuoso operata dalle sentenze di primo e
secondo grado risulta che il Petrilli era stato ucciso con tre colpi di fucile a
pallettoni calibro 12, che lo avevano attinto alla guancia sinistra, alla gamba
sinistra e all’altezza del femore, intorno alle ore 6.00 del 25.02.2003, subito
dopo essere uscito dalla sua abitazione sita in Rapolla ed essere salito a bordo
della sua autovettura VW Golf; il corpo dell’uomo era stato rinvenuto riverso sul
lato destro del veicolo, col capo leggermente appoggiato alla base del finestrino
della portiera anteriore destra; nelle immediate adiacenze della vettura gli
inquirenti avevano repertato tre bossoli cartuccia calibro 12 a palla multipla, di
colore blu, nonché un mozzicone di sigaretta.
Le indagini si erano immediatamente indirizzate nei confronti del Morelli perché
gli autori dell’omicidio erano stati visti allontanarsi dal luogo del delitto a bordo di
un furgone Fiat di colore bianco, la cui targa iniziava con le lettere AZ, che era
stato ritrovato quello stesso giorno completamente bruciato; il furgone,
compendio di furto commesso a Foggia tra il 14 e il 15 dicembre 2002, era
rimasto ininterrottamente parcheggiato, da allora e fino al giorno precedente
l’omicidio, accanto alla recinzione dello stabile di proprietà della zia del Morelli,
Casorelli Maria Assunta, nella zona antistante il cancello dove era parcheggiata
l’autovettura Alfa Romeo 164 pacificamente in uso all’imputato.
L’imputato, inizialmente non reperito presso la sua abitazione né nei luoghi da lui
abitualmente frequentati, era stato incrociato, alla guida dell’Alfa 164, da una
pattuglia della polizia alle 14.30 di quello stesso giorno, mentre procedeva
nell’opposta direzione di marcia; anziché fermarsi all’alt, il Morelli aveva
accelerato dandosi alla fuga, venendo inseguito e bloccato; al momento del
fermo aveva disattivato il proprio telefono cellulare, rifiutando di fornire il codice
di accesso.
La perizia espletata in sede di incidente probatorio, volta alla ricerca di residui di
sparo sugli indumenti del Morelli, aveva consentito di accertare la presenza, sul

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tampone del prelievo eseguito sulla maglietta intima indossata dall’imputato, di
una particella ternaria di piombo-antimonio-bario, classificata dalla letteratura
scientifica internazionale come esclusiva dello sparo.
Era inoltre emerso che alle 20.50 della sera precedente l’omicidio l’imputato era
stato controllato, in Melfi, alla guida dell’Alfa 164 in compagnia dei fratelli Dario e
Alessandro D’Amato; quest’ultimo, divenuto successivamente collaboratore di
giustizia, aveva confessato la sua partecipazione al delitto (il cui movente era
riconducibile a un’esecuzione decisa nell’ambito della lotta tra clan criminali

indicava come il soggetto che aveva materialmente sparato al Petrilli, rilasciando
le dichiarazioni accusatorie nel corso dell’esame disposto ex art. 441 comma 5
cod.proc.pen. nell’ambito del giudizio abbreviato.
La Corte di secondo grado, premessa la corretta enunciazione da parte del primo
giudice dei principi che regolano l’acquisizione e la valutazione della prova con
riguardo sia al ragionamento indiziario che alle dichiarazioni rese dal D’Amato, e
dopo aver richiamato e condiviso le motivazioni sviluppate dalla sentenza di
prime cure, rilevava come la chiamata in correità operata dal collaborante
corroborasse e consolidasse il preesistente quadro indiziario a carico del Morelli,
già di per sé grave, preciso e concordante nella sua efficacia dimostrativa della
responsabilità dell’imputato.
In particolare, il giudice d’appello valorizzava: la disponibilità da parte del Morelli
del furgone utilizzato per compiere l’azione omicida; il comportamento tenuto
dall’imputato nelle ore immediatamente successive al delitto, in occasione del
fermo operato dagli inquirenti; l’esito positivo della prova dello stub; il controllo
eseguito la sera precedente l’omicidio a carico del Morelli e dei fratelli D’Amato;
e rilevava l’inidoneità dei rilievi critici formulati dalla difesa in sede di gravame a
inficiare o sminuire l’efficacia dimostrativa delle relative risultanze probatorie.
Quanto alla prova dello stub, la Corte evidenziava che la stigmatizzazione,
operata dalla difesa, del ritardo di circa 16 ore dall’omicidio con cui era stato
eseguito il prelievo della particella, di provenienza certa da uno sparo d’arma da
fuoco, rinvenuta sulla maglietta indossata dal Morelli, appariva assertiva; che
l’ipotizzata (dalla difesa) manipolazione o contaminazione accidentale del
reperto, per effetto dell’assenza di una verbalizzazione attestante lo svolgimento
delle operazioni e per l’omessa adozione di accorgimenti idonei a una corretta
conservazione del reperto stesso, doveva essere esclusa alla stregua della
deposizione degli ufficiali di p.g. che avevano proceduto alle relative operazioni
(introdotti come testi dalla difesa) circa le modalità di imbustamento e
conservazione del reperto esaminato dal perito, le modalità di custodia degli
indumenti dell’imputato (che, dopo essere stati deposti in scatole di cartone,

