Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 32377 del 25/02/2014


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 32377 Anno 2014
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: CASA FILIPPO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DOLDO FRANCESCO N. IL 15/12/1940
avverso la sentenza n. 13828/2009 TRIBUNALE di ROMA, del
15/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 25/02/2014 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FILIPPO CASA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. (1.-Q u;-.. (4( 13-1940614. 14
che ha concluso per e 7 74,.. 4‘-e’2″>” r
‘-‘4)2

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 25/02/2014

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 15.3.2013, il Tribunale di Roma in composizione monocratica,
previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, ritenute prevalenti sulla contestata
aggravante, condannava DOLDO Francesco alla pena di 80,00 euro di ammenda per il reato di
cui all’art. 703 cod. pen., consistito nello sparare due colpi di fucile da caccia in luogo abitato,

Incontestata la materialità del fatto, il Tribunale disattendeva la tesi difensiva secondo
la quale il reato de quo doveva essere inteso come reato di pericolo concreto, posto che
l’aggettivo “pericolose”, contenuto nell’ultima parte della norma, sarebbe stato riferibile a tutte
le attività e condotte descritte nella norma stessa.
Secondo il Giudicante, tale interpretazione era, in primo luogo, smentita dalla lingua
italiana, giacché l’aggettivo pericolose (femminile plurale) poteva coniugarsi solo con i termini
“accensioni” o “esplosioni” (pure femminili); in secondo luogo, era smentita dal senso logico e
dall’interesse tutelato (la vita e l’incolumità personale): le condotte descritte nella prima parte
della norma, tra le quali lo sparare armi da fuoco, avevano carattere intrinsecamente
pericoloso, così come considerato dal legislatore, mentre la parte finale della disposizione era
norma di chiusura comprensiva di indistinte attività di accensione o di esplosioni, penalmente
rilevanti solo se concretamente pericolose per la pubblica incolumità.
Né poteva dubitarsi che lo sparare in luoghi frequentati da persone e abitati, ancorché
all’aria e in alto, fosse attività di estremo pericolo, sia per la possibilità di errore dell’agente,
sia per i possibili effetti nefasti delle c.d. pallottole vaganti.
Quanto alla circostanza aggravante della presenza di altre persone, essa emergeva dalla
deposizione del teste Tedesco.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore di DOLDO Francesco, sviluppando
cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo, deduce inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 703,
comma 2, cod. pen., nella parte in cui la sentenza ha ritenuto pacifico che l’imputato avesse
sparato in luogo abitato, nelle sue adiacenze o in una via pubblica.
L’istruttoria dibattimentale aveva dimostrato che il ricorrente aveva sparato in aria e
all’interno della sua proprietà, che si trovava in zona agricola e periferica di Roma, dove le case
erano distanti decine di metri l’una dall’altra: dunque, non potevano considerarsi integrati i
requisiti previsti dalla norma in questione del luogo abitato o delle sue adiacenze, né della
pubblica via.
La sentenza non aveva considerato che per il luogo in cui il colpo era stato esploso e per
le modalità dell’azione nessun pericolo per la vita e l’incolumità delle persone era derivato,
quindi in mancanza dell’oggetto specifico della tutela penale non poteva configurarsi il reato
contestato.
1

ove al momento vi erano alcuni ragazzi intenti a giocare per la strada.

2.2. Con il secondo motivo, denuncia inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 703
cod. pen., considerato dalla sentenza impugnata un reato di pericolo presunto per manifesta
illogicità e contraddittorietà della motivazione.
Ad onta del tenore letterale della norma, l’interpretazione proposta dalla difesa – di
ritenere l’aggettivo “pericolose” riferibile a tutte le condotte elencate – si poneva in sintonia
con le linee direttrici di un diritto penale moderno che esige di considerare, ove possibile, i
reati di pericolo come reati di pericolo concreto.

carattere presuntivamente pericoloso della condotta dello sparare era agganciato ai beni
tutelati della vita e dell’incolumità personale.
Invero, è pacifico che detti interessi meritino tutela nella misura in cui una condotta li
metta almeno in pericolo concreto, perché l’anticipazione della soglia della punibilità non può
spingersi sino alla punizione di fatti costituenti un “pericolo del pericolo”.
2.3. Con il terzo motivo, ci si duole dell’ inosservanza ed erronea applicazione dell’art.
703 cod. pen. nella parte in cui la sentenza aveva interpretato la nozione di luogo pubblico in
senso ampio, procedendo ad interpretazione analogica in malam partem.
Non poteva considerarsi luogo pubblico il luogo dove si verificarono i fatti, in cui le case
si trovano lontane centinaia di metri le une dalle altre.
2.4. Con il quarto motivo, si censura l’inosservanza ed erronea applicazione degli artt.
52 e 54 cod. pen. per mancanza di motivazione.
Il DOLDO aveva esploso un colpo di fucile solo perché voleva allontanare dal cancello
del cortile di casa sua un branco di cani randagi.
Se dette scriminanti potevano giustificare condotte che arrecano offese alla vita e alla
incolumità personale, dovevano ritenersi applicabili anche quando si faceva riferimento a reati
posti a tutela dei medesimi interessi in modo indiretto e mediato come quello previsto dall’art.
703 cod. pen..
2.5. Con il quinto motivo, si lamenta il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta
sussistenza dell’aggravante della presenza di altre persone.
In subordine, si chiede l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata per
estinzione del reato dovuta a prescrizione.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Ad avviso del Collegio, il primo motivo di ricorso non può ritenersi manifestamente
infondato per palese inconsistenza delle censure, né appare articolato in modo tale da valicare
i limiti propri del giudizio di legittimità il cui accesso è subordinato all’osservanza del precetto
dei comma 1 e 3 dell’art. 606 cod. proc. pen..
Il ricorso, quindi, non è inidoneo ad instaurare il rapporto di impugnazione, condizione
che preclude, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la possibilità di far valere
2

Né poteva condividersi, siccome illogico e contraddittorio, il rilievo secondo cui il

una causa di non punibilità ovvero di rilevarla di ufficio (v. S.U. sent. n. 32 del 22/112000, De
Luca, RV. 217266; tra le decisioni delle sezioni semplici, la recente Sez. 2^, sent. n. 28848
dell’8/5/2013, Ciaffoni, RV. 256463: in entrambi i casi oggetto delle citate decisioni, come in
quello oggi scrutinato, la prescrizione del reato era maturata successivamente alla sentenza
impugnata con il ricorso).
Dal capo d’imputazione si evince che il reato contravvenzionale di cui all’art. 703 cod.
pen. ascritto al ricorrente risulta consumato il “26.12.2006”.

risulta ampiamente maturato alla data odierna – tenuto conto, in aggiunta, dei periodi di
sospensione, complessivamente calcolati ex art. 159 cod. proc. pen. dal Giudice di merito in un
anno, sette mesi e sedici giorni (per adesione del difensore all’astensione dalle udienze, e, in
un unico caso, per legittimo impedimento) – nella sua durata massima prevista dal combinato
disposto degli artt. 157 e 161 cod. pen., nel testo attuale in concreto applicabile all’imputato
(cinque anni = 26.12.2011 + un anno, sette mesi e sedici giorni = 11 agosto 2013).
Pertanto, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio, ai sensi dell’art.
620, comma 1, lett. a) cod. proc. pen., perché il reato contravvenzionale oggetto della
sentenza di condanna è estinto per prescrizione.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 25 febbraio 2014

Il Consigl

nsore

Da tale data è, dunque, iniziato a decorrere il tempo di prescrizione del reato, che

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