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contrapposti), chiamando in correità il fratello Dario e l’odierno imputato, che

erano stati consegnati la sera stessa alla polizia scientifica), la mancata
partecipazione ad attività di sparo – sia quel giorno che nei giorni precedenti dei soggetti presenti alle operazioni e che le avevano eseguite.
Quanto alla chiamata in correità operata dal D’Amato, la Corte richiamava
l’analitica motivazione in base alla quale la sentenza di primo grado ne aveva
ritenuto l’attendibilità intrinseca ed estrinseca, valorizzando, a supporto della sua
genuinità, i rischi per l’incolumità personale propria e dei familiari assunti dal
chiamante con la scelta collaborativa, la decisione di accusare di gravi reati –

dichiarazioni confessorie del collaborante, originariamente non attinto da
ordinanza applicativa di misura cautelare personale, avevano consentito di
consolidare il quadro probatorio in ordine alla sua complicità nel delitto; e
rilevava che la sovrapposizione della dinamica dell’omicidio del Petrilli descritta
dal D’Amato con le risultanze già accertate dagli inquirenti (lungi dal costituire
frutto di una mera conoscenza degli atti investigativi disponibili, come allegato
dalla difesa) riscontrava una conoscenza diretta dei fatti derivante dalla
partecipazione materiale all’agguato mortale, come confermato dalla precisa
indicazione della posizione del cadavere, delle parti anatomiche della vittima
attinte dai colpi di fucile, e di altri dettagli specifici.
La Corte individuava un importante elemento di riscontro dell’attendibilità delle
dichiarazioni del D’Amato nel ritrovamento della canna dell’arma utilizzata per
commettere l’omicidio, corrispondente a quella di un fucile calibro 12 contenente
al suo interno una cartuccia di colore azzurro, che il chiamante aveva
riconosciuto in quella rinvenuta circa un anno prima dal conduttore di un fondo
agricolo proprio nel luogo in cui il D’Amato aveva riferito agli inquirenti di averla
nascosta dopo il delitto; ed escludeva, di contro, la sussistenza di elementi che
consentissero di ipotizzare un intento calunnioso del chiamante, tale da indurlo
ad accusare falsamente addirittura il proprio fratello, ipotesi che era invece
contraddetta dai rapporti amichevoli intercorrenti tra accusatore e accusati,
attestati dalla loro contestuale presenza sui luoghi la sera prima dell’omicidio.
Ritenuta la compatibilità degli spostamenti dei correi successivi all’omicidio,
riferiti dal D’Amato, con l’orario del fermo del Morelli e con la disponibilità da
parte sua di una vettura potente e ben funzionante come l’Alfa 164, ed esclusa
l’idoneità del verbale di interrogatorio di tale Cosentino Giovanni, allegato dalla
difesa, a suffragare l’ipotesi alternativa dell’ascrivibilità dell’omicidio del Petrilli a
una diversa dinamica criminale facente capo ad altri soggetti (essendosi il
Cosentino limitato a manoscrivere una nota informale allegata al verbale delle
sue dichiarazioni, priva di qualsiasi indicazione specifica delle modalità del fatto e
delle relative fonti di conoscenza), la sentenza d’appello escludeva che fosse

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oltre al Morelli – anche se stesso e il fratello Dario, il fatto che proprio le

maturato il termine massimo di prescrizione con riguardo al delitto di porto
illegale del fucile calibro 12, non dovendosi tenere conto – alla stregua del
novellato disposto dell’art. 157 cod. pen. – nella determinazione della pena
edittale costituente la base di computo del tempo necessario a prescrivere il
reato, dell’incidenza della circostanza attenuante ad effetto comune di cui all’art.
7 legge n. 895 del 1967; e confermava la pena inflitta dal giudice di primo
grado, determinata mediante sostituzione a quella dell’ergastolo (prevista per
l’omicidio aggravato dalla premeditazione) di quella di anni trenta di reclusione

2. Ricorre per cassazione Morelli Michele Gerardo, a mezzo dei suoi difensori,
deducendo cinque motivi di gravame.
2.1 Col primo motivo il ricorrente deduce mancanza, contraddittorietà e/o
manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla valutazione dei risultati
dello stub, nonché violazione dell’art. 192 comma 1 cod.proc.pen. in relazione
alla prova scientifica.
Il ricorrente lamenta carenza di motivazione della sentenza d’appello in ordine ai
rilievi critici formulati dalla difesa sull’attendibilità dei risultati della prova
scientifica rappresentata dall’esito dello stub eseguito sulla particella ternaria
repertata sulla maglietta indossata dal Morelli al momento del fermo, e sulla
conseguente idoneità di tale elemento a supportare la prova del concorso
dell’imputato nell’omicidio del Petrilli; rileva che, a fronte di delitto commesso
alle 6.00 del mattino, il Morelli era stato fermato intorno alle 14.45 (dopo un
viaggio di andata e ritorno da Melfi a Civitanova Marche a bordo della sua Alfa
164) e i suoi indumenti erano stati prelevati alle 22.00 circa; che i reperti erano
stati riposti in una scatola di cartone e non in sacchi di plastica; che i tamponi
afferenti i prelievi eseguiti all’interno dell’Alfa 164 avevano sortito esito negativo,
così come quelli relativi alla camicia, al maglione e ad altra maglia indossati dal
Morelli, mentre l’unico reperto utile era stato rinvenuto sulla maglietta intima che
l’imputato indossava a diretto contatto della pelle, sotto gli altri capi di
abbigliamento; che la presenza di particelle metalliche residuate all’uso di armi
da sparo può dipendere da una serie di variabili, che devono necessariamente
essere valutate nella ricostruzione fattuale, quali il tipo di arma e di munizioni
utilizzate e il loro stato di efficienza, la possibilità di transfer per contaminazione
accidentale agevolata dalla facilità di migrazione delle particelle a seguito di
contatti occasionali, l’assenza di asetticità dell’ambiente in cui viene eseguito il
prelievo che può generare il fenomeno dei falsi positivi per effetto di residui di
sparo preesistenti nell’ambiente stesso, la dimensione della particella che
influisce sulla sua velocità di dispersione, il tempo di permanenza dei residui
sulle superfici cutanee e sui vestiti, dato che il superamento del limite di quattro
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conseguente alla scelta del rito abbreviato.

ore dallo sparo diminuisce considerevolmente il grado di riferibilità allo stesso
della particella repertata (come attestato dalla letteratura scientifica richiamata
nel ricorso, che detta i protocolli da seguire nella ricerca dei residui, comprensivi
di una puntuale verbalizzazione delle modalità e circostanze delle operazioni
compiute).
I rilievi critici sollevati sul punto nell’atto d’appello riguardavano, in particolare,
sia la fase del prelievo del reperto, in relazione all’intervallo temporale di 16 ore
trascorso dall’omicidio e alla mancanza di accorgimenti in grado di escludere

un commissariato di polizia frequentato da uomini armati per ragioni di servizio,
sia la fase della sua conservazione, in relazione alle modalità di imbustamento e
di conservazione degli indumenti sequestrati in contenitori non sterili; a tali
rilievi la sentenza d’appello non aveva risposto, o aveva comunque fornito
spiegazioni meramente apparenti, senza confrontarsi con le deduzioni difensive.
Il ricorrente lamenta inoltre il mancato espletamento di una perizia di
comparazione tra la particella ternaria repertata, da un lato, e i tre bossoli
cartuccia rinvenuti sul luogo del delitto e la canna del fucile calibro 12 indicata
dal D’Amato come facente parte dell’arma utilizzata per l’omicidio, dall’altro.
2.2 Col secondo motivo il ricorrente deduce mancanza, contraddittorietà e/o
manifesta illogicità della motivazione con riferimento al giudizio di attendibilità
intrinseca ed estrinseca delle dichiarazioni di D’Amato Alessandro, nonché
violazione dell’art. 192 comma 3 cod.proc.pen. nella valutazione della chiamata
in correità.
Il ricorrente lamenta che la Corte d’Appello non avesse risposto, se non con
argomentazioni tautologiche e illogiche, al rilievo critico formulato dalla difesa
per cui, avendo avuto il D’Amato accesso agli atti d’indagine riguardanti
l’omicidio del Petrilli in relazione alla sua veste prima di coindagato e poi di
coimputato nel medesimo procedimento, le sue dichiarazioni accusatorie
potrebbero basarsi non già su una conoscenza diretta della vicenda alla quale
assume di aver partecipato, bensì sulle informazioni da lui acquisite (a posteriori)
mediante la consultazione degli atti investigativi (come era logico attendersi da
un soggetto accusato di un così grave delitto, per giunta intenzionato ad
accreditarsi presso gli inquirenti come collaboratore di giustizia); deduce quindi
la mancanza di una effettiva valutazione, da parte della sentenza impugnata,
della genuinità e dell’attendibilità intrinseca della propalazione accusatoria; rileva
in particolare l’omessa considerazione della circostanza, segnalata dalla difesa,
dei pessimi rapporti familiari tra il chiamante e il fratello Dario, in grado di
inficiare il profilo di credibilità intrinseca che la Corte di merito aveva tratto dal
coinvolgimento di quest’ultimo nell’accusa di omicidio; osserva che il D’Amato
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l’ipotesi di interferenze accidentali in un ambiente rischioso per definizione come

aveva intrapreso la propria collaborazione soltanto dopo essere stato raggiunto
da prove schiaccianti del suo coinvolgimento in un altro omicidio, in modo da
fruire per tale fatto di un vantaggioso trattamento sanzionatorio.
Il ricorrente deduce altresì che la chiamata in correità sarebbe priva di riscontri
estrinseci muniti di efficacia individualizzante, che non potevano individuarsi,
come ritenuto dalla sentenza d’appello, nel ritrovamento dell’arma del delitto in
base alle indicazioni fornite dal collaborante, sia perché l’omesso espletamento di
una perizia balistica sulla compatibilità dei bossoli repertati sul luogo

consentiva di validare la relativa circostanza, sia perché tale ritrovamento era
idoneo a riscontrare solo la partecipazione del propalante al delitto, ma non
apportava alcun elemento di collegamento del Morelli al fatto.
2.3 Col terzo motivo il ricorrente deduce mancanza, contraddittorietà e/o
manifesta illogicità della motivazione con riferimento al mancato espletamento di
perizia sull’arma ritenuta utilizzata nell’agguato, avente ad oggetto la sua
compatibilità tanto coi bossoli repertati sulla scena del crimine quanto con la
particella ternaria presente sulla maglietta indossata dall’imputato, lamentando
che l’accertamento tecnico sollecitato dalla difesa era stato immotivatamente
disatteso.
2.4 Col quarto motivo il ricorrente deduce mancanza, contraddittorietà e/o
manifesta illogicità della motivazione in relazione agli altri elementi di prova che,
secondo la sentenza d’appello, costituirebbero indizi muniti dei requisiti richiesti
dall’art. 192 comma 2 cod.proc.pen., nonché violazione della relativa norma
processuale.
Il ricorrente, premesso che gli elementi indizianti rappresentati dalla disponibilità
del furgone utilizzato dagli autori dell’omicidio e dal comportamento

post

delictum dell’imputato (la cui decisione di non fermarsi all’alt intimatogli dagli
agenti operanti poteva trovare spiegazione nel fatto che gli stessi vestivano abiti
civili e non utilizzavano una vettura di servizio, così da non manifestare la loro
qualità di appartenenti alle forze dell’ordine) erano già stati ritenuti inidonei a
supportare l’emissione di una misura cautelare a carico del Morelli prima
dell’acquisizione del risultato dello stub, censura il grave difetto motivazionale
della sentenza impugnata nella parte in cui non aveva risposto ai rilievi critici
della difesa sulla univocità e sulla concludenza probatoria di tali elementi, oltre
che di quello tratto dal controllo del Morelli insieme ai fratelli D’Amato la sera
precedente l’omicidio.
2.5 Col quinto motivo, infine, il ricorrente deduce mancanza, contraddittorietà
e/o manifesta illogicità della motivazione in relazione al contributo
all’accertamento della verità derivante dalle dichiarazioni del collaboratore di
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dell’omicidio con la canna di fucile rinvenuta nel fondo indicato dal D’Amato non

giustizia Cosentino Giovanni, nonché alla mancata assunzione di prova decisiva
in violazione degli artt. 441 comma 5 e 603 comma 3 cod.proc.pen..
Il ricorrente censura la motivazione in forza della quale la sentenza impugnata
non aveva attribuito valenza probatoria alle dichiarazioni rilasciate da altro
collaboratore di giustizia, Cosentino Giovanni (capo dell’associazione mafiosa “I
Basilischi”), i cui verbali di interrogatorio erano stati dimessi dalla difesa insieme
a quello di Cossidente Antonio, nonostante il Cosentino avesse indicato il
Cossidente come mandante degli omicidi Petrilli e Delligatti e tale Stolfi e “due

sua volta affermato l’esistenza di un contrasto tra il clan Cassotta, affiliato alla
famiglia Basilischi, e il clan Delligatti-Petrilli; e lamenta l’omessa considerazione
di una prova decisiva in ordine alla riconducibilità dell’omicidio del Petrilli a una
dinamica criminale diversa da quella riferita dal D’Amato.
3. Con successivi motivi aggiunti, il ricorrente deduce inosservanza ed erronea
applicazione degli artt. 157 e segg. cod. pen., in relazione alla mancata
declaratoria di estinzione per prescrizione del reato di porto illegale di arma
comune da sparo, e manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla
disponibilità del furgone utilizzato per l’esecuzione dell’omicidio.
In particolare, il ricorrente censura l’erronea qualificazione come circostanza
attenuante della diminuzione di pena prevista dall’art. 14 legge n. 497 del 1974,
configurando invece la norma un’autonoma fattispecie di reato rispetto a quella
di cui all’art. 10 della stessa legge, caratterizzata dalla diversità di un elemento
essenziale del reato, riguardante l’oggetto (costituito da un’arma comune da
sparo anziché da un’arma da guerra), con conseguente prescrizione del reato nel
termine ordinario di anni 6 mesi 8 (corrispondente al massimo edittale della
pena detentiva), aumentato ad anni 8 mesi 4 per effetto degli atti interruttivi: la
prescrizione doveva perciò ritenersi maturata il 25.06.2011, prima della
pronuncia della sentenza d’appello, con conseguente necessità di annullare la
stessa con rinvio al giudice di merito per la rideterminazione della pena previo
scomputo dell’aumento per la continuazione relativo al reato estinto.
Quanto al furgone, il ricorrente deduce che nessuno dei soggetti sentiti nel corso
del procedimento era stato in grado di indicare chi ne avesse la disponibilità, né
aveva riferito di aver visto il Morelli a bordo dello stesso; di tal che l’affermazione
della sentenza impugnata che il furgone fosse in uso all’imputato, ricavata dal
solo fatto dello stazionamento del veicolo nello spiazzo pubblico – accessibile a
chiunque – in cui il Morelli era solito parcheggiare la sua Alfa 164, appariva
immotivata e perciò censurabile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I motivi di ricorso diretti a contestare la congruenza, la coerenza e la
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pugliesi” come esecutori materiali del delitto, e nonostante il Cossidente avesse a

correttezza logico-giuridica della motivazione in forza della quale i giudici di
merito hanno affermato la colpevolezza del Morelli in ordine all’omicidio
premeditato del Petrilli sono infondati e devono essere rigettati.
2. Occorre subito rilevare che il termine di raffronto dei motivi dell’impugnazione
di legittimità non è costituito, come sostenuto dal ricorrente, dalla sola
motivazione della sentenza d’appello, che ha individuato “l’architrave fondante”
della responsabilità del Morelli nelle risultanze della prova scientifica e negli altri
elementi di prova indiretta componenti il quadro indiziario preesistente alla

primo grado (pag. 10 della sentenza), ma anche dalla motivazione della
sentenza di prime cure, che ha fondato il giudizio di colpevolezza dell’imputato
essenzialmente sulla prova dichiarativa rappresentata dalle propalazioni
accusatorie del D’Amato, ritenute credibili, intrinsecamente attendibili e
adeguatamente riscontrate dagli altri elementi di prova acquisiti: ciò in quanto le
motivazioni delle due sentenze di merito si integrano e completano
reciprocamente, essendo pervenute alla medesima affermazione di colpevolezza
dell’imputato sulla base di percorsi argomentativi che non si pongono in
contraddizione tra loro, ma che risultano complementari, così da concorrere a
formare un unico, organico e inscindibile, corpo argomentativo (Sez. 2, n. 5606
del 10/01/2007, Rv. 236181, e Sez. 2 n. 30838 del 19.03.2013, imputato
Autieri), che, proprio perché frutto di una disamina completa – oltre che
complessivamente congrua, coerente e immune da vizi logico-giuridici – di tutte
le evidenze probatorie disponibili, saggiate anche alla luce delle deduzioni
difensive, resiste a qualsiasi censura in sede di legittimità.
3. Il ricorrente ha, del resto, dedotto uno specifico motivo di censura (il secondo,
seguendo l’ordine espositivo del ricorso) avverso la ritenuta idoneità della
chiamata in correità del D’Amato a rispondere ai requisiti richiesti dall’art. 192
comma 3 del codice di rito e a supportare la condanna del Morelli, doglianza
dalla quale è opportuno iniziare l’esame del ricorso.
La credibilità soggettiva del D’Amato, la genuinità e l’attendibilità delle sue
propalazioni accusatorie sono state ampiamente scandagliate dalle sentenze di
primo e secondo grado – seguendo l’ordine corretto indicato dalla giurisprudenza
consolidata di questa Corte (che postula in primo luogo la verifica della credibilità
del dichiarante in relazione alla sua personalità, alle sue condizioni socioeconomiche e familiari, al suo passato, ai suoi rapporti coi soggetti chiamati,
nonchè alle ragioni che lo hanno indotto a confessare e accusare i complici; in
secondo luogo la verifica dell’attendibilità delle dichiarazioni rese, valutandone
l’intrinseca consistenza e le caratteristiche, con riguardo alla loro spontaneità ed
autonomia, alla precisione, alla completezza della narrazione dei fatti, alla

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chiamata in correità operata da D’Amato Alessandro nel corso del giudizio di

coerenza e alla costanza; e, in terzo luogo, la verifica dell’esistenza di riscontri
esterni che ne confermino l’attendibilità: vedi, da ultima, Sez. 2 n. 21171 del
7/05/2013, Rv. 255553) – con motivazioni puntuali, dettagliate ed esaustive
(sviluppate in particolare alle pagine da 26 a 31 dalla Corte di prime cure, e alle
pagine da 14 a 17 dalla Corte d’appello) che rispondono in modo congruo, logico
e coerente a tutti i rilievi del ricorrente.
I giudici di merito hanno valorizzato, in particolare: le positive motivazioni
addotte dal D’Amato a spiegazione della scelta collaborativa, i cui indubbi

conseguenti all’ammissione al regime di protezione; le difficoltà e i rischi
connessi alla decisione assunta dal collaborante di rescindere i legami con
l’ambiente criminale e familiare di appartenenza, accusando del concorso
nell’omicidio non solo un estraneo come il Morelli ma anche il proprio fratello; la
confessione resa in ordine alla partecipazione ad altri fatti delittuosi
particolarmente gravi ed efferati, tra i quali sei omicidi di cui uno commesso in
veste di mandante; il fatto che il propalante non era mai stato in precedenza
indagato per l’omicidio del Petrilli, di cui aveva riferito una serie di particolari che
solo una persona presente al fatto e compartecipe della sua dinamica esecutiva
poteva conoscere, come quelli relativi alla sigaretta fumata dalla vittima prima di
salire sulla Golf (secondo un particolare riscontrato dal mozzicone repertato sulla
scena del delitto), allo sparo da distanza così ravvicinata che aveva sbalzato il
Petrilli sul sedile lato passeggero nella posizione in cui il cadavere era stato
rinvenuto dagli inquirenti, alle parti del corpo attinte dai pallettoni.
A fronte della completezza e della coerenza logica dell’iter argomentativo delle
sentenze di merito, i rilievi critici del ricorrente sulla possibile capacità di incidere
sulla genuinità della propalazione accusatoria degli allegati dissidi del D’Amato
col fratello Dario, o della sua facoltà di accedere (in qualità di coimputato) prendendone preventiva conoscenza – agli atti investigativi riguardanti l’omicidio
del Petrilli, si risolvono in mere prospettazioni alternative di natura perplessa e
ipotetica che non possono trovare ingresso in sede di legittimità.
4. Quanto all’idoneità degli elementi di riscontro esterno enumerati dai giudici di
merito, e valorizzati dalla sentenza d’appello non solo a titolo di conferma
dell’attendibilità delle dichiarazioni del D’Amato ma anche come elementi muniti
di autonoma valenza di prova indiziaria a carico dell’imputato, se può
condividersi il rilievo del ricorrente secondo cui il ritrovamento della canna del
fucile calibro 12 impiegato per commettere l’omicidio nel luogo di campagna
indicato dal propalante (per quanto significativamente confermativo della
credibilità complessiva del suo racconto) è privo della necessaria efficacia
individualizzante nei confronti del Morelli (posto che il riscontro a carico del
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vantaggi premiali hanno trovato compensazione nelle privazioni e limitazioni

soggetto chiamato in correità deve possedere idoneità dimostrativa in ordine non
già alla sussistenza del fatto-reato descritto dal chiamante, ma alla sua
attribuzione al destinatario delle dichiarazioni accusatorie: Sez. 1 n. 19517
dell’1/04/2010, Rv. 247206), sono invece infondate le censure dedotte nel
quarto motivo di ricorso, e in parte riprese nei motivi aggiunti, avverso la
concludenza probatoria che è stata attribuita dalle sentenze di merito alla
disponibilità da parte del Morelli del furgone (successivamente bruciato)
utilizzato dagli autori dell’omicidio, nonché al comportamento dell’imputato nelle

La riferibilità all’imputato della disponibilità del furgone è stata motivata in modo
adeguato e coerente da entrambe le Corti di merito (in particolare alle pagine da
11 a 13 della sentenza di primo grado), sulla scorta delle risultanze istruttorie
dalle quali era emerso il parcheggio continuativo del veicolo, a partire dal mese
di dicembre del 2002 (e quindi dai giorni successivi al furto consumato a Foggia)
e fino alla sera precedente il giorno dell’omicidio, nello spiazzo adiacente
l’abitazione del Morelli e dei suoi congiunti situato nei pressi del cancello dove
l’imputato era solito parcheggiare la propria autovettura Alfa 164 (sul punto,
particolarmente significative appaiono le dichiarazioni, riportate in sentenza, del
vicino Antoniello Francesco, secondo cui il furgone stazionava da un mese “nel
loro parcheggio” – inteso come lo spazio in esclusivo uso di fatto alla famiglia
Morelli – senza che per tutto il tempo in cui era rimasto parcheggiato in tale
luogo i Morelli avessero chiesto spiegazioni o si fossero lamentati della presenza
del veicolo con gli altri abitanti della zona): la congruità logica del giudizio
inferenziale formulato dai giudici di merito circa l’appartenenza (illecita) del
furgone all’imputato e circa la capacità dimostrativa posseduta da tale elemento
in ordine al collegamento del Morelli alla partecipazione all’omicidio del Petrilli, a
titolo di idoneo riscontro estrinseco delle dichiarazioni del D’Amato, rende il
relativo apprezzamento incensurabile in sede di legittimità.
Anche la valenza di riscontro indiziario attribuita, da un lato, alla compresenza
nella zona – accertata in occasione del controllo di polizia operato la sera del
24.02.2003 – del Morelli insieme ai fratelli D’Amato a bordo della medesima Alfa
164, e, dall’altro, al comportamento post delictum dell’imputato consistito nel
rendersi irreperibile nelle ore immediatamente successive all’omicidio e nel darsi
alla fuga allorchè fu fermato dalla p.g. alla guida della sua autovettura alle 14.30
del 25.02.2003 (in un momento in cui il Morelli non poteva essere a conoscenza
di alcuna accusa a suo carico), integra un apprezzamento giudiziale che, in
quanto congruamente motivato, si sottrae a censura e non può essere inficiato
dalle contestazioni di merito del ricorrente sull’efficacia dimostrativa dei relativi
dati di fatto.

10

ore immediatamente antecedenti e successive al delitto.

5. L’idoneità dimostrativa attribuita dai giudici di merito ai risultati positivi dello
stub effettuato sugli indumenti indossati dall’imputato al momento del fermo
operato il giorno stesso dell’omicidio, che ha accertato la presenza sulla
maglietta intima del Morelli della particella metallica di composizione ternaria
(piombo-antimonio-bario), classificabile scientificamente come residuo esclusivo
dello sparo, è stata a sua volta argomentata in modo logico e lineare, in
particolare dalla sentenza impugnata che ha esaminato e disatteso – in termini
esaustivi – i rilievi critici sollevati sul punto dalla difesa nei motivi d’appello, e che

La sentenza d’appello ha motivatamente escluso il paventato rischio di
contaminazione ambientale e di generazione di un c.d. falso positivo, prospettato
dal ricorrente in relazione sia all’intervallo temporale trascorso tra l’orario
dell’omicidio (commesso alle 6.00 del mattino) e quello del tampone eseguito a
circa 16 ore di distanza, che all’assenza di sterilità dell’ambiente in cui il prelievo
era stato eseguito (i locali di un commissariato di polizia frequentato da soggetti
ordinariamente a contatto con le armi da sparo per ragioni di servizio), che
all’asserita inadeguatezza delle modalità di sigillatura e conservazione del
reperto, valorizzando le risultanze della testimonianza – assunta su richiesta della
difesa dell’imputato – degli ufficiali di p.g. incaricati dei relativi incombenti, i quali
avevano escluso la loro partecipazione ad attività di sparo (anche nei giorni
precedenti) e descritto la correttezza del procedimento seguito per l’acquisizione
e la custodia dei reperti.
A fronte dell’oggettività del dato così acquisito in ordine alla presenza su uno
degli indumenti indossati dal Morelli al momento del fermo, avvenuto verso le
14.30-14.45 del 25.02.2003 e dunque a una distanza di sole 8-9 ore dal delitto,
di un residuo di sparo compatibile con la sua partecipazione materiale
all’omicidio, le interpretazioni alternative del correlativo elemento indiziario
formulate dal ricorrente si risolvono nella prospettazione di mere ipotesi di
natura congetturale e teorica, inidonee a contraddire la puntuale valutazione
delle concrete risultanze processuali effettuata dai giudici di merito, e che non si
confrontano con l’argomento logico per cui è del tutto verosimile che gli autori
dell’omicidio (che avevano utilizzato, per commettere l’azione delittuosa, il
furgone rubato successivamente bruciato per cancellare le proprie tracce, ciò che
spiega l’esito negativo della prova dello stub eseguita sull’Alfa 164 del
prevenuto) si fossero cambiati d’abito subito dopo il crimine, così trovando
spiegazione la residua presenza di un’unica particella metallica proprio (e solo)
sull’indumento intimo a diretto contatto con la pelle del Morelli.
La valorizzazione delle risultanze della prova scientifica, correttamente operata e
argomentata dai giudici di merito (nei termini comprensivi delle osservazioni
11

sono stati riproposti nel primo motivo del ricorso per cassazione.

logiche apportate ex art. 619 cod.proc.pen. da questa Corte in funzione di mera
rettifica di una motivazione già di per sé autosufficiente, che, lasciando inalterata
l’essenza del contesto decisorio assunto con la sentenza impugnata, non esorbita
dalla funzione istituzionale del giudice di legittimità e dal rispetto del fatto come
ritenuto dalla Corte di merito, limitandosi a ovviare a una mera imprecisione e
“caduta di tensione” nella completezza motivazionale sul punto: Sez. 1 n. 9707
del 10/08/1995, Rv. 202302), si sottrae dunque alle censure del ricorrente,
anche sotto il profilo della ritenuta idoneità (in particolare da parte della

riscontro dell’attendibilità della chiamata in correità del D’Amato.
6. Il primo, così come il terzo (che si limita a riproporre le medesime
argomentazioni), motivo di ricorso sono infondati anche laddove lamentano
l’omesso espletamento di una perizia comparativa tra la particella ternaria
rilevata dallo stub e i bossoli repertati sulla scena del crimine, nonché con la
canna del fucile rinvenuta nel luogo indicato dal D’Amato come quello di
occultamento dell’arma utilizzata per sparare al Petrilli.
Il Morelli è stato giudicato, come da sua richiesta, nelle forme del rito abbreviato
subordinato alle integrazioni istruttorie dallo stesso indicate ex art. 438 comma 5
del codice di rito, che non comprendevano l’espletamento di una perizia balistica,
pur risultando già acquisiti sia i risultati dello stub che i bossoli dei colpi che
avevano attinto il Petrilli, utili per un’eventuale comparazione: il ricorrente ha
pertanto accettato – sul punto – di farsi giudicare allo stato degli atti secondo il
regime di prova contratta che caratterizza il rito alternativo, così che non può
trovare ingresso in questa sede la censura relativa al mancato espletamento di
un atto istruttorio che discende dalla stessa scelta processuale effettuata
dall’imputato.
Né la doglianza può trovare accoglimento sotto il profilo dell’omesso esercizio da
parte del giudice del potere officioso di procedere, anche in sede di giudizio
abbreviato, alle integrazioni probatorie necessarie alla decisione, perché tale
sindacato è inibito al giudice di legittimità dall’assenza di decisività della prova
(che deve riconoscersi solo a quella prova che, ove esperita, avrebbe
determinato una diversa decisione del processo: Sez. 6 n. 14916 del
25/03/2010, Rv. 246667; Sez. 3 n. 27581 del 15/06/2010, Rv. 248105),
conseguente alla complessiva tenuta logica della motivazione sulla quale i giudici
di merito hanno fondato l’affermazione di colpevolezza del Morelli, sulla scorta
degli altri elementi di riscontro della prova dichiarativa rappresentata dalle
propalazioni del D’Amato che sono stati acquisiti (Sez. 6 n. 30774 del
16/07/2013, Rv. 257741, secondo cui il rigetto dell’istanza di rinnovazione
dell’istruttoria dibattimentale in appello si sottrae al sindacato di legittimità

12

P

sentenza di prime cure) dell’esito dello stub a integrare un ulteriore elemento di

quando la struttura argomentativa della motivazione della decisione di secondo
grado si fonda su elementi sufficienti per una compiuta valutazione in ordine alla
responsabilità).
7.

Il quinto motivo di ricorso è inammissibile, in quanto si risolve nella

prospettazione di una possibile ricostruzione alternativa del movente e della
responsabilità dell’omicidio del Petrilli, che il ricorrente ipotizza come ascrivibile a
una dinamica criminale completamente diversa da quella che è stata ritenuta
provata dai giudici di merito nei termini puntuali che sono stati sopra riportati.

di procedere a una rivalutazione delle risultanze probatorie acquisite, da
contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una lettura
alternativa dei dati processuali, o una diversa ricostruzione storica dei fatti, o un
diverso giudizio di rilevanza e attendibilità delle fonti di prova (Sez. 2 n. 7380
dell’11/01/2007, Rv. 235716; Sez. 6 n. 36546 del 3/10/2006, Rv. 235510):
nella specie, la lettura alternativa della dinamica omicidiaria sollecitata dal
ricorrente si basa sul contenuto delle dichiarazioni rilasciate da tale Cosentino
Giovanni, che la sentenza impugnata ha ritenuto – con apprezzamento
incensurabile – del tutto generiche e inidonee a supportare una diversa genesi
del delitto.
8. E’ invece fondata la doglianza del ricorrente relativa alla mancata declaratoria
di estinzione per intervenuta prescrizione del reato di porto illegale del fucile cal.
12, costituente arma comune da sparo, utilizzato per commettere l’omicidio,
maturata prima della pronuncia della sentenza impugnata ed erroneamente non
rilevata dal giudice d’appello sulla base di una non corretta determinazione del
termine massimo di prescrizione della violazione degli artt. 4 e 7 legge n. 895
del 1967 (come modificati dagli artt. 12 e 14 legge n. 497 del 1974), risultante
dalla novella di cui alla legge n. 251 del 2005 pacificamente applicabile al caso di
specie.
Occorre premettere che l’aggravante di cui all’art. 7 della legge n. 203 del 1991,
i cui estremi normativi risultano riportati nella formulazione del capo
d’imputazione, è stata espressamente esclusa nel decreto che dispone il giudizio
emesso dal GUP il 15.04.2009, e dunque non è contestata al Morelli nel presente
giudizio, come dato atto alle pagine 7 e 8 della sentenza di primo grado: il tempo
necessario a prescrivere la violazione de qua è dunque quello di anni 6 mesi 8,
pari al massimo edittale della pena detentiva risultante dal combinato disposto
degli artt. 4 e 7 legge n. 895 del 1967, aumentato di 1/4 ad anni 8 mesi 4 per
effetto degli atti interruttivi, in quanto il delitto di porto di arma comune da sparo
non integra un’ipotesi attenuata del fatto relativo alle armi da guerra, ma una
fattispecie autonoma di reato caratterizzata dalla diversità dell’oggetto (e

13

Esula, infatti, dal sindacato di legittimità demandato a questa Corte la possibilità

dunque di un elemento costitutivo essenziale), al quale corrisponde l’autonomia
della relativa sanzione, determinata per relationem rispetto alla pena stabilita
per le armi da guerra (Sez. 1 n. 38626 del 21/10/2010, Rv. 248664).
Il reato di cui al capo 2 della rubrica (una volta escluso il riferimento all’art. 7
legge n. 203 del 1991, costituente mero refuso), commesso il 25.02.2003, si è
dunque estinto per prescrizione il 25.06.2011, prima della pronuncia in data
4.04.2012 della sentenza impugnata, che – sul punto – deve essere annullata
senza rinvio.

concreta della pena inflitta al Morelli, che è stata determinata in anni 30 di
reclusione in sostituzione, ex art. 442 comma 2 del codice di rito, della pena
dell’ergastolo irrogata per il delitto di omicidio premeditato di cui al capo 1, e che
in tale misura resta confermata in quanto nessun inasprimento della pena base
determinata per il reato più grave è conseguito alla condanna per la violazione di
cui al capo 2, avendo il giudice di merito ritenuto che la pena detentiva
temporanea applicabile per il reato concorrente unificato in continuazione non
potesse comunque superare i cinque anni di reclusione, così da escludere
l’operatività del disposto dell’art. 72 comma 2 cod. pen. (che soltanto in caso di
superamento di tale limite prevede l’aggiunta alla pena dell’ergastolo
dell’isolamento diurno per il periodo ivi indicato).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo
2 perché estinto per prescrizione; rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 25/03/2014

9. La declaratoria di estinzione del reato satellite non incide tuttavia sulla misura

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